Il futuro dell'Enduro. Alain Blanchard: "Meno costi per gli organizzatori!"

Il futuro dell'Enduro. Alain Blanchard: "Meno costi per gli organizzatori!"
Piero Batini
  • di Piero Batini
“Mandato” rinnovato, Alain Blanchard guiderà l’Enduro Mondiale per altri 5 anni. Il suo primo incarico risale al 2004, e da allora l’Enduro non ha mai smesso di crescere. Ma fino a dove si può arrivare?
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
1 luglio 2015

Siamo al quarto “mandato”. Neanche i Bush tutti insieme. Alain Blanchard. Francese, ideatore del Supermotard Europeo e dell’happening fuoristradistico e indoor. Allora era una cosa molto semplice, tipo cambiare le ruote o il manubrio a una moto da fuoristrada, e divertirsi, possibilmente tutti insieme senza troppe regole o classi. Poi, nel momento in cui l’Europeo Supermotard stava per diventare, grazie ad Alain, Mondiale, la bella idea di togliergli tutto e di “affidargli” il rilancio dell’Enduro, a quei tempi alla “canna del gas”. Ingoiato il rospo, Blanchard si è rimboccato le maniche e si è messo al lavoro. Ha rinnovato lo schema delle classi, semplificandole a 3 principali, E1, E2, E3, nel 2005 ha introdotto la Classe EJ, Junior, nel 2009 la Youth Cup FIM, nel 2010 la EW, “Women”. Ha rimodellato anche la formula e lo spessore delle Gare, i Gran Premi di due giorni, cementato l’Extreme Test e introdotto il Super Test del venerdì sera. Ha cercato di dare un certo stile, pur sobrio, ed una certa omogeneità ai Paddock, alle strutture organizzative e ai servizi, e di coinvolgere un maggior numero di Marche e di Team. Ha “esportato” il Mondiale, che era essenzialmente europeo, oltre oceano, per esempio in Messico e Sud America, e “pompato” senza sosta sulla necessità di alzare il livello tecnico degli appuntamenti e, di conseguenza, dei piloti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.


Naturalmente, come in ogni famiglia, non sono tutte rose e fiori. I costi sono progressivamente aumentati, e la crisi globale ha finito per bussare, sebbene più tardi che in altri ambiti, anche a questa porta. Dunque non è azzardato affermare che il nuovo “mandato” del Promoter ABC Communication avrà, tra i compiti urgenti, anche quello di ri-allineare l’Enduro Mondiale ai tempi che cambiano.

 

Altri cinque anni di lavoro, dunque?

«Altri cinque anni. L’accordo è per il momento verbale, resta da mettere tutto nero su bianco e aspettare la comunicazione ufficiale della FIM, Alain, e suo figlio Bastien Blanchard, titolari di ABC Communications, saranno ancora i promoter del Mondiale Enduro».

 

Hai portato il Mondiale su livelli altissimi, cambiandolo molto, ma il Mondiale ora si scontra con la realtà economica globale, critica indipendentemente dalle ragioni o dai torti. Dunque, qual è il tuo programma “presidenziale” per i prossimi cinque anni?

«È vero che la crisi economica ha messo un freno, anche all’evoluzione del Mondiale di Enduro. Siamo rimasti fermi, senza la possibilità di introdurre nuove idee o di modificare lo stato attuale delle cose, più o meno per gli ultimi tre-quattro anni. Adesso è tempo di ripartire, perché dobbiamo adattarci ai tempi e alle nuove richieste della gente, degli appassionati, ma anche e soprattutto dei Club che organizzano le Gare. Abbiamo elaborato un progetto teso a ridurre i costi generali per gli organizzatori, e direi che questa è la base del nuovo progetto. Dobbiamo assolutamente aiutare di più gli organizzatori. Tutti, non solo il promoter. Bisogna che lo facciano anche la FIM e l’Industria. Dobbiamo fortificare gli organizzatori. Sappiamo bene che dagli sponsor non arrivano oggi grosse risorse, nell’Enduro non c’è il biglietto di ingresso, e soprattutto nell’Europa del Sud, l’area che ci è tradizionalmente più cara, le amministrazioni locali soffrono di più e non possono venire incontro alle necessità dei Club organizzatori dei Gran Premi. Negli ultimi anni la situazione è diventata decisamente critica, e oggi dobbiamo adattarci ai cambiamenti proponendo nuove soluzioni. Bisogna che anche l’industria si adatti e, se vuole mandare avanti il nostro sport, deve mettere mano al portafogli anche in favore della disciplina e degli organizzatori, e non più solo per i piloti. Perché se non ci sono più organizzatori, non ci saranno più gare, e non più piloti».

 

In che modo si può ridurre il costo organizzativo di un Gran Premio?

«Ritengo che da una parte si possa intervenire sui costi dei diritti, delle “tasse” federali, del servizio di cronometraggio, e dall’altra insieme all’industria per aumentare gli ingaggi ai Piloti che partecipano al Mondiale e il supporto ai Club. Oggi, al di fuori di KTM, nessun’altra Casa si mette la mano in tasca, neanche per offrire una moto all’organizzatore, un impegno che sarebbe irrisorio per la Fabbrica ma vitale per il Club. Dopo, però, sono pronte a lanciare i loro anatemi contro il Campionato, sul fatto che “cade” un po’ per questo e per quell’altro verso, che l’immagine non le aiuta a vendere le moto. Però non fanno nulla di sostanziale, neanche un piccolo gesto!».

