I Racconti di Moto.it: “Throttle”

I Racconti di Moto.it: “Throttle”
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Sarà una bellissima giornata di sole, si capisce da come spira il vento leggero dell’alba. Viaggiare di notte in moto con la testa tra le nuvole è romantico ma...
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
17 maggio 2013

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Sarà una bellissima giornata di sole, si capisce da come spira il vento leggero dell’alba. Viaggiare di notte in moto con la testa tra le nuvole è romantico ma farsi agganciare per lo specchietto retrovisore da un auto in corsa, per poi essere proiettato senza scampo verso il ciglio dell’autostrada frantumando la motocicletta e ruzzolando con la faccia parallela all’asfalto, porco mondo, farebbe incazzare pure un santo: ho solo qualche graffio e devo ringraziare chi protegge dall’alto la gente mite e timorata di Dio; se prendo quel criminale bastardo che mi ha speronato lo strangolo a mani nude, lo lascio essiccare al sole come un polpo e lo restituisco alla famiglia in salamoia. Ma adesso, spolverato il mio ego ferito dalla polvere della caduta e attesa l’aurora per mettermi in marcia, ho un problema più urgente da risolvere: arrivare a Milano in tempo.

Ci ho ripensato, se prendo quello lì, lo infilzo con un cacciavite; a croce.

 

Sarà una terribile giornata di caldo assassino e di aria condizionata a palla; i consumi di questa automobile saliranno, ma non c’è alternativa: o così, o mi pezzo le ascelle e non voglio, io mi presento sempre impeccabile. La notte è finita, l’alba sembra quasi un miraggio. Ho guidato vigile e reattivo grazie a caffè e musica ad alto volume, i pensieri sempre incatenati a lei. Credo che appena sarò a Milano la chiamerò per dirle che sono arrivato, l’ennesima scusa per sentire la sua voce e immaginarla schiudere le labbra di seta diventate, dopo una notte di sonno, un piccolo cuore carnoso. Magari l’anno prossimo cambio lavoro, dai.

Dei bagagli caricati sulla moto non è rimasto molto: il bauletto è volato via nell’impatto con il terreno ed è stato macinato dai camion che nell’oscurità non si sono nemmeno accorti di quella valigetta in mezzo alla corsia; io, del resto, non mi sono nemmeno improvvisato autostoppista, se vengo riconosciuto si crea un casino e questa è un’eventualità indesiderabile. Nessuno sa dove sono diretto, con chi mi devo incontrare e perché. Mancano poche ore e la mia posizione si complica, devo uscire dall’autostrada e trovare un mezzo alternativo per proseguire. Ecco, metto la moto qui appoggiata al muro… sono un pirla: il telefono era nel bauletto, cazzo! Fantredici, scavalco il guard-rail ed esco dall’autostrada, almeno il portafoglio ce l’ho ancora. Devo tentare di avvertire che ho avuto un incidente con la moto e che potrei ritardare, il numero lo so a memoria.

Tanta strada tutta d’un fiato con la macchina è noiosa. Certo che almeno qualche indicazione in più il Capo poteva darmela, fidarsi. Ma che razza di fiducia dovrei aspettarmi da un capo che non so nemmeno che volto abbia, che voce abbia, chi sia veramente: mi ha assunto come corriere di droga – o meglio, somministratore -  alla fine della mia carriera sportiva da quattro soldi quando ero in miseria e avevo appena incontrato Eleonora, e non ho mai avuto modo né di conoscerlo, né di sentirlo parlare. Sono anni che ricevo gli ordini tramite lettere cifrate e i pagamenti in contanti dentro buste lasciate nella mia cassetta di posta. Chi è il cliente che devo incontrare a Milano?  So soltanto che l’appuntamento è al parcheggio di Corso Buenos Aires e che verrà in sella ad una moto nera e arancione. Ad Eleonora non ho detto nulla: come sempre le ho raccontato la bufala dell’ennesima trasferta di lavoro. Quando smetterò le confesserò tutto, senza escludere i piccoli tradimenti accumulati come piccole ustioni della coscienza, che se lasciate da sole guariscono e non fanno male se non a chi ne porta addosso le cicatrici.

Nel chiarore del mattino la gente per strada lancia occhiate disgustate ai miei indumenti laceri, osservandomi come se fossi un miserabile barbone. Se fossi vestito bene mi riconoscerebbero e mi assalirebbero per un autografo o una foto gridando il mio nome, ma io non sono più un nome, o meglio, io  sono un’immagine e il mio nome un marchio, un prodotto. Il mio ritiro a metà stagione ha sconvolto l’ambiente delle corse. Ho pagato una penale a sei zeri agli sponsor e al team, oscurando la serena felicità di chi campava alle mie spalle. Resta solo una cosa da fare e per farla devo andare a Milano, togliermi di dosso l’ultimo retaggio della mia carriera di pluricampione di motociclismo ed eclissarmi rapidamente: ciao ciao ragazzi, divertitevi; ci vedremo tra dieci anni alle rievocazioni storiche, forse; e solo se ci sarà tanta figa.

