Acerbis, Franco Acerbis: il Senso di A50

Piero Batini
  • di Piero Batini
Andiamo a festeggiare i primi 50 anni di Acerbis e piombiamo nell'importanza del rito di passaggio in una Storia di Famiglia. Mr. Franco, il passato come una collezione di scelte da proiettare nell'avventura del futuro
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
10 giugno 2023

Albino, Bergamo, Giugno 2023. Risaliamo la valle e sbuchiamo ad Albino. Ci aspetta una sorpresa, che poi si materializzerà nel pretesto di dare a un compleanno la velocità di un passaggio e di un record. È il rito di passaggio della vita vissuto sul pullman delle scelte con destinazione l'avventura continua di un futuro sempre sorprendente. Il messaggio è chiaro, come tutto in questa Valle di Enduro e di sole: si festeggiano i primi 50 anni della “Ditta” Acerbis. Poco seduti, molto in piedi, sempre correndo. Che non vuol dire rincorrere o cercare di recuperare un ritardo, bensì volare avanti, il più lontano possibile… Mantenendo i piedi qui, ben piantati in terra. Perché volare è un po’ un sogno e un po’ un incentivo. E moltissimo, in casi come questo, uno stile di vita romantico e industrioso allo stesso tempo. Passiamo al Life Live Tracking.

50 anni. Cinquant’anni fa, in un garage qui vicino, nel senso che potrebbe essere ovunque vicino a chiunque, Franco Acerbis anima quella che, nel Giugno del 1973, sarà ufficialmente Acerbis Ditta (il nome evolverà nel corso del mezzo secolo di passaggio). È una storia comune ad altri Grandi. Steve Jobs ha fatto lo stesso.

Sul come Mr. Franco è arrivato alla chimica della plastica, e come da quella intuizione ha creato il suo mondo di innovazione, la storia e l’aneddotica hanno detto tutto o quasi. Sono le storie vere e quasi leggendarie dell’autobus a Milano per scegliere il corso di studi, del parafango in resina, del viaggio in USA per conoscere Preston Petty e diventarne, il giorno stesso, importatore per l’Europa, dei serbatoi di nylon fatti e collaudati, lanciati dalla finestra insieme a quelli in resina e in metallo per la comparativa che ha prodotto il definitivo primato del Metal Replacement. E poi sono le “cover” della mascherina Elba dal faro quadrato ispirato alla Audi Quattro WRC della Mouton, dei paramani che prima erano solo “para”, del marsupio che si incollerà definitivamente alla storia dell’Enduro. Mr. Franco attinge ispirazione da altri mondi, inventa step di evoluzione e li trasporta nel nostro pianeta. Non si è mai parlato del senso, dell’anima di tutto questo.

Il Segreto. E infatti molti, sistematicamente, chiedono a Mr. Franco quale è il segreto del successo di Acerbis. Spesso è una delle domande di routine, a volte semplicemente un modo per lusingare passando la palla all’auto incensazione. Che con Mr. Franco non funziona, non attacca perché non è nel suo modo d’essere. Se vi capita di cadere nella trappola di quella domanda, fateci caso, il ritorno è tutta fortuna, puro caso, circostanza fortuita. E in fondo si parla sempre di “Quelle balle lì”. Piccolezze, insomma. Piccolezze come le 450 persone impiegate in tutto il mondo, i tre poli produttivi in Italia, USA e Repubblica Ceca, i 100 Paesi di presenza Acerbis, fatturati che non ricordo mai perché ho pochissima dimestichezza con gli zeri, siano essi un numero o gli umani.

Le piccole cose. Fatto sta che il segreto non salta fuori. Probabilmente perché non è un segreto ed è nascosto, normalizzato dalla sua stessa evidenza. Con Mr. Franco ho viaggiato molto, soprattutto alla Dakar. Abbiamo parlato, ci siamo confidati. Non è solo l’effetto delle lunghe notti al volante (lui, io passeggero con autista di lusso) attraverso il meraviglioso, contagioso continente sudamericano.

A quelle notti sono seguite albe fantastiche magari un po’ drogati di sonno, e lunghe giornate perfettamente normali viziate dal fatto di essere sempre straordinarie. Il flusso di conoscenza diventa naturale, vi posso dire che sono frangenti della vita in cui dalla sintonia si passa alla verità più assoluta, e le grandi cose si capiscono da quelle più piccole. Così ho imparato a conoscere Mr. Franco nelle piccole cose, poi ho cercato di imparare a vivere meglio quelle piccole cose per diventare grande a mia volta. Non per moltiplicare zeri, cioè, ma per cercare di annullare i miei zeri.

