Dietro le quinte della MotoGP: Elisa Pavan

Dietro le quinte della MotoGP: Elisa Pavan
Giovanni Zamagni
Elisa Pavan, per tutti la “Pina”, ha mille cose da fare e passa ore e ore nel suo ufficio. Ufficialmente è l’addetta stampa del team LCR di Lucio Cecchinello, ma la Pina fa di tutto e di più | G. Zamagni
26 giugno 2013


La si vede poco in giro nel paddock, perché Elisa Pavan, per tutti la “Pina”, ha mille cose da fare e passa ore e ore nel suo ufficio. Ufficialmente è l’addetta stampa del team LCR di Lucio Cecchinello, ma la Pina fa di tutto e di più. E lo fa molto bene. Da anni nel motomondiale, Elisa sa perfettamente come muoversi in un ambiente tipicamente maschile, sapendosi adattare a ogni circostanza: sotto molti aspetti, è un vero e proprio punto di riferimento.


Nome e cognome?
«Elisa Pavan»

 

Detta?
«La Pina»


Perché?
«Quando ho iniziato a fare questo lavoro nel 1999, collaboravo con alcuni ragazzi che lavoravano nel team di Matteoni (Massimo Matteoni, grande tecnico, con il quale hanno iniziato a correre nel mondiale, tra gli altri, Marco Melandri, Manuel Poggiali, Marco Simoncelli, NDA), che usava chiamare i suoi ragazzi “Pino”; essendo io l’unica donna nel team, hanno cominciato a chiamarmi “Pina” e “Pina” sono rimasta».


Nata dove e quando?
«A Padova il 27 aprile 1976».


Che scuola hai fatto?
«Istituto tecnico per il turismo, al Garotti di Venezia, proprio sulla laguna. E’ un istituto dove si studiano principalmente le lingue e le materie turistiche per poi andare a lavorare sulle navi da crociera, o come hostess negli aeroporti, tour operator, cose così».


Sei appassionata di moto?
«Mi sono appassionata adesso, perché ormai da 15 anni le moto fanno parte del mio lavoro. Prima non le seguivo, non ho mai avuto nemmeno il “cinquantino”, non l’ho mai chiesto ai miei genitori».


Come sei arrivata in questo ambiente?
«Ho iniziato con il team Martin Racing, famosa squadra di motocross, che dista da casa mia circa 5 minuti a piedi. Finita la scuola avevo mandato in giro dei curriculum per trovare un lavoro, compreso alla scuderia Martin, che non sapevo nemmeno cosa facessero. Hanno visto che sapevo le lingue ed ero abbastanza sveglia, mi hanno subito “buttato” in mezzo al fango: mi hanno detto “vai”. Lì è iniziato tutto».


Quindi, qual è stata la prima gara che hai visto?
«Nel motocross gli assoluti d’Italia in una pista, della quale non mi ricordo il nome, dalle parti di Treviso: rimasi impressionata dal coraggio che avevano quei ragazzi, totalmente coperti di fango».


E in pista qual è stata la tua prima “gara”?
«Credo Jerez de la Frontera, nel 1999: lì rimasi allibita dal casino che c’era, perché in quegli anni Jerez era il GP più caotico in assoluto. All’epoca io dormivo in circuito, nel camion, ma era impossibile chiudere occhio!».


Come sei arrivata al motomondiale?
«Nel 1999, quando lavoravo nel motocross, la squadra Martin era gestita da “Robe di Kappa” della famiglia Benetton, che in quel periodo facevano anche il motomondiale con Poggiali, che era al debutto. Ho fatto 4-5 gare nel motocross e quando hanno visto che sopportavo tutto, che potevo stare con gli uomini dalla mattina alla sera, mi hanno detto: ti facciamo fare il motomondiale e vediamo come vai. Ho iniziato a lavorare con la squadra che all’epoca era gestita da Mauro Noccioli (altro stimato tecnico italiano, oggi a fianco di Aleix Espargaro in MotoGP, NDA)».


Adesso che lavoro fai?
«In teoria sono l’addetta stampa e responsabile della logistica del team LCR, ma in questo team ci sono un sacco di cose da fare, si fa un po’ di tutto, bisogna adattarsi: Lucio (Cecchinello, NDA) è una persona che dà tanto, ma vuole tanto in cambio. Con Lucio ho un bellissimo rapporto: ci sopportiamo, litighiamo – giustamente -, però ormai l’intesa è talmente grande che spesso non è più indispensabile confrontarsi, perché lui sa che io faccio quello che devo fare e si fida al 100%».


