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Il Chang International Circuit di Buriram, solitamente tempio della velocità thailandese e tappa fissa della MotoGP, in questi giorni ha un volto completamente diverso. Dove di solito cantano e urlano i motori delle MotoGP, ora si sentono le voci di circa 15.000 persone evacuate dal confine tra Thailandia e Cambogia, teatro di un nuovo e violento riaccendersi delle tensioni.
La pista, distante poco più di 100 km dalla zona contesa, è stata riconvertita ancora una volta in centro di accoglienza d’emergenza. Era già accaduto a luglio, quando un’escalation di razzi e artiglieria aveva causato decine di vittime e oltre 300.000 sfollati. Oggi la storia si ripete: un cessate il fuoco fragile, firmato a fine ottobre con mediazione statunitense, è durato appena poche settimane.
L'8 dicembre la situazione è precipitata. In cinque punti lungo gli oltre 800 km della frontiera sono scoppiati nuovi scontri armati, facendo almeno cinque vittime: quattro civili cambogiani e un soldato thailandese. Le tensioni erano tornate a salire già dal 10 novembre, dopo che due soldati thailandesi erano rimasti feriti dall’esplosione di una mina nella zona contesa. Bangkok ha accusato Phnom Penh di aver posato nuovi ordigni, accusa negata con forza dalla Cambogia.
Mentre la popolazione vive nell’incertezza, anche il mondo della MotoGP guarda a Buriram con apprensione. Il circuito è infatti programmato per ospitare: non solo i test ufficiali il 21 e 22 febbraio ma soprattutto il primo GP della stagione 2026 che si correrà dal 27 febbario al 1° marzo.
Per ora né Dorna né Liberty Media hanno segnalato modifiche al calendario, e gli organizzatori thailandesi assicurano che il weekend iridato non è ancora a rischio. Ma molto dipenderà dall’evoluzione del conflitto nelle prossime settimane e dalla capacità delle due nazioni di ristabilire un cessate il fuoco stabile.