I Racconti di Moto.it. "Rick il pilota"

I Racconti di Moto.it. "Rick il pilota"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
La sera precedente Rick presentò le sue dimissioni dalle corse. Dopo ventuno anni di motomondiale da pilota professionista con risultati da mezza classifica e qualche fortunoso guizzo da podio...
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
4 luglio 2014

Punti chiave

 La sera precedente Rick presentò le sue dimissioni dalle corse. Dopo ventuno anni di motomondiale da pilota professionista con risultati da mezza classifica e qualche fortunoso guizzo da podio in cinque categorie diverse (125, 250, 500, MotoGp e Moto2), decise di smettere prima di accumulare troppe figuracce; era pure vero che non aveva ricevuto nessuna offerta per la stagione seguente e questo ebbe un certo peso.

Per annunciare il suo ritiro dalle gare fu organizzata una modesta conferenza stampa il pomeriggio della domenica dell’ultimo Gran Premio della stagione, disertata da tutti se non da pochi amici e da qualche passante che si attardava nel paddock, poi fu offerto dello champagne e tagliata una torta della quale ne avanzò una buona metà, infine si diede lettura di una breve lista di comunicati stampa emessi da sponsor e organizzatori che ringraziavano il buon Rick Lackland per la sua passione genuina e per la professionalità mostrata durante tutti gli anni in cui aveva militato nel campionato mondiale di motociclismo su pista. Mancava pure Angela che lo aveva mollato un anno prima per un altro, un pilota emergente poi espulso dal campionato perché trovato positivo a tutto: dall’efedrina ai cannabinoidi, all’oxandrolone, alla parmigiana siciliana in dosi da stendere un cavallo.

Era finita, ma Rick non era dispiaciuto di non avere mai vinto nemmeno una gara, piuttosto era felice che la sua vita fino ai suoi quarantun anni fosse stata così imprevedibile e fortunata: pagato per correre con le motociclette e assistere allo sbocciare di alcuni dei più grandi campioni dell’era moderna. Era all’ultimo bicchiere di champagne e, mentre una leggera emotività giustificata dall’alcol accompagnava qualche lacrima fino agli angoli della bocca, pensò a quei colleghi usciti di scena traumaticamente: alcuni di questi erano stati amici, alcuni fratelli minori, altri coriacei avversari; di tutti loro serbava un ricordo cui si aggrappava per ritenersi fortunato pure in questo, nell’essere arrivato a smettere per sua decisione e non per un infortunio o per qualcosa di peggio, triste epilogo forse più frequente nei piloti di secondo piano come Rick, che non era niente di più di un pilota onesto e dal coraggio temerario, tanto che negli anni gli era piovuto addosso il soprannome “Little Giant”: simpatico ossimoro tra la sua statura da fantino e la tenacia da lottatore sulla quale aveva costruito la propria carriera.

Beh, in ogni caso dopo la mesta festicciola Rick era andato a dormire mezzo ubriaco, poi si era svegliato molto presto nella sua prima mattina da ex-pilota e senza salutare nessuno si era recato ancora alticcio ai banchi dell’aeroporto di Valencia per imbarcarsi su un volo per Roma dove avrebbe preso un altro aereo, uno qualsiasi purché portasse lontano sia da un’Europa amabilmente detestata, che dagli Stati Uniti dove aveva paura di fare ritorno perché dopo ventun anni di assenza non avrebbe saputo cosa fare. Litigò un attimo con l’addetta al check-in perché sembrava che la sua prenotazione fosse sbagliata, poi sfoderò il suo calmo sorriso ammaliatore e come per incantesimo la signorina bruttina si trasformò in un cigno che intonava una suadente interpretazione del classico “window or isle?”. Posto 32 C, in fondo alla cabina, e sul luggage tag trovò pure un numero di cellulare italiano e un nome scritto di fretta: Clara. Magari un’altra volta, pensò Rick: di lì a mezzora entrò nell’aeromobile, si sistemò al suo posto e prima di sprofondare in un sonno annoiato ebbe modo di accorgersi di due cose: che l’aereo era piuttosto vuoto e che quel gran bel pezzo di figliola sul sedile di fronte era sola.

