Enduro. Alessandro Botturi a ruota libera

Enduro. Alessandro Botturi a ruota libera
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Fisico possente, ex giocatore di rugby, il "Bottu" è uno dei senatori dell'Enduro italiano. Conosciamolo meglio in questa divertente intervista. Alessandro l'anno prossimo correrà nelle fila del team Bordone Ferrari
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22 dicembre 2011


Alessandro Botturi conclude la serie quest’anno delle nostre interviste. Classe 1975 il ‘Bottu’ è nato a Lumezzane ed è strettamente legato alla sua terra. Il suo primo titolo di campione italiano lo ha ottenuto nel 1998, nella 500 2T e da lì è cominciata l’ascesa di un pilota che ha cominciato tardino la sua carriera.

Come racconta lui stesso:
“E’ vero, ho iniziato tardi, nel  lontano 1991 – dice ridacchiando - ero già grande, lo so, ma ho iniziato solo allora. In realtà sono sempre stato appassionato perché a Lumezzane non è possibile non essere appassionato di enduro. Però i miei genitori mi frenavano, avevano paura e così ho seguito altri sport”

Per esempio il rugby? Lo reputavano meno pericoloso?
“Lo so che sembra assurdo però i miei pensavano, ‘meglio il rugby’.  Tra l’altro bisogna anche pensare che mio papà faceva motocross e giocava a rugby,cosa ancora più strana, no? Nonostante questo non era convintissimo della scelta di farmi correre in moto e così passò un po’ di tempo prima che mi comprasse il mio primo 125. E già dalle prime gare arrivarono i risultati positivi”

Così hai cominciato già con un 125?
“In realtà il  125, una Yamaha, è durato pochissimo perché l’ho rotto subito e così ho iniziato seriamente con il 250, una Honda, 2 tempi e feci subito secondo dell’italiano. Poi arrivarono le prime gare, le prime vittorie e le prime soddisfazioni, e cominciai a capire che questa era la mia strada. Poi nel giro di due anni ho vinto il titolo junior, e a 22 anni il senior”

Quest’anno correrai la Dakar, la passione per i rally quando è arrivata?
“In realtà c’era sempre stata, la Dakar mi piaceva e la seguivo, e poi intorno a casa c’erano tanti piloti famosi, io li guardavo tutti, da De Petri a Medardo, da Picco a Orioli. Era un po’ il mio sogno nel cassetto ma era in fondo in fondo a quel cassetto, anche se dentro di me sentivo che prima o poi il momento sarebbe arrivato”

Sicuramente ti convinse ancora di più l’incontro con Meoni.
“Certo! Lui stava provando il bicilindrico, il 950 vicino a Pordenone e il “Ferro” (mitico meccanico della Ktm Farioli) mi chiamò: a quel tempo ero pilota Ktm. “Vieni qui - mi disse – stiamo provando questa moto, vieni anche tu”. E così andai e lì conobbi Fabrizio. In realtà lo conoscevo già ma in quei giorni ebbi modo di approfondire la conoscenza. Girammo per un po’ insieme e quando ci rivedemmo, un anno dopo, lui mi disse “ Tu sei il pilota giusto per i rally in Africa”. Quella frase non l’ho più scordata”

E ora che è arrivato il momento.
“L’incontro con il team Bordone Ferrari, con Renato Ferrari – che vidi per la prima volta a Casazza, durante gli Assoluti quest’anno, fu entusiasmante, non mi sembrava neanche che potesse essere vero. Quest’uomo che conoscevo appena mi parlò poco e lasciò invece parlare me, e alla fine mi fece capire che il mio sogno si stava per avverare …”

Stai per partire ?

“Non vedo l’ora. L’idea di affrontare questa nuova avventura, questa Dakar ma anche tutta la stagione Rally Raid del 2012 mi ha dato una forza, una voglia di correre incredibili. Ho ritrovato una motivazione che forse si era un po’ affievolita, dopo tanti anni. E poi il team, le persone che sono vicine a me. Paolo Ceci mi sta dando una grossa mano, mi riempie di consigli, e io sono davvero felice”

Cosa hai provato la prima volta che hai navigato?
“In Marocco, in novembre, abbiamo fatto una sessione di test e il primo giorno Jordi Arcarons, al termine del mio giro di prova mi ha detto che sembravo uno che non sapeva andare in moto. Aveva ragione. Ero talmente concentrato sul road book che sono andato pianissimo”

Ti avrà spiegato che il segreto dei rally è trovare il giusto equilibrio fra la velocità, il controllo della strada e la navigazione.
“Lo so, e non è facile. Ma io voglio imparare e già al mio primo rally, in Marocco, al Merzouga Rally mi sono tolto delle grosse soddisfazioni. Nella prima tappa ho fatto quarto, senza seguire nessuno. Poi al secondo giorno mi sono ritrovato insieme a Jakub (Pryzgonski) e a Jordi Viladoms. Potevo seguirli, avrei forse ottenuto un tempo migliore, ma non mi sarebbe servito. Allora mi sono fermato, ho aspettato che mi distanziassero e poi sono ripartito seguendo solo il mio istinto e il road book”

Qual’è la cosa più difficile?
“Devi prendere coscienza di te stesso. Prima di tutto questo, devi sapere cosa vuoi, cosa ti aspetti, e quali sono i tuoi limiti. Poi tutto il resto verrà da solo. Mi manca l’esperienza, questo lo so, il sapere leggere le tracce sulla sabbia, interpretare il terreno, ma so che imparerò perché lo voglio fare. Anzi per la verità non vedo l’ora”

E la grande folla, il pubblico? Il calore delle persone in Sud America, ci hai pensato?
“Sinceramente no, ora che me ne parli in effetti ci penso, ma è una cosa che sono sicuro mi emozionerà e mi sorprenderà”

E troverai altri enduristi…
“Ci ho pensato e mi fa un grande piacere – e sorride di quel sorriso aperto e solare che solo lui sembra possedere -. Mi sembrerà di rivivere il Mondialino del 1998 – il mondiale riservato all’under 23: con me c’erano Coma, Rodriguez, Farres  e ora ci ritroveremo tutti di nuovo insieme”

Come ti senti a una settimana dalla partenza?
“Sono agitato, inutile negarlo! Però sono soddisfatto, abbiamo fatto un’ultima sessione di prove in Marocco, proprio pochi giorni fa. Avevo chiesto al team se potevamo andare giù, loro hanno chiamato Arcarons e lui ha detto “certo, perché no?”. In fondo provare fa sempre bene – sorride – e così abbiamo rifatto le speciali del rally del Marocco, lo Shamrock 2012. Non me la sono cavata male. Certo la navigazione va affinata però sono contento perché certe note le beccavo sempre. C’era anche Helder Rodriguez giù che si allenava e qualche volta è partito dietro di me e mi è rimasto dietro per controllarmi, e alla fine, un giorno, mi ha detto “Certo che navighi, eh?”

E la soddisfazione di Bottu – di quest’omone dal cuore tenero e dal sorriso timido - mentre lo racconta è così genuina da commuovere.