MotoGP 2020. Processo alla Ducati. L’opinione di Zam

MotoGP 2020. Processo alla Ducati. L’opinione di Zam
Giovanni Zamagni
A tre gare dal termine, Andrea Dovizioso è ormai fuori dalla lotta per il titolo, al di là di quello che dice la matematica. “Non abbiamo la velocità, impossibile pensare al campionato” non ha dubbi Andrea. Eppure, senza Marquez in pista, il Dovi era il favorito: che cosa è successo?
26 ottobre 2020

La matematica dice che Andrea Dovizios, a -28 dalla vetta, quando in palio sono rimasti 75 punti, è ancora in lotta per il titolo. Ma il 13esimo posto di Aragon2, ha sancito (quasi) definitivamente la fine dei sogni del pilota italiano e della Casa di Borgo Panigale.

Eppure, dopo il podio conquistato a Jerez1, nel giorno in cui Marc Marquez, purtroppo, usciva dal mondiale, sembrava il preludio di una stagione trionfale, con il Dovi grande favorito alla conquista del campionato. E’ andata molto diversamente: perché? Per una serie di motivi.

 

Gestione piloti: voto 2
Il primo errore, inconfutabile, è stata la gestione dei piloti, a dir poco fallimentare. Danilo Petrucci licenziato ancora prima dell’inizio del campionato, Andrea Dovizioso tenuto sulla graticola fino all’esasperazione. Con una serie di scuse per rimandare l’accordo con l’unico pilota che negli ultimi anni è stato capace di vincere con regolarità, primo contendente di Marquez nel campionato: si è iniziato parlando di una richiesta economica troppo onerosa; poi si è detto che si volevano verificare le motivazioni di Andrea; quindi che si sarebbe aspettato fino a dopo l’Austria per valutarne le prestazioni.

Come se un pilota in Ducati da otto anni avesse bisogno di guadagnarsi la conferma con due, tre GP andati più o meno bene o male. Assurdo. Con l’ovvio risultato di portare all’esasperazione il pilota, che a differenza di Borgo Panigale ha avuto il coraggio di dire basta. Con conseguenze ovvie: una tensione dentro al box che toglie serenità, stimoli, voglia di fare la differenza. Ai tecnici e ai piloti.

Competitività moto: voto 4
La nuova Michelin posteriore ha creato una serie infinita di problemi, che il “motorone” Ducati, rimasto tale anche quest’anno, non è riuscito a coprire. In alcune occasioni, i cinque piloti più forti sono riusciti a essere competitivi, hanno vinto e sono stati protagonisti di ottime prestazioni, ma sempre senza continuità e quasi mai con più piloti veloci contemporaneamente nello stesso GP. Come se il risultato positivo fosse determinato più dalla capacità del pilota ad adattarsi alla singola situazione, piuttosto che per una reale competitività della moto.

Non solo: una serie continua di problemi tecnici, che hanno privato Bagnaiaia e Miller di un podio quasi certo (a Jerez2 e a Le Mans), o hanno spesso tenuto fermo ai box per lunghi minuti Dovizioso (in moltissimi turni). E da più gare, Petrucci sottolinea come la sua GP20 sia lenta in rettilineo. Durante l’anno, non è stata trovata una soluzione per far funzionare bene la gomma posteriore: la differenza con la Honda, sotto questo aspetto, è molto evidente. Lavorando su elettronica e ciclistica, la HRC in tre mesi è riuscita a trasformare la RC213V da moto difficilissima e guidabile solo da Marc Marquez, a moto stabile, precisa, veloce con più piloti. La Ducati no, la moto non ha fatto un solo passo in avanti.

Supporto a Dovizioso: voto 3
Nonostante tutto questo, Andrea, più per demeriti altrui che per meriti propri, è rimasto in corsa per il titolo fino a due GP fa. Ma invece di assisterlo, incoraggiarlo, la Ducati lo ha abbandonato a sé stesso, dando la sensazione di non fare nulla per provare a vincere questo mondiale.
Non l’ha mai supportato, non gli ha dato il sostegno che avrebbe dovuto avere, anche a costo di decisioni scomode, l’ha portato all’esasperazione, anche dopo l’annuncio del divorzio.
Se è stato questo il motivo lo sanno solo a Borgo Panigale, ma il risultato è evidente: una frustrazione continua, uno spreco di tante, troppe occasioni.

Piloti: voto 6
In tutto questo, i piloti non hanno certo brillato come avrebbero dovuto e anche Dovizioso ha reso meno delle aspettative e delle sue possibilità. Sicuramente lui, come Petrucci (limitiamoci ai piloti della squadra interna), ha delle colpe, avrebbe potuto fare di più.

Ma solo in linea teorica: dopo aver subito per mesi attacchi continui più o meno diretti, evidenti o più subdoli, è già tanto che sia arrivato fino a lì.
Non è un caso, secondo me, che l’unica gara che è riuscito a vincere sia stata quella immediatamente dopo l’annuncio dell’addio alla Ducati: in quel caso, Andrea ha trasformato la rabbia in energia positiva. Poi, è diventata solo frustrazione.

Che peccato. Chissà se ricapiterà una situazione così.