Fu svegliato da uno di quei vuoti d’aria che ti fanno diventare credente in cinque secondi netti e nei dieci successivi reciti pure il “Credo” senza sbagliare una parola anche se non hai fatto le scuole dai preti. L’aereo parve precipitare di pancia per poi riprendere il volo con un rumore di incidente automobilistico, tanto che un signore in fondo fece il battutone “facciamo il CID?” che Rick non capì ma che suscitò qualche risata isterica nei pochi passeggeri, quasi tutti italiani. Little Giant aveva paura degli aerei; ne aveva un timore quasi infantile, perché li riteneva incontrollabili, almeno con i suoi parametri di controllo di mani e i piedi, busto e natiche; non sarebbe stato – né lui, né nessun altro – in grado di modificarne la traiettoria con un colpo di gas o pestando sulle pedane, insomma guidare una cosa gestita da computer e centraline lo intimoriva per l’insopportabile senso di impotenza e di tragedia ineluttabile. Forse era anche per questa ragione che Rick aveva chiuso con le gare: le moto erano diventate troppo complicate e fredde, condite da elettronica e sensori più che da benzina e olio e lui non era più in grado di capirle, parlavano una lingua diversa dalla sua, le sentiva distanti, prive di fascino, restie a concedersi nonostante anche con le moto lui sfoderasse sotto il casco il suo più elegante sorriso marpione; ma loro niente, impassibili e ferme nelle loro reazioni da donna permalosa. E allora basta, anche per questo, che le moto quando diventano permalose sono imprevedibili e possono diventare pericolose.

Le turbolenze erano molto forti e ogni tanto pure le hostess emettevano gridolini tra il sexy e l’isterico dagli strapuntini sui quali erano sedute con le cinture di sicurezza allacciate, mentre la bella figliola di fronte a lui tremava dal terrore e si girò rivolgendogli uno sguardo carico di voglia di essere rassicurata, a quel punto Rick non resistette:

- Tutto ok? Stai tranquilla. Io sono Rick – e le porse la mano.

La ragazza fece il possibile per mantenere la calma e stringere la mano a Rick ma tutto quello che riuscì a fare fu scoprirsi mezzo seno dal décolleté torcendosi all’indietro.

- Lorena, piacere. – era italiana. Sorrise, aveva circa trent’anni e lunghi capelli castani chiari. La scollatura aveva svelato una pelle marmorea e un fisico pieno.

Fu un colpo di fulmine, come quello che sembrò colpire la fusoliera del Boeing e che causò per un attimo lo sfarfallio delle luci in cabina, terrorizzando tutti. Equipaggio compreso, meno male che mancava pochissimo alla destinazione.

- Sono soltanto dei vuoti d’aria, tra pochi minuti sarà tutto finito.- spiegò Rick augurandosi che fosse veramente così.

- Lo so… sono solo turbolenze – Lorena aveva un inglese scolastico, così Rick preferì parlare nel suo italiano da paddock del motomondiale dove l’italiano si è sempre parlato tra tecnici, giornalisti e piloti.

Rick rimpianse di non potersi spostare sul sedile accanto a quello di Lorena mentre le raccontava il suo sorpasso sul bagnato ad Assen nel 2001; aveva già messo a parte la bella italiana – che ascoltava con gli occhi spalancati e le labbra umide - della sua carriera in termini generali ed era talmente assorto nel fedifrago meccanismo della fascinazione da non riuscire a rendersi conto che, tra sorrisi e battute di spirito, intorno a loro la situazione diventava difficile: per la paura dei continui scossoni alla carlinga una passeggera di età avanzata aveva avuto un infarto, o qualcosa di simile, e giaceva in una posa innaturale sul sedile: il marito disperato cercava di darle aiuto ma la signora non dava affatto segnali confortanti, anzi non ne dava proprio. Le ricerche di un medico a bordo furono inutili, le hostess avvertirono il comandante T.J. Riccobono che commise l’imprudenza di abbandonare la cabina di pilotaggio lasciando i comandi al copilota, un novellino di nome Javier che pilotava per la prima volta da solo e doveva fare pure i conti con quelle turbolenze bastarde; nulla gli toglieva il pensiero che Riccobono gli avesse ceduto la cloche soltanto per evitare figuracce con i passeggeri, rendendolo responsabile ai loro occhi di un atterraggio sicuramente più duro del solito a causa delle turbolenze e dei continui sobbalzi dell’aeromobile.

Di colpo l’aereo sembrò tirato giù da un risucchio, come nelle montagne russe. Lorena divenne pallida, Rick non si scompose pur sudando ghiaccio; nessuno sa bene quanti secondi durò la caduta libera ma l’epilogo fu che il comandante e l’hostess col defibrillatore in mano, uniche persone in piedi e senza cintura di sicurezza, mostravano ora il viso pieno di sangue e il panico si diffuse tra i passeggeri ma soprattutto tra gli assistenti di volo che sapevano benissimo che alla guida dell’aereo adesso c’era Javier, non esattamente la migliore scelta per una situazione di emergenza come quella: un passeggero kaputt, il comandante fuori uso, l’equipaggio nel panico, i passeggeri a mani giunte e un ex-pilota di motociclette che cercava di attaccare bottone con la bella Lorena, quest’ultima ancora più sexy inchiodata al sedile ad annuire a Rick, qualsiasi cosa dicesse.

