Dakar 2015. Marc Coma, il potere del quinto elemento!

Dakar 2015. Marc Coma, il potere del quinto elemento!
Piero Batini
  • di Piero Batini
Marc Coma ha vinto la Dakar per la quinta volta. Eguaglia il record storico di Cyril Neveu e il più recente di Cyril Despres, con il quale ha condiviso 10 dei 15 anni di dominio KTM. Più di un fuoriclasse, un uomo di cuore|P.Batini
  • Piero Batini
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18 gennaio 2015

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Buenos Aires, 17 Gennaio 2015. 2006, 2009, 2011, 2014 e, ora 2015. Marc Coma ha vinto la 37ma edizione della Dakar, Argentina-Bolivia-Cile. Il successo è chiaro, schiacciante, agonisticamente stupendo, psicologicamente enorme e privo di sfumature d’incertezza. Campione e fuoriclasse penta-dimensionale, Coma ha esercitato sulla Dakar e sugli avversari annichiliti un potere sconosciuto, incontrastabile, esemplare. Marc ha annientato la concorrenza, schiacciato ogni tentativo di reazione e amplificato la differenza. Marc Coma è il Muhammad Ali della Dakar, il profeta di un modo di correre che va oltre l’esperienza e la tecnica, oltre il coraggio e l’aggressività. Il quinto elemento del suo inarrivabile potere è nel suo cuore, nella saggezza giovane di un’intelligenza agonistica che sta su un’altra dimensione, sconosciuta agli altri, delicata e violenta nell’atleta votato all’obiettivo non negoziabile.

Nel giorno in cui Joan Barreda, il giovane spagnolo con cui spartiva i favori dei pronostici, dimostrava finalmente di essere all’altezza di un compito sconosciuto per lui, quel controllo del presente in funzione della visione futura che è la chiave del successo alla Dakar, Marc Coma era dato per spacciato. Aveva avuto un problema, un ridicolo (dopo tanti anni) problema alla bib-mousse della ruota posteriore. Il pneumatico aveva iniziato ad afflosciarsi. In circostanze di questo tipo lo scenario diventa terrificante, indegno nel rapporto con la gravità della situazione. Si può arrivare sul cerchio, riparare con l’ausilio di un compagno di squadra, tentare il tutto per tutto, in ogni caso lasciando sulla pista del tempo, e c’è un modo di portare il controllo della situazione al tetto della sublimazione della freddezza, calcolare i parametri di decadimento della circostanza sfavorevole e controllarne l’evoluzione, aggiornando il dato metro dopo metro, e subire un danno accettabile ma evitare il dramma. Così ha fatto Marc Coma.

12 minuti di ritardo, pur sempre una frattura abissale sul sentiero del successo, e undici giorni davanti a se per raddrizzare la situazione. Sono stati giorni agonisticamente bellissimi, di tensione sportiva e psicologica enorme, esaltati dalla “tenuta” di Barreda e dalla concentrica serenità del penta-campeon.

Il settimo giorno metà dello svantaggio era limato, ma restava l’altra metà, e il giorno dopo è arrivata la mazzata ferale della Dakar che ha creato i presupposti del crollo di Barreda. La famigerata tappa di ritorno da Uyuni, seconda metà di una Marathon ignobile, gratuita, colpevolmente irrispettosa nei confronti dei piloti. Fortune e sventure si rovesciano nel gelo acquitrinoso del Salar, e Barreda è costretto alla resa. La sua moto, già messa alla frusta il giorno precedente non va più, si rifiuta di avanzare. Quel giorno Marc torna al bivacco di Iquique con la vittoria in tasca, ma non con la felicità nel cuore, non pienamente come era nel suo diritto. Il pensiero del fuoriclasse era rimasto nel Salar, punizione ingiusta imposta ai piloti, campioni e amatori non importa, uomini.

Il resto è cronaca spicciola, controllo facile di circostanze già viste e sapute gestire alla perfezione. L’inesorabile costrizione al secondo posto del commovente Paulo Gonçalves, un risultato che ripaga almeno in parte l’impegno del portoghese e la sua sfortunata 36ma edizione letteralmente andata in fumo, ed esalta lo spensierato debutto dell’australiano Toby Price sul podio al primo colpo e vincitore di una tappa, soddisfazione che fior di piloti non sono riusciti a provare pur provandoci per tutta la carriera.

Si parla dell’uomo, del pilota, e si tende a dimenticare la macchina. KTM. Anche questa è il frutto di un lavoro e di un impegno globale votato ad un unico obiettivo, perseguito e centrato con la stessa intelligenza del cuore, basandosi sull’esperienza ma anche sulla sobrietà, sull’evoluzione in luogo della rivoluzione. La macchina accompagna il pilota, meglio quindi se entrambi cercano quella sintonia di intenti e di efficacia che può moltiplicare il potenziale di entrambi. I risultati, sull’uno e sull’altro fronte, sono evidenti, schiaccianti, molto belli.

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