Il Motore. Attraverso questo processo di conoscenza l’”indagine” mi porta al motore di Mr. Franco. Che è l’onestà. Non quella cosa da clamore di rotocalco, quella vera. Franco Acerbis ci ha messo la passione, in quella onestà, così è diventata la sua compagna e guida silenziosa, onnipresente, anche piuttosto rigida e refrattaria alle deroghe. Onestà non è solo non truffare, non imbrogliare. Quel tipo di onestà è nei manuali delle giovani marmotte della vita. L’altra, quella della radice, richiede qualche sforzo, e per questo è spesso sottovalutata, dimenticata, elusa.

"Si deve essere onesti con sé stessi!” Grandioso proclama di tutto e di niente. E chi mi viene a controllare che non sono io stesso? Quindi mi giudico facilmente, e la maggior parte dei casi mi assolvo. Franco no. Cominciamo a non mettere la macchina nel parcheggio riservato a non abili, cominciamo a essere onesti con quel bambino che saluta al finestrino della macchina mentre passiamo veloci. Franco si ferma, si intrattiene, risponde alle domande, discute e fa questioni. Passa del tempo con l’onestà. Tutto il tempo che ci vuole. Poi passa dietro, nel bagagliaio della Land Cruiser stipata di materiale, e tira fuori le magliette per tutta la famiglia, il pallone da calcio regolamentare. Ripartiamo. “Ho fatto un po’ di pubblicità alla ditta!” Sì, ciao. Il pallone l’hai comprato stamani alla bottega, insieme ai dolciumi, perché della tonnellata di materiale “pubblicitario” è rimasto ben poco.

Campioni. Sono tutti bravi, i Campioni. Però, dice Franco, sono bravi anche quelli che non lo sono. È facile incoraggiare i campioni. Non aspettano altro e fanno intere scorte di incoraggiamenti. Ma quelli meno bravi, considerati di striscio o pro forma con una economica pacca sulla spalla? Franco, Campioni o no, studia gli stati d’animo all’arrivo, subito, appena tagliato il traguardo.

Non importa andare a chiedere, però bisogna essere lesti e attenti quando si levano il casco. In quei pochi secondi, lo sguardo in quel modo, la felicità negli occhi o l’imprecazione sorda strozzata in bocca, o nel gesto così eloquente della mano, c’è l’intera storia della tappa, della giornata di gara, a volte della carriera. Non importa dilungarsi in parole e inquadrature, come fa la televisione. Basta l’onestà dell’approccio al primo istante del dopo, Franco me l’ha insegnato. In quell’incrocio di sguardi c’è tutta l’onestà del rapporto, più che in un fiume di parole e di parodie discorsive dello stato d’animo.

I quotidiani. Franco compra 5 giornali tutte le mattine, che per prima cosa vuol dire mezz’ora di aggiornamento di sistema con la giornalaia. Vorrei fare il conto delle mezz'ore che il "Comandante" ha trascorso a parlare, nei paddock o nel Deserto, al congresso o alla stazione di benzina, con gli amici in tutto il Mondo o con perfetti sconosciuti. I giornali finiscono sul sedile della macchina. Li sfoglia al semaforo, li leggerà mrglio il giorno dopo, tutte le pagine di tutti i giornali. Attualità buttata via? No, dice. Semmai, a notizia passata, è un buon metodo per giudicare il giornalista, misurarne il livello di bravura nel serbatoio del mestiere, l’onestà nella trattazione di un’impressione che non può diventare giudizio contestualmente all’accadimento, ma solo dopo, processata, verificata, sedimentata.

Giallo. A Franco gli brucia un poco che Guido abbia tolto il giallo dal Marchio, non l’ha detto a nessuno ma l’ho capito. Però gli sarebbe bruciato di più se il figlio non avesse avuto il coraggio di stendere una mano di vernice nuova sull'immagine della “Ditta” che ora dirige in vece sua. Brillantemente. Con la sua personalità. Con lo stesso grande stile in un esempio di continuità. Però il giallo è rimasto nel Racing, e questo è giusto, per dio. È onesto. No, è normale. Si è detto che onestà è un’altra cosa. Onesto è avere la forza di lasciare che Guido e la sorella, Michela, si rompano le stesse ossa che si è rotto lui, cinquant’anni dopo, per far sì che tre colonne vertebrali di una storia si saldino in una formidabile unione di famiglia nella storia che moltiplica l’energia della “Ditta”. È onesto che Franco, e ora Guido e poi Michela, spendano del tempo di Qualità con i boss, che so, della General Electric o della BMW e con il non troppo specialista addetto allo stampaggio, perché da sopra vengono le domande dei numeri, ma dalla fedeltà alla causa di sotto vengono i risultati, e i risultati sono multipli di quei 450 più che dell’uno che è venuto dalla Germania, dal Messico, dagli USA. Il risultato viene dall’attaccamento, dall’onestà infusa nella famiglia, allo stesso modo che nella vita e nella “Ditta”.