Qualcuno, forse uno steward dalla voce acuta in crisi di panico, gridò in italiano “ci vuole un pilota!!! Un pilotaaa!!!”.

Rick udì l’urlo e capì che era il suo momento: nel suo italiano da paddock disse a voce alta “io sono pilota!”.
E fu un giubilo, un’ovazione come quella tributata a Cesare trionfatore di ritorno dalla Gallia, si gridò al miracolo e si benedisse il nuovo Papa, si dimenticarono i rancori e le liti condominiali e poco mancò che la povera signora infartuata riprendesse vita pure lei per festeggiare il Salvatore.

Lorena era terrorizzata e ammutolita dal panico ma cercava di fare capire in qualche modo che quello non era un pilota d’aerei ma di motociclette: un rider, non un pilot, ma nulla da fare, lo schiamazzo felice dei passeggeri coprì il suo flebile “un attimo…” e Rick fu quasi spinto dagli assistenti di volo dentro la cabina di pilotaggio, gli fu chiusa la porta alle spalle e lasciato in compagnia di uno Javier già paonazzo.

Appena soli Javier gli chiese che razza di pilota fosse e Rick, con orgoglio: “motorcycle pilota!”. Javier avrebbe voluto ammazzarlo, ma un morto a bordo era già abbastanza e poi non avrebbe avuto alibi, sarebbe stato un classico delitto della camera chiusa. Riflettendo sul fatto che però la presenza di Rick in cabina di pilotaggio aveva calmato gli animi di passeggeri ed equipaggio, Javier scelse di farlo sedere sullo strapuntino ordinandogli di non toccare nulla, niente di niente, di non parlare, di non mettersi le mani nel naso e soprattutto di non produrre flatulenze che erano già abbastanza metaforicamente nella cacca senza bisogno di involontari e non richiesti aiuti materiali.

I sistemi elettronici automatici fecero tutto da soli, portando dolcemente a terra il Boeing e Javier dovette soltanto supervisionare il loro lavoro. L’atterraggio fu un grande atterraggio - come amano dire i piloti quando l’aereo rimane in grado di decollare e tutti i passeggeri sono ok - e si consumò il classico, ridicolmente liberatorio applauso non appena l’aereo si arrestò alla fine della pista con le ambulanze e i vigili del fuoco a circondarlo.

Scesi dall’aereo Javier si defilò, preoccupato per il comandante ancora incosciente e per il marito della signora deceduta, entrambi ancora sotto shock.

Rick, invece, fu l’eroe del giorno. Si scoprì che il suo nome non era nella lista passeggeri e che era stato provvidenzialmente imbarcato per sbaglio da una addetta al check-in in prova, particolare che conferì alla storia un non so che di misterioso e romantico; i giornalisti intuirono subito che lui era stato ininfluente nella manovra di atterraggio ma una storia avventurosa e avvincente fa vendere le classiche cento copie in più e produce tanti click sull’edizione on line del giornale, quindi ci misero il carico da undici trasformando Rick “Little Giant” in un personaggio da rotocalco, un dono o del Caso o di Dio.

Lorena fece la sua parte: mentendo spudoratamente affermò di avere subito capito che uno come Rick poteva cavarli fuori dai guai ma utilizzò la sua mezzora di notorietà per incespicare sui condizionali qualche volta di troppo e la scena fu retta principalmente dal suo decolleté.

Rick Lackland fu preso d’assalto dai reporter che pendevano dalle sue labbra per un’intervista: con alle spalle la pista di atterraggio e il Boeing sullo sfondo dichiarò con falsa modestia, tra l’altro, che con tutti quei controlli elettronici, tutti quei sensori e tutti quei parametri modificabili dalla torre di controllo, pure un bambino avrebbe saputo condurre un 717 in condizioni limite. Con l’aria di chi la sa lunga, proclamò che quello era il risultato della sua lunga esperienza come pilota di motocicletta, si disse certo che senza aiuti elettronici non sarebbe andata diversamente, che era stata una bella gara e ringraziò gli sponsor e i meccanici per avere fatto un grande lavoro e avere messo a punto un mezzo dalle prestazioni straordinarie.