I tre cilindri fatti strani

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Tra i motori tricilindrici con architetture inconsuete le proposte audaci non sono certo mancate (Seconda parte)
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
2 gennaio 2021

Anche se non sono diffusi come i motori a due e a quattro cilindri, da svariati anni a questa parte sono in produzione diversi tricilindrici a quattro tempi, tutti in linea.
In un passato ormai lontano però la situazione è stata a lungo differente.

Nel primo mezzo secolo della storia della moto i modelli a tre cilindri sono stati pochissimi. Anzi, per lungo tempo non ce ne sono stati affatto. In effetti si sono dovuti attendere gli anni Sessanta avanzati per vedere motori da Gran Premio (MV Agusta) e di gran serie (BSA e Triumph) con questo frazionamento, già proposto dalla Guzzi nell’anteguerra.
Per i due tempi la storia è stata diversa: negli anni Cinquanta le DKW da competizione di 350 cm3 erano azionate da motori tricilindrici a V (schema ripreso dalla Honda all’inizio degli anni Ottanta con la sua NS500). In quanto alla produzione di serie, negli anni Settanta hanno avuto una larga diffusione le Kawasaki e le Suzuki tricilindriche.

Tornando ai motori a quattro tempi, i primi tricilindrici apparsi sulla scena, all’inizio del XX secolo, avevano una architettura a ventaglio.
Grande pioniere in questa direzione è stato Alessandro Anzani, che oltre ad essere un ottimo tecnico era anche un valido pilota.

Dopo essersi trasferito nel 1900 dalla natia Milano in Francia, ha ben presto iniziato la sua attività (in campo sia motociclistico che aeronautico) di progettista e di costruttore. La prima traversata aerea della Manica è stata compiuta da Louis Bleriot nel 1909 con un velivolo dotato di un motore Anzani con tre cilindri disposti a ventaglio. Tricilindrici con questa stessa architettura il tecnico milanese li ha realizzati anche per diverse moto destinate ad impiego agonistico, in gare che assai spesso si svolgevano nei velodromi.

In questa Anzani del 1907 si può osservare la disposizione longitudinale della W formata dai tre cilindri. L’estremità sinistra dell’albero a gomito era direttamente collegata alla ruota posteriore da una cinghia
In questa Anzani del 1907 si può osservare la disposizione longitudinale della W formata dai tre cilindri. L’estremità sinistra dell’albero a gomito era direttamente collegata alla ruota posteriore da una cinghia

La disposizione a ventaglio (o se si preferisce a W) dei tre cilindri è stata adottata anche da Lino Tonti per un prototipo di 1000 cm3 realizzato alla Guzzi nei primi anni Ottanta, che è stato lungamente provato al banco.
A differenza dei motori Anzani, i cilindri in questo caso erano disposti a W trasversale e non longitudinale. In pratica era come se in una V65 l’angolo tra i due cilindri fosse stato aumentato, portandolo a 130°, e al centro fosse stato piazzato un terzo cilindro.
La distribuzione era ad aste e bilancieri con due alberi a camme nel basamento. Sono state provate teste sia a due che a quattro valvole.

Un motore stellare a tre cilindri, distanziati uno dall’altro di 120°, è stato realizzato attorno al 1919 dall’inglese Redrup. Era stato ideato per azionare pompe e generatori ed era di struttura assai semplice: distribuzione a valvole laterali, cilindri complanari e albero a gomito con un singolo perno di biella.
Aveva una cilindrata di 309 cm3 ed è stato costruito in un centinaio di esemplari, dei quali una trentina pare che siano stati utilizzati per delle moto, disponendoli frontemarcia, ovvero con asse dell’albero a gomito longitudinale.

Assolutamente straordinaria dal punto di vista estetico, la tedesca Killinger & Freund non era da meno anche da quello meccanico.
È stata costruita a Monaco nel 1938, pare in un solo esemplare. Realizzata da cinque tecnici geniali ma forse leggermente visionari, non ha potuto essere sviluppata per entrare in produzione di serie a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Lo styling addirittura rivoluzionario rappresenta uno dei più incredibili esempi di art deco applicata al mondo del motorismo. Il motore era incorporato nella ruota anteriore e risultava pressoché invisibile in quanto nascosto dal parafango avvolgente dalla pregevole estetica. Non si trattava di uno stellare, come quello della famosa Megola degli anni Venti, ed era a due tempi.

