MotoGP. Marco Rigamonti: “Zarco, ragazzo sensibile, pilota umile”

Giovanni Zamagni
Il nuovo capo tecnico racconta a Moto.it come è andato il debutto di Johann sulla Ducati, quali sono le sue qualità, dove deve ancora migliorare. Secondo l’ingegnere italiano, l’ex pilota della KTM ha un grande potenziale e la possibilità di fare bene
31 marzo 2020

Oggi con Skype vi porto a casa di Marco Rigamonti, ingegnere di pista di Johann Zarco nel team Ducati Avintia. Rigamonti, dopo 13 anni da ingegnere interno Ducati, ha seguito Andrea Iannone in Suzuki, dove è rimasto fino alla scorsa stagione, per poi tornare quest’anno a Borgo Panigale nel ruolo di capo tecnico di Zarco. 

La chiacchierata con Rigamonti inizia con un confronto tra il metodo di lavoro tra la Casa italiana e quella giapponese.
“Intanto, bisogna sottolineare una differenza importante: in Ducati io ero un “interno”, mentre in Suzuki facevo parte del team, ma non lavoravo nella fabbrica in Giappone. Cambia molto: in Ducati sapevo esattamente tutto quello che veniva fatto, quali sviluppi seguiti, quale materiale veniva portato in pista, mentre in Suzuki non sapevo nulla, per esempio, di quello che veniva scartato. In pratica, al team in pista arrivano solo i pezzi già scelti”.
 

Interessantissimo quello che Rigamonti racconta di Zarco.
“Dal punto di vista umano ho trovato un ragazzo introverso, che ha bisogno di calore e di “coccole”. Questo aspetto è forse per lui più importante che trovare il “click” giusto sulla forcella… Non a caso, in questo periodo ci sentiamo spessissimo, proprio perché lui ha questo bisogno di rapporti umani. Tecnicamente ho trovato un pilota molto umile, che si mette in discussione: nei suoi resoconti non dà mai colpa alla moto, ma si mette in discussione in prima persona. Dice: in quel punto non sfrutto bene la moto. Non dice: la Ducati in quel punto non va bene. Mi ha confidato che in KTM non era pronto a pilotare e a fare lo sviluppo, a individuare il pezzo giusto. Questo lo ha un po’ destabilizzato. In Ducati è diverso, sa di avere a disposizione una moto (la GP19, NDA), che con Dovizioso ha vinto: può concentrarsi solo sulla guida. Ha bisogno di tempo: lui non è un pilota da “time attack” e nella simulazione che abbiamo fatto in Qatar è andato più veloce negli ultimi giri. Lui ha guidato questa moto solo per sei giorni, deve fare chilometri, ma è uno che può stare tranquillamente nei primi dieci. Gli mancano automatismi, ha bisogno di 4-5 gare almeno. Rispetto alla Yamaha, ha capito che deve sfruttare meglio la frenata e l’anteriore”.

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