Nico Cereghini: "A cena da Taglioni"

Nico Cereghini: "A cena da Taglioni"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Una sera del 1970 a Bologna, e la scoperta che l'ingegnere della Ducati amava le orchidee almeno quanto i motori. Il padre del desmo e del bicilindrico a L è stata una figura leggendaria e merita di tornare al centro del nostro mondo
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
23 aprile 2019

Ciao a tutti! Vi ho mai raccontato dell'invito a cena in casa Taglioni? Il padre del desmo e della bicilindrica Ducati, proprio lui in carne ed ossa, mi accolse nella sua casa bolognese nel dicembre del 1970. In realtà l'invito era destinato a Carlo Perelli, a quell'epoca il più famoso dei giornalisti motociclistici, ma non cambia molto: con Perelli c'era anche un ventenne barbuto, collaboratore e tester del noto mensile milanese, e la moglie dell'ingegnere apparecchiò per quattro.


Fabio Taglioni era un mito già allora, era in Ducati dal '54. Per me, che lo conoscevo di fama, era soltanto la mente che aveva progettato la 250 Mark 3 che ammiravo con invidia e altre meravigliose mono precedenti. Gran fumatore e voce roca, sulla cinquantina, gli occhi vivaci, il nostro ospite era un tipo ironico e alla mano che curiosamente, più ancora delle moto, amava le orchidee. Ricordo poco di casa Taglioni, un appartamento all'ultimo piano di un palazzo come tanti altri in una zona semicentrale di Bologna. Ricordo che la moglie era una signora minuta e cerimoniosa, la cena era ottima, il vino anche, ma dovetti astenermi perché poi mi sarebbe toccato guidare fino a Milano; Taglioni parlava come un fiume, Perelli tentava di estorcergli qualche informazione sulle sue creazioni meccaniche, e l'ingegnere invece (un po' per passione è un po' per strategia) preferiva restare sulle creazioni floreali. La parte più bella dell'attico era il terrazzo con le serre, che dopocena fu obbligatorio visitare. Non so quante centinaia di orchidee avesse Taglioni: si sa che gli appassionati non si accontentano tanto facilmente. Nelle serre ci si muoveva a fatica, i passaggi erano stretti, l'umidità e la temperatura accuratamente controllate, il nostro Nero Wolfe aveva applicato anche lì tutta la tecnologia a disposizione. E di orchidee ne sapeva tanto.

 

Perelli ci restò male. Avrebbe voluto sapere tutto sulla attesissima GT 750, la prima bicilindrica a L (per il momento ancora senza desmo) progettata dal nostro e che pochi mesi prima era stata fotografata nei test sulla pista di Modena; avrebbe voluto chiedere al progettista se dopo il modello turistico sarebbe magari arrivata anche la sportiva, indagare sulle voci che davano la Ducati impegnata addirittura a preparare un prototipo per la Formula 750 e le 200 Miglia che stavano infiammando gli sportivi. Tante cose stavano bollendo in pentola in quell'inverno, il marchio Ducati stava per tornare grande. Invece, di moto si parlò poco. A un certo punto suonò il citofono, comparvero due ragazzi tedeschi con i caschi in mano, vollero che Taglioni li firmasse con il pennarello tedesco che si erano portati da casa. La celebrità del direttore tecnico Ducati era già internazionale.

 

Perché vi racconto tutto questo? Perché il pezzo di Massimo Clarke della settimana scorsa (leggi qui), sulle intuizioni che hanno ribaltato la tecnica, mi ha ricordato Fabio Taglioni; e poi perché l'ingegnere, scomparso nel 2001, era nato a Lugo nel 1920. L'anno prossimo avrebbe compiuto cento anni. E allora raccomando alla Ducati - ammesso e non concesso che in azienda non ci abbiano già pensato - di celebrare l'ingegno di Taglioni con un grande evento. Oggi la Ducati è una azienda molto importante, e anche se la proprietà, come tutti sanno, è in mani straniere, la testa e il cuore del marchio restano italianissimi. Il padre del desmodromico (e di tanti altri progetti originali) rappresenta magnificamente ciò che la Ducati vuole essere anche oggi e sarà domani: la passione, l'intuizione, la tenacia, la fedeltà a un'idea. Taglioni for ever!

Nico Cereghini - Taglioni