Ognuno dei tre cilindri, disposti a 120°, aveva il proprio albero a gomito (con la relativa camera di manovella) recante a una estremità una ruota dentata in presa con un ingranaggio centrale che portava il moto alla frizione a al cambio a due marce, del tipo a ingranaggi epicicloidali.
L’ammissione in tutte e tre le camere di manovella era controllata da un distributore rotante unico. I tre cilindri non erano disposti radialmente ma tangenzialmente. Il motore, che aveva una cilindrata di 600 cm3 (alesaggio e corsa = 62 x 64 mm), era raffreddato ad aria, con la ruota anteriore che, grazie a tre gruppi di quattro razze a profilo aerodinamico, fungeva da vera e propria ventola.
Difficile immaginare qualcosa di più anticonformista e avveniristico…

Nella poderosa Triumph Rocket 3 oltre alla incredibile cilindrata (ben 2460 cm3) spicca l’architettura del motore, a tre cilindri in linea longitudinale; in questo caso però sono verticali e non orizzontali come nella K75
Nella poderosa Triumph Rocket 3 oltre alla incredibile cilindrata (ben 2460 cm3) spicca l’architettura del motore, a tre cilindri in linea longitudinale; in questo caso però sono verticali e non orizzontali come nella K75

I tricilindrici hanno oggi una buona diffusione e, come i loro predecessori raffreddati ad aria degli anni Sessanta e Settanta, hanno tutti una architettura in linea trasversale.
In questa sede sembra opportuno accennare a due moto nelle quali i tre cilindri sono disposti invece in linea longitudinale, ovvero uno dietro l’altro. Questa soluzione, che richiede ovviamente il raffreddamento ad acqua, si sposa bene con una trasmissione finale ad albero.

A proporla per prima è stata la BMW con la sua K 75 apparsa a metà degli anni Ottanta. In questo caso, come nella K 100 dalla quale la moto derivava, i cilindri erano orizzontali (l’architettura era cioè a sogliola). Il motore di 750 cm3 aveva la distribuzione bialbero ed erogava 75 CV a 8500 giri/min. Questo è stato il primo tricilindrico ad essere dotato di un equilibratore dinamico.

Più di recente è stata la Triumph a mettere in produzione un motore in linea longitudinale. A differenza di quanto fatto dalla BMW, i tre cilindri sono in questo caso disposti verticalmente. Si tratta della imponente Rocket III, apparsa nel 2004. Con questa moto la casa inglese ha stabilito un record in fatto di cilindrata (2,3 litri) e di coppia motrice. Non contenta ha alzato ancora l’asticella con la Rocket 3, entrata in scena nel 2019, raggiungendo i 2,46 litri, ottenuti con un alesaggio di 110,2 mm e una corsa di 85,9 mm.
La cilindrata unitaria è arrivata a 819 cm3 e la coppia a ben 221 Nm.

Un posto a sé merita la Nembo 32, della quale ci siamo già occupati alcuni anni fa, all’atto della sua presentazione.
Si tratta di una moto unica caratterizzata da una architettura costruttiva (ideata da Daniele Sabatini) che rovescia i canoni tradizionali, disponendo i cilindri e le teste in basso e il basamento in alto.

Stando alle informazioni fornite dal costruttore il motore tricilindrico nella versione di 1800 cm3 eroga circa 180 cavalli, con una coppia di 170 Nm, e in quella di 2000 cm3 arriva 200 CV (a un regime di tutto riposo: soli 7500 giri/min).
Sono comunque previste versioni ancora più potenti. La distribuzione è monoalbero a due valvole per cilindro, con comando a catena collocato sul lato sinistro.

Raffreddato ad aria per ragioni sia tecniche che estetiche, il motore ha cilindri singoli e un albero ausiliario di equilibratura. La lubrificazione è a carter secco (del resto non potrebbe essere diversamente, dato lo schema costruttivo adottato!). La soluzione con il basamento in alto consente a quest’ultimo di sostituire il telaio. Il collegamento al cannotto di sterzo è affidato a una struttura in tubi e il forcellone è fulcrato direttamente nella parte posteriore del gruppo motore-cambio.

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