Ducati. Ragione e sentimento

Ducati. Ragione e sentimento
Carlo Baldi
In un mondo dove conta solo il business c’è ancora qualcuno che ai soldi antepone il cuore e i sentimenti. Il racconto di un weekend speciale | C. Baldi
18 ottobre 2011

Punti chiave

 

Il mondiale Superbike è terminato, ma la mente resta a Portimao ed al turbine di emozioni che in Portogallo ha coinvolto il team Althea ed il suo pilota. Nell’arco di una sola settimana Bevilacqua ed i suoi ragazzi sono passati dalla gioia per la conquista del titolo alla preoccupazione per gli avvenimenti che hanno coinvolto l’attività imprenditoriale di Genesio, dallo sconforto per il rifiuto di Ducati di accettare la loro proposta per il 2012, allo sgomento per la possibilità di perdere Checa ed infine alla gioia sfrenata data dalla sicurezza di poter continuare la loro meravigliosa avventura anche il prossimo anno e soprattutto ancora assieme a Carlos. Lacrime di gioia che si sono trasformate in lacrime di dolore e viceversa. Ma il motociclismo è bello proprio per questo, perché smuove i sentimenti.

Ma non è stato un weekend facile nemmeno per la Ducati. Si perché “la Ducati” non è un entità astratta ma è fatta di persone, di uomini con un cervello ed un cuore. Anche loro in uno stretto periodo di tempo hanno vissuto sentimenti forti quanto contrastanti. La situazione in MotoGP diventa sempre più preoccupante, soprattutto per un’azienda che per quel progetto ha dovuto abbandonare la Superbike.

La Superbike ha fatto la storia della Ducati e la Ducati ha fatto la storia della Superbike. L’azienda di Borgo Panigale ha creato il suo mito e la sua immagine in Superbike. La GP è arrivata dopo.
Roche, Polen, Fogarty, Corser, Bayliss, Hodgson, Toseland e Checa hanno portato a Borgo Panigale 14 titoli mondiali e all’ingresso del Museo Ducati una grande tabella riporta i nomi di tutti i piloti che hanno portato a 300 (ora 306) le vittorie in Superbike. Ma le strategie aziendali devono tener conto dei numeri e non dei sentimenti ed i numeri sono favorevoli alla GP. Più pubblico, più sponsor, più ritorni mediatici che si spera si trasformino in un maggior numero di moto vendute. Non c’è più spazio e non c’è più budget per la Superbike.

E sull’altare stavano per essere sacrificati anche Checa e la sua squadra. Un team nato due anni fa con la passione di un imprenditore, le capacità di un gruppo di ragazzi di Colleferro e la voglia di rivalsa di un pilota che non aveva mai vinto niente ed era prossimo al ritiro. Una bella favola. Un team privato che sconfigge i team ufficiali e che in una sola stagione conquista due titoli mondiali (marche e pilota Superbike) e due continentali (marche e pilota Superstock 1000). Ma i freddi numeri non consentono di accettare le richieste del team di Bevilacqua, anche a costo di perdere Checa.

Però la Ducati è fatta di uomini con un cervello, un cuore ed una storia. Una storia che non può essere dimenticata. Le Ducati non sono moto qualsiasi. Chi acquista una Ducati lo fa perché acquista un pezzo di questa storia. Chi guida una rossa si sente sempre un po Bayliss o un po Checa. Moto che hanno un’anima, fatte da uomini che sono fieri di produrle. Ed è per questo che “la Ducati” non poteva abbandonare Checa e la sua squadra, ed è per questo che è avvenuto il miracolo e Carlos è tornato a sorridere ed rimasto con la sua “maglietta roja”. Una volta tanto il sentimento ha prevalso sulla ragione e sulla fredda legge dei numeri. Grazie a Checa, al team Althea ed alla Ducati il mito delle rosse di Borgo Panigale continua.