 

Ecco, lo sapevo, appena esci dall’autostrada trovi sempre un posto di blocco della stradale.

No, amico. Non farlo. Lascia stare quella paletta, rimettila giù, non fermarmi. E’ per il tuo bene.

Dietro di me non c’è nessuno, sono a bordo dell’unica auto nel raggio di centinaia di metri.

Tu invece hai famiglia.

Ok mi fermo ma ti prego, non farmi perdere tempo.

Ecco i documenti. Smetti di girare intorno alla macchina e torna a parlare con la centrale. Vedrai che è tutto a posto, la macchina è pulita, io sono pulito e tu e il tuo collega stasera cenerete a casa.

Così mi costringi. Non posso farci nulla, se mi chiedi di uscire fuori dall’auto e di aprire il portabagagli mi metti con le spalle al muro. Nel portabagagli c’è tutto il necessario per preparare il Throttle, che tu non lo sai ma è una droga invisibile ai controlli antidoping e che dona capacità fisiche, sensoriali e percettive pazzesche. Nel bagagliaio c’è il fornello per scaldare il Throttle fino a 245 gradi e generare così i vapori da inalare con le cannule in germanio polarizzate con l’ingombrante dispositivo elettromagnetico: e poi c’è la dose di Throttle, una bottiglietta di liquido nero che scaldata e inalata nel modo giusto regala un mese di superpoteri, meglio di Ironman.

Se vi incuriosite siete finiti ma se riuscite a contattare la centrale, sono finito io: il Capo non perdona.

 

Maledizione, non risponde. Starà dormendo, sono le otto e trenta del mattino.

Assumere tutto quel Throttle mi ha rovinato. Non solo economicamente, intendo; negli ultimi tempi accuso uno sdoppiamento della personalità, siamo in tre: io, Clemente e Altero abbiamo abitudini, stili e vite diverse; lottiamo per la prevalenza l’uno sull’altro e per la gestione dell’unico corpo all’interno del quale conviviamo. Altero minaccia di raccontare tutto, di noi tre è quello meno forte, il più malleabile. Clemente, non l’ho ancora capito: ci parliamo poco. Ho notato che quando smetto di prendere la droga lo sdoppiamento della personalità sparisce, gli altri due “me” non emergono e io vivo sereno. Per questa ragione devo dare un taglio alle corse e al Throttle, ho abbastanza denaro per campare da ricco per il resto della vita ma prima voglio essere certo che nessuno in futuro possa ricattarmi minacciando di raccontare alla stampa come sono riuscito ad evolvere in una sola stagione da mediocre pilota a fuoriclasse imbattibile. Perderei tutto, oltre che la faccia. Il mio mito verrebbe demolito e tutti i soldi che potrei ancora farci sopra anche da ex-pilota li potrei solo sognare, oltre al fatto che sponsor, team e tutti quelli che sono danneggiati dal mio ritiro - oggi un po’ incazzati- mi chiederebbero i danni.

A parte Altero e Clemente, c’è una sola persona che sa che assumo il Throttle: la sto andando ad incontrare, per l’ultima volta; ma stavolta non ne compro, stavolta è finita.

Appendo il ricevitore, esco dalla cabina telefonica e prendo un taxi.

 

Una Glock silenziata non accetta scuse. I due corpi a terra insanguinano le divise, mi dispiace ma ho perso già troppo tempo; trascinare questi cadaveri dentro la volante rischia pure di farmi sporcare il vestito. Impeccabile, sempre.

Sarà morto pure il motociclista che ho agganciato in autostrada con lo specchietto mentre lo superavo a duecento? Boh, di certo non ha preso la targa; colpa sua che andava piano. Con le moto non si deve mai andare troppo piano. Rischi di farti male. Approfitto della sosta per chiamare Eleonora; non risponde: magari dorme, sono solo le otto e trenta.

 

Il taxi consuma gli ultimi chilometri che mi separano da Corso Buenos Aires, non sono riuscito ad avvertire Eleonora che ritardo ma fa nulla. Gliel’ho già detto, smetto di correre ma non le ho nemmeno accennato che la droga che lei ha scoperto casualmente mescolando oppiacei nel laboratorio del dipartimento universitario di chimica, alla lunga causa sdoppiamento della personalità. Questi accademici, sempre a cercare fondi per la ricerca… poi le vere scoperte le fanno per caso e il ricavato se lo intascano loro, la cosa è ironica.

Prima di arrivare comprerò vestiti puliti, occhiali da sole e cappello.

 

Sono qui al parcheggio ma non vedo nessuna moto nera e arancione. È strano, questa cosa mi mette un po’ di tensione: è inusuale che io veda un cliente diverso da quello che mi è stato assegnato, so che siamo in tanti a fare i somministratori e ognuno cura un solo cliente; sono tutte persone famose che pretendono il massimo della riservatezza e che non possono assolutamente rischiare che la loro dipendenza dal Throttle sia di dominio pubblico; per questo il Capo ha sempre garantito un rapporto uno-a-uno: un somministratore, un cliente. Nessuno sa degli altri clienti, nessuno conosce gli altri somministratori, e nessuno conosce il Capo, ovviamente. Il Capo mi ha avvertito che se qualcuno arrivasse a scoprire la sua identità, non gli resterebbe che ucciderlo: è già successo. Un po’ eccessivo, ma geniale.

