Pharaons Rally. Mhmoud Noureldin è l'amore per il deserto

Pharaons Rally. Mhmoud Noureldin è l'amore per il deserto
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Il co-organizzatore del Rally dei Faraoni, esperto operatore del settore turistico e scientifico, ci racconta la passione egiziana, e non solo, per il deserto | P. Batini
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15 ottobre 2012

 

Il Pharaons Rally, da quindici anni realizzato da Daniele Cotto, si è andato negli ultimi anni sempre “egizianizzando”, e conta adesso sulla partecipazione organizzativa di due personaggi chiave: Mhmoud Noureldin e AbdelHamid “Mido” Abuyoussef. Esperto operatore del settore turistico e scientifico del Deserto il primo, imprenditore nel settore turistico il secondo. Due giovanotti affabili e gentili, amici di vecchia data che un giorno hanno unito le loro rispettive strade nella grande avventura del Pharaons Rally.
Abbiamo parlato un po’ con Mhmoud, scoprendo un lato inedito e molto interessante della storia di una passione. Anzi, di due passioni.


Chi è Mhmoud?

«Vengo da molto lontano, rispetto ai Rally. La mia vita l’ho trascorsa quasi per intero nel Deserto, e ci sono arrivato che ero molto piccolo, con i miei genitori che viaggiavano spesso nel Deserto egiziano. È a quel tempo che mi ha preso la passione per il Deserto. Sono stato anche molto fortunato, perché all’inizio ho potuto viaggiare molto, per piacere, e conoscere una delle anime meravigliose del mio Paese. Poco a poco è diventato anche il mio lavoro. Adesso ho un’agenzia di viaggi, Khaset. Khaset è la trascrizione del geroglifico che significa Deserto. Organizziamo viaggi, soprattutto a piedi, molte spedizioni scientifiche, trekking. A priori conosco il Deserto a piedi, non… a motore. La passione è cresciuta, è diventata una specie di amore. E ben presto mi sono posto la questione di come proteggere questa meraviglia che aveva generato e che ospitava la mia passione. Ho partecipato quindi alla formazione di tutti i parchi nazionali e delle aree protette, insieme alle autorità scientifiche, per comprendere meglio come proteggere un bene prezioso. Quando ho saputo che un Rally passava per queste aree, ho cominciato a seguirlo criticamente, a fare delle ricerche sui dettagli, a studiarne le tracce del passaggio. Non era un atteggiamento puramente distruttivo. I Rally nel Deserto sono una passione per i motori e per il Deserto, insieme, e questo l’ho sempre apprezzato, ma volevo essere certo del livello di rispetto per la natura di questi appassionati. Nel Deserto non ci sono edifici o monumenti da proteggere, il Deserto è esso stesso uno dei grandi monumenti della natura. Ho cominciato a parlarne con gli organizzatori, e ho scoperto che erano appassionati di Deserto come me».


C’è stata una svolta di “pensiero”?
«Sì, un’esperienza che mi ha toccato profondamente. Nel 2009 il mio amico Mido mi ha finalmente convinto a partecipare ad una corsa con lui, come copilota. Non avevo mai partecipato ad un rally, e l’idea mi disturbava un po’, non so se perché lo avevo scoperto, molti anni prima, nelle tracce lasciate nel Deserto, o perché ne avevo una percezione sbagliata e unilaterale influenzata dai media e dai critici. Mi sono detto: proviamo. Amo l’adrenalina delle corse e amo il Deserto. Proviamo. Sono rimasto fortemente impressionato dall’esperienza, e ne ho parlato con gli organizzatori italiani del Pharaons. È stato allora che ho scoperto che Daniele Cotto ed io avevamo una forte passione in comune, quella per il Deserto. L’amore per il Deserto. L’immagine si metteva a

fuoco. Gli organizzatori, esattamente come me, amano profondamente il Deserto. Desiderano praticare il loro sport preferito ed allo stesso tempo proteggere il Deserto. Per questo si sono gradatamente allontanati dalle zone protette, hanno fatto attenzione a non rovinare, a lasciare pulito. È cominciata così. In un solo colpo ho scoperto un’altra faccia dell’esperienza nel Deserto, altrettanto possibile ed appassionante. Prima, per diciassette anni, l’avevo attraversato lentamente, prendendo il mio tempo per conoscere ed osservare la sabbia, toccare le rocce, ammirare le incisioni e le pitture rupestri. Poi tutto ha cominciato a girare molto più velocemente, ma con sensazioni altrettanto forti».


Ed è iniziata un’altra esperienza, complementare.
«Ho corso altre due o tre volte, con il mio amico “Mido”, in Egitto e all’Africa Race, e quindi, nel 2010, ho cominciato a partecipare all’organizzazione del Rally in Egitto. All’inizio ho semplicemente trasposto ed applicato le mie convinzioni e le mie esperienze precedenti, le cose in cui avevo sempre creduto e in cui credo tutt’ora allo stesso modo. Essenzialmente il rispetto per la natura, ed il rispetto per il Paese. Egiziani e non, nel Deserto siamo tutti dei visitatori, degli ospiti, degli stranieri, e dobbiamo rispettare il Deserto in tutte le forme possibili. Per esempio non dobbiamo arrivare con le nostre cose, passare, fare quello che ci pare e tornare a casa, ma utilizzare le risorse del Deserto e del Paese».


Quali risorse specifiche?
«Per esempio le guide del Deserto, che sono espertissime e provengono quasi tutte dall’Oasi di Baharija. O facendo produrre le cose che servono al Rally, come la stampa delle mappe e dei road book, o gli adesivi dei mezzi, persino le T-Shirt, in Egitto. Così diventa una sfida un po’ più completa. Partecipo con tutto il cuore alle operazioni di costruzione del Rally, anche alle ricognizioni. In questo caso posso applicare tutte le mie conoscenze del Deserto e le cose in cui credo. Conosco molto bene il mio “piccolo” Deserto, le aree protette e anche quelle da proteggere. L’Egitto è un milione di chilometri quadrati, l’otto per cento è occupato dalla Valle del Nilo, il resto è Deserto. Ne abbiamo di spazio per costruire un Rally nel pieno rispetto della natura!».


Si ha l’impressione che l’Egitto sia sempre più presente nell’organizzazione del Rally. Una presenza chiave che si aggiunge a quella italiana.
«È vero. È quello che abbiamo auspicato e in cui crediamo. E facciamo tutto quello che possiamo per migliorare sempre di più, per rendere questa presenza utile e preziosa. L’Egitto ha passato momenti molto importanti per la sua storia, e vive con estrema attenzione tutto ciò che porta una buona immagine al Paese. È logico che, in un Paese che punta molto sul Turismo, un’iniziativa come il Pharaons sia seguita con molta compartecipazione. Ma non è il caso di definire il Pharaons italiano o egiziano. Il Pharaons è internazionale, e la sua identità nazionale è nel Deserto. Perché tutto nasce da un amore. Di Daniele, di “Mido” e mio. L’amore per il nostro Deserto».
 
Piero Batini

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