T-shirt e Jeans. Franco si veste immancabilmente con le sue magliette, i suoi jeans griffe “Acerbis”, i guanti gialli Acerbis da lavoro. Anche questo non è un espediente pubblicitario. È qualcosa che gli piace, perché 9 su dieci ha scelto lui (e ora Guido per lui), ha fatto fare in quel modo in modo da essere personalmente soddisfatto. E ogni giorno verifica sul campo, real life mode. È possibile che a un altro non piaccia l’ampiezza del collo o la sfumatura di colore, ma non avrà mai da ridire sulla qualità del prodotto, sui soldi spesi a cui è primordiale dare il massimo valore. E non è, forse, anche questa una forma di piccola, grande onestà? Per estensione, oggi si direbbe per filosofia negando alle parole il valore del senso della potente normalità, questa considerazione della Qualità si diffonde allo stesso modo nei manufatti, nei prodotti, nei primi o secondi equipaggiamenti. Mai nei terzi, non più necessari. Sapete, sembra suggerire, quale è il grande regalo che viene da una perseverante forma di onestà, anche nei confronti degli oggetti più piccoli fatti bene, anche nel rapporto con il risultato del lavoro così inteso? Una grande serenità nella vita! Dopodiché la vita è come l’Everest. Una bella, difficile montagna ma, dieci centimetri alla volta, nessuna vetta è fuori portata, lo dimostrano quel matto di Denis Urubku o quel fenomeno di Simone Moro, amici appassionati di difficoltà venuti qui a imparare qualcosa anche dal Franco.

DNA (e ti pareva). Piccolo o grande, differenza infima se si parla di qualità, oggi si direbbe che quel modo di essere Ditta, Racing, Industria, era nel DNA degli Acerbis. Oggi tutto quello che deve essere comunicato deve passare dalla certezza di essere stato stampato all’origine della specie nel DNA. Tanto il DNA non si vede, e il test del DNA costa una fortuna e i soldi è meglio spenderli in un buon piatto di scarpinocc a Parre! Ma sapete una cosa? C’è il test della vita che non mente. E se Mr. Franco ha fatto di due terzi della sua vita un costante controllo di qualità, passando dalla vita alle cose con la medesima forza di impatto e di assorbimento, vuol dire che davvero, una volta tanto, possiamo ben essere contenti di parlare di “DNA”, perché vuol dire che, ad Albino, si continua così.

La Ditta. Ma perché sempre “Ditta”? Devo dire che è una mia libertà. Perché oggi a dire “plastica” c’è il rischio d’esser linciati, o vociati alla berlina. Franco mi prende da parte e mi invita a dire plastica cento volte, finché la parola perde di significato del guazzabuglio delle sue lettere. Poi mi fa capire che se è plastica bisogna dire che è plastica. Mi fa capire che è ora di essere onesti anche con la plastica, ed essere pronti a difenderne l’onestà quando, invece di essere buttata dal finestrino o in mare, la si riprende e la si utilizza in un altro modo, magari meno pregiato ma ugualmente onesto. E viva la plastica.

Il Guinness dei Primati. A50 a Capo Nord. Ecco, ci siamo allungati nelle riflessioni. Continuando così, ed è un piacere, ci saremmo persi la finale storica dell’Inter e le candeline, la festa di compleanno. È anch’essa una competizione, e questa volta non c’è avversario tradizionale, di fronte o di lato. C’è una singolare, emblematica, seria sfida che vuole riunisce la famiglia (in tuti i sensi, di sangue e di… plastica) ai blocchi di partenza dei prossimi 50 anni. È un record che deve battere 50 anni di primati. C’è il serbatoio da Moto più grande del mondo, 108 litri, che non è OEM o after market come tutti gli altri, è un monumento alla tecnologia sviluppata nel kaizen Acerbis, direbbero i giapponesi.

La plastica tecnologica che si mette in moto, che veste una Moto, per raggiungere una mèta mai pensata in questi termini. È un serbatoio unico, un solo pezzo, un solo stampo gigantesco, una sola opera che veste la piccola, parsimoniosa Motocicletta per darle il lustro di un’impresa. Capo Nord, 4.358 chilometri con un solo pieno di carburante. È il dieci giugno 2023, 50 anni dopo il 10 giugno 1973. Se le nozze d’oro con l’onestà posso essere considerate come un’unità di misura, ecco che si è arrivati al bivacco della prima tappa, e da lì è partita la seconda, waypoint a Capo Nord. E oltre, magari. Ecco, sono le 5 del mattino, siamo online, ancora e sempre in viaggio. Ecco il tracking.

Buon compleanno a tutti gli Acerbis di buona (e onesta) volontà che albergheranno in ciascuno di noi!

© Immagini Acerbis - Piero Batini

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