Esco dalla macchina e mi svampo una sigaretta.

 

-        Scusi, ha una sigaretta anche per me?

-        Tenga.

-        Grazie. Bella macchina…

-        Sì, consuma un po’. Specie con l’aria condizionata accesa.

-        Mi perdoni, ma ho perso il mio bagaglio in un incidente in moto mentre venivo qui e non ho l’accendino, ha da accendere?

-        Ma certo. Prenda questo, lo tenga pure, ne ho un altro.

-        Oh, gentilissimo. Grazie.

-        Lei mi ricorda qualcuno ma non riesco a capire chi, sa?

-        …dicono che assomiglio a Robert Downey Junior.

-        No, lei mi ricorda un motociclista…

-        …macchè; glielo assicuro: Robert Downey Junior.

-        Non si scaldi… scusi.

-        No, scusi lei.

-        A parte che a me nemmeno piacciono le moto e i motociclisti, vanno o troppo forte o troppo piano… con il rischio che poi magari in autostrada nel buio ne prendi uno con la macchina e poi ti senti pure in colpa… mi è capitato, sa?

-        Ah… le posso chiedere un altro favore?

-        Dica.

-        Ho perso anche il mio telefono, potrei fare una telefonata dal suo? Sa, avevo un appuntamento qui ma la donna che aspettavo non si fa vedere e vorrei chiamarla.

-        …eh… siamo tutti dappresso ad una donna… Tenga.

 

Compongo il numero che so a memoria e il telefono lo accoppia con una voce della rubrica: “Eleonora Amore”. Rimango di sale. Rapidissimamente realizzo che questo bel ragazzotto impeccabile non solo è il pirata che mi ha travolto in autostrada, ma è pure il marito di Eleonora  - mia amante e somministratrice di Throttle- da lei tanto detestato per le continue infedeltà, mandato qui da Eleonora al posto suo. Che figlia di buona donna! Sapeva che le avevo dato appuntamento per ucciderla ed eliminare l’unico testimone della mia dipendenza dalla droga ed ha mandato lui sperando che io lo faccia fuori; aveva capito e organizzato tutto! Certamente suo marito non ha ancora compreso che sono io il cliente perché magari si aspettava che arrivassi con la motocicletta nera e arancione, ma se fosse andata come Eleonora aveva previsto, lui sarà un altro testimone da fare fuori e lei avrà raggiunto il suo scopo: il bel ragazzotto morto, io inguaiato e ricattabile! Certamente. Un piano raffinato e sottile, rovinato da questo inconsapevole bastardo che mi ha buttato fuori strada e distrutto la motocicletta che avrebbe dovuto essere il mio elemento identificativo; “lei non sa chi sono io” mi viene da dirgli, ma lascio perdere: ho un’idea migliore.

Chiudo il telefono senza nemmeno fare squillare il cellulare di Eleonora.

Concentriamoci un attimo.

Conosco il meccanismo dell’organizzazione, Eleonora me lo ha spiegato in una delle notti passate assieme nel mio motorhome: un somministratore per cliente e nessuno conosce né il Capo, né l’identità degli altri somministratori. Ma se non si conoscono tra di loro e l’unico a conoscere tutti è il Capo, a questo punto il Capo non può essere che lei, l’unica che  poteva delegare qualcun altro ad incontrami. E soprattutto questo qui non sa che Eleonora è il Capo. Che donna, incredibile! Mi viene il mal di testa a pensarci.

 

-        Mannaggia, non risponde. Posso mandare un sms, le dispiace?

-        Faccia pure!

-        Lei è veramente cordiale, signor…?

-        Maurizio; si figuri.

 

Non amo i telefoni touch ma per una volta faccio eccezione: “Amore mio, ho una confessione da farti: sono uno spacciatore di droga; l’incontro che ho appena fatto con uno dei clienti mi ha convinto ad essere sincero con te e col mondo: questo cliente è il famosissimo campione di motociclismo Arturo Cancelli e gli ho appena raccontato tutto di me, della droga che spaccio che si chiama Throttle e dell’organizzazione di cui faccio parte. Ora vado dalla polizia a costituirmi ma prima voglio chiederti perdono. D’ora in poi voglio essere un uomo diverso. A presto, Maurizio.” Destinatario: “Eleonora Amore”. Inviato. Cancellato dalla memoria del telefono.

 

-        Grazie, fatto.

-        Prego.

-        Vabbè, io a questo punto vado. Le vorrei dare un consiglio, però.

-        Lei, a me?

-        Certo, posso?

-        Se le sembra il caso…

-        Ascolti - non penso, ma poniamo che lei superi indenne le prossime 48 ore -: se mai le dovesse  capitare, incolpevolmente, si capisce, di investire un motociclista in autostrada, si fermi e si accerti di averlo ucciso: in caso contrario le assicuro che il motociclista prima o poi gliela farà pagare cara.

-        Grazie per il monito, signor…?

-        Clemente; Clemente e basta.