Raccontaci un po’ cosa fai dalla mattina alla sera.
«Intanto bisogna gestire tutti i viaggi della squadra, sia dello staff tecnico sia di quello dell’hospitality: i tecnici sono sette, ma abbiamo il neozelandese, il belga, il tedesco, uno che abita a Nizza, un altro a Barcellona, uno a Madrid, uno a Belstaff. Non è quindi facile gestirli tutti, perché partono tutti da aeroporti differenti, mentre per quanto riguarda l’hospitality bisogna organizzare i viaggi degli artisti, dove e quando devono parcheggiare i bilici, quando ripartire: è un po’ complicato, ma quando ci fai la mano riesci a gestirli. Inoltre, io fortunatamente lavoro da tanti anni con gli stessi ragazzi, so bene le loro esigenze. Per quanto riguarda la comunicazione, da quest’anno gestisco completamente l’agenda di Stefan Bradl, sia i suoi impegni personali sia quelli richiesti dal team, poi mi occupo dei comunicati stampa, del sito internet, facebook, twitter, anche se non sono proprio una grande appassionata dei “social network”. Inoltre do una mano a Lucio nella gestione dei pass, cercando di assecondare le richieste degli sponsor: “siamo in 2, siamo in 3, veniamo sabato, veniamo domenica…”. Noi, a differenza degli altri team, non abbiamo uno sponsor principale, ma ne abbiamo tanti differenti che ruotano durante la stagione ed è più difficile dire di no, anche perché Lucio dice sempre di sì: i pass, quindi, a noi non bastano mai, nemmeno in Qatar, l’ultimo posto in mezzo al deserto, dove non c’è mai nessuno (Posso assicurare che la gestione dei pass è complicatissima, ci sono team che hanno una persona che fa solo quello, NDA) e devo quindi darmi da fare per recuperare i pass mancanti».


Questo ai GP; quando sei a casa cosa fai?
«Principalmente seguo la logistica, perché prima prenoti e meno paghi: bisogna sempre portarsi avanti con le prenotazioni. Inoltre, da qualche tempo, Lucio ha realizzato assieme ad altri collaboratori un nuovo progetto, il magazine “Inspire” (davvero ben fatto, NDA), che sta andando alla grande e piace a tutti: era partito un po’ come un gioco, ma visto il successo che ha avuto è diventato un lavoro impegnativo, per me, per i fotografi, per i grafici».
 

Vantaggi e svantaggi di essere una donna in un ambiente prettamente maschile.
«Ho la fortuna/sfortuna – dipende dal punto di vista – di avere un carattere molto forte: non mi sono mai fatta mettere i piedi in testa. Sono fortunata perché ho trovato persone che mi hanno sempre portato rispetto, anche se a volte non è facile stare costantemente con gli uomini per le battutine e cose così. Ma se, come dico io, hai il “pelo sullo stomaco” non c’è nessun problema. Dall’altra parte, quando sei una donna hai anche altre esigenze e in questo ambiente ti manca qualcosa, tipo fare delle chiacchiere diverse a cena, o le cose tipiche delle donne. Ma con i ragazzi del team il rapporto è così stretto che siamo come fratelli: quando sono via mi mancano famiglia e amici, ma qui nel paddock è come se avessi una mia famiglia».
 

Da quanti anni lavori con il team LCR?
«Tredici. Ho iniziato con Lucio nel 2000, poi nel 2001 sono passata alla Italjet, ma nel 2002 Cecchinello è venuto a cercarmi perché aveva bisogno di una persona fissa e sono ancora qui…: ci scorniamo, ma alla fine ci vogliamo bene».


Hai visto un sacco di piloti: chi ti ha colpito particolarmente?
«Prima che arrivasse qui Stefan (Bradl, NDA), il mio preferito in assoluto, senza nulla togliere agli altri, era Casey Stoner, con il quale ho lavorato quattro anni. Lui era agli esordi, il suo carattere lo conosciamo tutti, ma io ero riuscita a instaurare un rapporto di rispetto e affetto reciproco. Poi Casey è diventato grande, ha cambiato squadra, è diventato famoso e il rapporto è un po’ cambiato, però mi piaceva la sua genuinità, la sua purezza: puri come lui, in questo ambiente, ce ne sono pochissimi. Stoner mi aveva colpito perché aveva le idee chiare, non gli piaceva stare davanti alle telecamere, non aveva bisogno di avere l’ultimo orologio alla moda o la macchina super costosa. Casey è uno che quando sta a casa vuole andare a cavallo, fare il barbecue, andare a pesca: non gliene frega niente di andare a ballare, che so, a Milano Marittima, per farsi vedere. E’ così, molto semplice, forse perché viene da un posto dove la cultura è quella, probabilmente è normale così. Poi è arrivato Stefan, che, al di là delle apparenze, ha un carattere forte come Casey: è deciso, determinato, sa quello che vuole. Per certi versi, è tipicamente tedesco, ma è anche molto semplice, grazie a una educazione eccelsa. E stando con italiani, spagnoli, insomma, gente “casinista” si è un po’ ammorbidito. E’ l’unico pilota che ho avuto che quando gli telefoni o gli mandi una email ti risponde sempre, ti chiama quando ha bisogno di qualcosa, se ti serve una cosa si dà da fare: è uno preciso».


Invece un pilota che ti ha un po’ deluso?
«Deluso nessuno, non ho però legato con Carlos Checa: con lui non sono mai riuscita a scherzare, avevo solo un rapporto di lavoro, anche se è un bravissimo ragazzo, pure lui molto educato».


E’ un lavoro che consiglieresti a una tua amica?
«Sì, se è giovane. Se sei una ragazzina di 19-20 anni e hai voglia di viaggiare è sicuramente un bel lavoro: io ho visto posti che, probabilmente, non avrei mai potuto vedere nella mia vita. Come ho detto, devi essere “tosta”, ma il lavoro è sicuramente interessante».


Qual è l’aspetto più difficile da sopportare?
«Quando sei giovane va tutto bene: io i primi anni ero spensierata, non vedevo l’ora di andare in circuito, ma quando tornavo a casa ero comunque sempre iper attiva. Adesso, dopo tanti anni, il fisico comincia un po’ a cedere, ci vogliono due giorni per riprendersi da un GP, sono devastata: a 20 anni non è così. Ma è bellissimo».