Nico Cereghini: “Certi padri fanno soltanto guai”

Nico Cereghini: “Certi padri fanno soltanto guai”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Oggi è quasi indispensabile iniziare a correre fin da bambini, per diventare campioni. Ma non è facile per un genitore saper gestire la passione, la personale ambizione e la libertà dei piccoli. Qualcuno ci riesce però
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
1 dicembre 2020

Ciao a tutti! Il padre di Jorge, Chico Lorenzo, si prende il merito della formazione del giovanissimo Joan Mir nella sua scuola di pilotini a Maiorca. E il campione del mondo si affretta a smentirlo: “dalla sua scuola ci sono passato appena, a formarmi sono stati altri!” Ma perché i padri dei piloti non se ne stanno un po’ più zitti?

In tanti anni di moto, ho visto genitori di tutti i tipi: da quelli che se ne stanno da parte in silenzio fino a quelli che nel box sono una presenza ingombrante e poco gradita. Non sottovaluto l’importanza dei genitori, ci mancherebbe altro. Papà e mamma sono quasi sempre centrali nella storia degli aspiranti piloti e nell’accensione della scintilla, andatevi a rivedere l’intervista che Zam ed io abbiamo recentemente fatto a Pecco Bagnaia, e capirete quanto entusiasmo, quanta gioia e quanta passione c’era in quei viaggi col camper che l’intera famiglia Bagnaia faceva con Franceschino, il sabato e la domenica per vederlo correre in minimoto.

Una volta si correva “contro” il parere dei genitori, qualche campione ha dovuto persino falsificare i documenti per poter scendere in pista sfuggendo al controllo. Ma capisco benissimo che oggi, per raggiungere traguardi importanti in un mondo iperprofessionale, occorra iniziare da piccoli e con buoni maestri, a cominciare, appunto, dal padre. 

Credo anche che sia possibile rispettare i tempi e i desideri di un bambino quando lo si mette a cavallo di una motina. Mi vengono in mente babbi celebri, come Graziano Rossi, Giordano Capirossi o Paolo Simoncelli, capaci di mettere i figlioli su una motoretta e lasciarli completamente liberi di divertirsi: da lì sono usciti dei campioni senza complessi, anche se purtroppo Marco non c’è più. Ma temo che la passione di papà faccia più spesso dei guai: solo una stretta minoranza di ragazzini arriva alle corse senza subire un forte stress e poi pagare un prezzo. 

Non è il caso del padre dei due fratelli Márquez. Julià lo vedete in tv, è una presenza fissa dentro il box della HRC: è una cosa che ha chiesto espressamente alla Honda. Dal 2011, con il drammatico incidente mortale del Sic, uno dei genitori vuole sempre essere accanto ai figli, per ogni evenienza. E si comprende. Márquez senior si agita molto, ma nel box sta al suo posto e non ha mai invaso gli spazi altrui.

Tutta la mia stima anche al babbo di Andrea Dovizioso, Antonio, che ancora salta sulle piste da cross e nel box non mette piede, va a bordo pista; o ai padri del neocampione del mondo Enea Bastianini e di Marco Bezzecchi: appassionati e quasi sempre presenti senza pressare sulla squadra o sui figli. Ma ci sono, e ci sono stati padri che le squadre butterebbero volentieri fuori dal box.

Anche madri, qualche volta. Un nome per tutti, tanto ormai è una cosa arcinota e pubblicamente dichiarata dai manager: la mamma di Ben Spies era pesante da reggere, dentro il box Yamaha, quando il pilota statunitense (campione del mondo 2009) correva in SBK e successivamente in MotoGP. E quasi tutti quelli che hanno seguito la vicenda pensano che il crollo psicologico di Ben, precipitato da autentico dominatore a comparsa perennemente infortunata, sia da addebitare in gran parte proprio alla sua mamma, incollata al figliolo giorno e notte.

 

Foto: bikesportnews.com