 

Si sente parlare anche di una trasformazione del Campionato del Mondo. In che senso?

«Di chiacchiere e di voci ce ne sono sempre molte. Vuol dire almeno che c’è sempre un alto livello di interesse e di curiosità. L’idea di base è di tornare sempre più allo spirito puro dell’Enduro. Questo sport è rimasto troppo legato agli standard. La definizione delle tre classi ha permesso di dare al Mondiale un livello tecnico molto elevato, ma forse abbiamo perso un po’ di identità. Vediamo lo stesso Cross Test, per esempio, in tutti i Gran Premi, siano essi in Portogallo o in Italia o Sud America. Dobbiamo dare alle singole gare il loro carattere, la loro identità, attraverso un profilo di regolamenti più flessibile. Se per esempio in Svezia non c’è il posto adatto per fare il Cross Test, allora dobbiamo fare lì un Gran Premio con più prove in “linea”. Dobbiamo restituire alle gare le prerogative di identità dei Moto Club che le organizzano. C’è un altro fatto. Lo standard è stato buono da una parte, ma dall’altra ha consentito un grande travaso dal Cross, con una sorta di intervento sulle caratteristiche basiche dell’ambiente, sul modo di pensare, di vivere del pilota puro dell’Enduro. È cambiato il modo di stare e di parlare nel paddock, di rispettare gli organizzatori, il terreno, la moto. L’avanzare della “filosofia crossistica” ha creato un profilo di Piloti “viziati”, che guadagnano magari molto ma che si lamentano permanentemente, che meriterebbero che i loro Manager li considerassero come degli impiegati di azienda, e non come dei figli prediletti».
 


Si è sentito parlare di semplificazione delle classi…

«Chiacchiere. Dobbiamo ritrovare lo spirito. Far fare al Pilota parte del lavoro dei meccanici, come era un tempo, per esempio, o rendere più “schietto” il loro approccio con la “disciplina”. Adesso i Piloti arrivano sul luogo del Gran Premio il lunedì, e “camminano” le Speciali per giorni e giorni, anche dieci volte ciascuna, eliminano pietre e tronchi o livellando le buche. Non c’è più la scoperta, la sorpresa. Alla fine l’organizzatore non riconosce più la Speciale che ha disegnato, vi trova un’autostrada. Ecco, vietare le ricognizioni prima del giovedì, per esempio! Farli “lavorare” come era ai tempi dell’Enduro e delle sue origini. Oggi ci sono molti Piloti che vengono dal Cross. Alcuni erano fuori gioco, non avevano più un contratto e sono venuti all’Enduro per guadagnare e fare le prime donne. Sono Piloti che devono rinfrescarsi un po’ le idee e rispettare gli organizzatori, loro sì che non prendono un soldo e sono lì ad ascoltare altro che critiche!».

 

Ci torno sopra. Ridurre il numero delle classi può avere un senso?

«No. Non lo credo affatto. Non si è mai parlato di una classe unica. Mai. E poi certe classi non si devono toccare. Oggi il parco Piloti della Junior rappresenta il 40, 50% del totale. Intoccabili. Io, invece, vorrei avere una Top Class, ma senza cancellare le altre classi. Parlo dell’Assoluta. Oggi c’è ipocrisia. I migliori Piloti del Mondo vincono la loro classe, ma cercano subito di sapere come è andata in assoluto, se hanno battuto il vincitore della classe accanto o se sono stati sconfitti dal Pilota della classe attigua. Di fatto non si confrontano tra loro, ma vanno a guardare come sarebbe andata. E allora? Assoluta! Magari il confronto diretto ne penalizzerà qualcuno, ma ne valorizzerà degli altri».

 

Da anni parli di Gran Premio della tradizione”. Che vuol dire?

«Vuol dire Gran Premio con un carattere, tale per cui diventa una tradizione. E il Moto Club che lo organizza riesce a guadagnare qualcosa, almeno per non rimetterci. Riduzione dei costi, ma anche un po’ di guadagno. In Scandinavia i Gran Premi erano a rischio. Abbiamo introdotto il Super Test e loro il biglietto di ingresso, si sono “salvati” e ripeteranno l’esperienza. Suona male il biglietto nell’Enduro, lo so, c’è gente che non darebbe un euro per principio, ma magari ne spende ottocento per una marmitta da competizione, e ci sono Paesi dove regolamentare la cosa è difficile. In Svezia o in Finlandia, metti un tavolino e una fettuccia, e oggi gli spettatori si mettono da soli, ordinatamente in fila per pagare il piccolo prezzo del biglietto. Alla fine il Moto Club guadagna dieci-ventimila euro e salva l’organizzazione».

 

Quindi cambiamenti importanti e imminenti?

«Cambiamenti importanti, ma anche inevitabile progressività. Oggi vorrei fare un Gran Premio a Lumezzane o Bergamo tutti gli anni, perché sono bravissimi e operano nella culla dell’Enduro, o ritrovare il Gran Premio in Svezia sotto la neve, ma bisogna anche essere in grado di proporre a quei Moto Club qualcosa di tangibile che diventi uno stimolo alla continuità».

 

Foto: www.enduro-abc.com/

 

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