Il ritorno dei chopper

Il ritorno dei chopper
Alberto Capra
Café racer, scrambler, bobber? Siete indietro, ragazzi...
19 marzo 2015

Da che la customizzazione si è fatta largo nella cultura motociclistica pop diventando un vero e proprio fenomeno di costume, alterni trend hanno caratterizzato il mercato, in una infinita ricerca di quanto sia possibile ripresentare, oggi, della produzione passata.

Se avete in mente di realizzare l’ennesima scrambler da una stradale anni ’80, sappiate che il rischio di passare inosservati è davvero molto alto. Stessa cosa per un bobber, peggio ancora per una café racer. Per fare la vostra porca figura, giù al bar, date ascolto a noi: il non plus ultra del fighettismo mondiale, attualmente, è un chopper lungo due metri. Quanto di meglio per far uscire definitivamente di testa chi, della sua passione per la moto, si è sentito un poco defraudato, negli ultimi anni.

Per il vero, pur nella loro folle scomodità e nell’assenza di qualsiasi virtù da un punto di vista dinamico, i poveri chopper una dignità ce l’hanno eccome. Bisogna avere la pazienza di ricercarla nelle loro origini, nel come e perché furono concepiti.

La loro nascita si deve alle modifiche operate sulle moto di seconda mano acquistate alle aste organizzate con le eccedenze dei mezzi destinati alla seconda guerra mondiale. Delle special ante litteram, insomma (e, non a caso, in Europa, abbiamo identificato per molto tempo quel segmento di mercato con il termine custom). Molti giovani americani, infatti, in quel periodo, non potendosi permettere delle moto nuove, presero a mettersi in casa modelli con dieci o quindici anni sulle spalle – in un momento in cui venti erano gli anni che separavano dalla preistoria, motociclisticamente parlando. Sonny Barger, nel suo Hell’s Angel, lo racconta bene: avevano bisogno di moto veloci, con cui percorrere molta strada, su strade dritte come fusi.

Da qui la posizione di guida “aerodinamica” e la scelta di manubri alti e stretti. Le moto erano quello che erano, tanto che, per sua stessa ammissione, qualche tempo più tardi avrebbero fatto bene a sostituirle con le più affidabili e performanti giapponesi, che nel frattempo avevano invaso il mercato. Ma, a quel punto, l’immagine di quel tipo di moto era divenuta inseparabile da quella di chi, su quei mezzi, aveva scorrazzato per oltre una decade – dando vita, senza neppure volerlo, ad un vero e proprio fenomeno culturale.

Molto di ciò che in questo momento va davvero di moda si ispira proprio a quegli anni: dai jeans, alle scarpe da lavoro, dalla barba, ai capelli impomatati, dai tatuaggi old school, ai già citati bobber. La deriva chopper rappresenta una naturale evoluzione, quasi stessimo rivivendo, in continuità – pur se in tempi ristretti – quello stesso percorso. Il nostro Paese, la terra dei motori (detta con accento romagnolo ma nella più ampia accezione possibile) si è sino ad ora più o meno inconsciamente opposta a questo trend: da noi la voglia di aprire il gas è ancora tanta, le curve non mancano e i centri storici sono stretti.

Ma, fateci caso, anche qui se ne vedono sempre di più, in giro, e alcuni costruttori hanno fiutato l’affare: chi non aveva modelli di questo genere ha cominciato ad avvicinarsi a questo segmento, chi già ne possedeva ha spinto molto, a livello pubblicitario, proprio su quell’immaginario. Insomma, quando, fra qualche anno, anche la vostra città di provincia sarà invasa da moderni ribelli part-time, non dite che non ve l’avevamo detto.