Nico Cereghini: “Perché Supersic ci ha così colpito”

Nico Cereghini: “Perché Supersic ci ha così colpito”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Le immagini televisive, nella loro tragicità, sono registrate indelebilmente nei nostri cuori. Mai avevamo vissuto in diretta un simile dolore. Ma c’è molto di più, c’è che Marco era speciale | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
22 ottobre 2012

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Ne sono rimasti sorpresi anche Rossella e Paolo Simoncelli: l’affetto che li ha circondati dopo la tragedia di Sepang di un anno fa è stato enorme, superiore a qualsiasi sentimento si potesse immaginare. La gente, anche quella mai vista prima, li vuole avvicinare, li vuole abbracciare, vuole assolutamente comunicare loro che la perdita del figlio Marco è un dolore che sentiamo proprio tutti, e anche chi lo aveva visto soltanto alla televisione soffre come se avesse perduto un componente della propria famiglia. E Rossella e Paolo dicono che grazie a questo prodigio Marco è sempre vivo, che loro provano persino gioia a parlarne, che per loro è così.

E’ incredibile come la tragedia di Sepang abbia colpito il mondo intero. Dappertutto il 58 rosso è diventato un numero magico, pieno di gioia e di dolore insieme. Ed è persino difficile spiegare le ragioni di questo fenomeno, quale dinamica lo abbia provocato: perché negli sport motoristici l’incidente e la morte sono purtroppo eventi che abbiamo spesso dovuto affrontare; e però mai come questa volta ci sono sembrati impossibili da accettare. Sarà stata la diretta? Potrebbe essere. Incidenti terribili e nefasti come quelli di Pasolini e Saarinen a Monza, nel ’73, hanno gettato tutto lo sport nella disperazione, molti se lo ricordano bene quel giorno, ma nessuno o quasi nessuno ha visto le cadute dal vivo, non ci sono sequenze e fotografie, immagini crude e precise del dramma. E metabolizzare la perdita di due campioni così grandi, e di tanti altri ugualmente amati, è stato alla fine meno doloroso, se non addirittura naturale. Questa volta, invece, tutto è rimasto indelebilmente registrato al rallentatore nei nostri occhi e nel profondo del nostro cuore: la scivolata che pareva uguale a tante altre, la traiettoria inaspettata della Honda, il momento terribile dello schianto con Edwards e con Rossi, il casco che rotola lontano e la chioma immobile di Marco in mezzo alla pista. Una sequenza che non riusciamo a cancellare.

Ci colpiva quella sua capigliatura così originale, il suo visto aperto, il suo modo positivo di guardare le cose, la semplicità delle sue parole, il suo sorriso tenero e l’umorismo autentico delle sue battute


Ma dietro al nostro grande dolore c’è molto di più. Io credo che l’aver assistito al dramma non basti a spiegare tutta questa partecipazione. La verità è che Marco era un ragazzo speciale. Lo ricordate, tutti noi avevamo ormai conosciuto il pilota Simoncelli; avevamo capito che lui era il talento emergente, che stava ancora maturando per la MotoGP, non era ancora al top; ma già avrebbe potuto vincere a Jerez, andava sempre più forte e aveva già fatto due podi e persino la pole ad Assen. Ci raccontavamo della sua fretta di emergere, del suo modo aggressivo di correre; discutevamo intorno alle critiche anche feroci che gli facevano i piloti spagnoli, qualche volta aveva ragione lui e qualche volta torto. Chi lo conosceva bene sapeva che quello era il suo modo di concepire la gara fin da quando aveva esordito sulle minimoto. E Valentino Rossi diceva che il suo amico Marco, con il quale condivideva le sfide alla cava e i traversi con le moto da cross, era tanto duro in moto quando dolce nella vita.

Ecco, quasi tutti avevamo già intuito che lui era un ragazzo speciale. Ma non abbiamo avuto il tempo di dichiararlo apertamente, non lo conoscevamo ancora così bene. Ci colpiva quella sua capigliatura così originale, il suo visto aperto, il suo modo positivo di guardare le cose, la semplicità delle sue parole, il suo sorriso tenero e l’umorismo autentico delle sue battute. Forse, attraverso la televisione è successa a tutti la stessa cosa: lo guardavamo, sorridevamo, e inconsapevolmente lo avevamo già adottato in famiglia. Perdere Marco Simoncelli è stato un po’ come perdere un fratello, un figlio, un nipote. E le storie che sono emerse in seguito, tutto quello che abbiamo imparato a conoscere di lui attraverso i libri e i racconti che amici e familiari ci hanno regalato in questi dodici mesi, ha alimentato il nostro affetto per lui e la consapevolezza della perdita. Per tutto questo, Marco ci manca sempre di più.

 

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