Ducati 916, il capolavoro di Tamburini

Ducati 916, il capolavoro di Tamburini
Maurizio Tanca
  • di Maurizio Tanca
Delle tantissime prove di supersportive fatte nel corso degli anni quella della Ducati 916, svoltasi su strada dopo il memorabile press meeting internazionale a Misano nel febbraio del 1994 è una di quelle che hanno segnato un’epoca
  • Maurizio Tanca
  • di Maurizio Tanca
14 novembre 2014

Il summit mensile tra gli “anziani” di redazione (e anche di fatto) per la scelta della terza “Prova Storica” di Moto.it 2014 non è durato più di qualche minuto. Dopo la da voi gradita Suzuki GSX-R750 dell’85 e la ancor più apprezzata Yamaha FZR1000 dell’87, infatti, questa volta siamo decisamente saltati a piè pari negli anni novanta: per la precisione, al marzo del 1994. Eh si, non potevamo aspettare oltre a rievocare una delle moto più idolatrate della storia del motociclismo. Un’italiana, per giunta, progettata da quel taciturno genio coi baffoni (allora li aveva ancora) che fu uno dei fondatori della Bimota, prima di passare al Gruppo Cagiva a pensare altre belle moto fianco a fianco con Claudio Castiglioni. Ci riferiamo ovviamente alla Ducati 916 e al grande Massimo Tamburini, che tra i suoi validissimi collaboratori seguì particolarmente colui che si rivelò essere un allievo di gran valore: Sergio Robbiano, in forze al Centro Ricerche Cagiva di Rimini  dal '91, che sotto l'ala dell'illustre maestro disegnò lo stile prima della Cagiva Mito 125, e poi della favolosa superbike Ducati. Tre personaggi putroppo prematuramente scomparsi in tempi recenti (Castiglioni nell'agosto del 2011, Tamburini lo scorso aprile e Robbiano due mesi dopo) portandosi sicuramente appresso chissà quante altre meravigliose idee.
a tal proposito vorremmo citare i brevetti registrati per l'iconica Ducati, ad ulteriore testimonianza del maniacale puntiglio posto dai suoi progettisti anche nei più piccoli particolari:

1) I cuscinetti dello sterzo montati su supporti eccentrici: svitando due viti e utilizzando una chiave a settore, era così possibile cambiare in pochi minuti l'inclinazione del cannotto, e conseguentemente l'avancorsa;
 2) L'ammortizzatore di sterzo trasversale, dietro alla piastra superiore della forcella, e ad essa collegato: in tal modo lavorava simmetricamente allo sterzo, ne diminuiva il momento d'inerzia, e consentiva, sul modello SP, un'agevole regolazione anche in movimento;
 3) Il dado centrale della ruota posteriore bloccato da uno speciale fermaglio, sempre riutilizzabile, in filo armonico d'acciaio: non presentando  estremità acuminate, ma arrotondate, era impossibile ferirsi magari pulendo la moto (cosa frequente, con le normali coppiglie) ed era agevolissimo da togliere e rimettere;
4) La viteria totalmente riprogettata ad hoc: le teste delle viti (sia esagonali che a brugola) erano ribassate e alleggerite, oltre che particolarmente zigrinate per poterle avvitare o svitare agevolmente anche a mano.

La Ducati 916, dunque, è la moto della quale presentiamo le impressioni di guida e i rilevamenti strumentali completi di prova al banco, di una delle moto di preserie protagoniste del test di Misano, quindi con sella monoposto. Una moto che Carl Fogarty portò al titolo mondiale proprio nel ’94, battendo la Kawasaki ZXR750RR di Scott Russell e le temutissime Honda RC45, anch’esse debuttanti, di Aaron Slight, Doug Polen e Simon Crafar. E che divenne da subito quell’icona del motociclismo italiano che tutto il mondo ci ha invidiato, e tuttora ci invidia. Presentata all’EICMA milanese del ’93, la magnifica 916 lasciò tutti a bocca aperta, per il suo prezzo – quasi 24 milioni di lire - ma soprattutto per il suo stile pulito e lineare, che peraltro riprendeva alcuni spunti (a partire dalla sospensione posteriore monobraccio) da quell’altro pezzo da novanta con motore V4 che fu l’altrettanto mitica Honda RC30, che proprio nel 1994 venne sostituita dalla RC45.

E al press meeting internazionale del febbraio successivo, sul circuito di Misano, la nuova superbike Ducati completò l’opera stregando letteralmente tutti noi, fortunati mortali colà radunati per saggiarne le virtù. Per quanto riguarda il sottoscritto, ricordo come fosse oggi che già al primo giro arrivai alla prima Curva del Carro piegando subito come un matto con tanto di ginocchio a terra, stupendo il fotografo che, a fine turno, mi confidò la sua preoccupazione per quel mio impegno da lui giudicato un filino esagerato, dovuto chiaramente ad un adrenalinico entusiasmo. Già, la 916 mi aveva esaltato dopo due sole curve! Esattamente come accadde sette anni prima, sempre a Misano, con la Honda RC30…

La prova

“Deliziosa come un minuetto, coinvolgente come una corale, trascinante come un'opera: la 916 commuove e fa venire i brividi. Guardarla da' emozione, salirci in sella è come un rito religioso: il resto è solo poesia, del suo motore”

Questa volta non vorremmo sforzarci di trovare similitudini in campo musicale o cinematografico, né tantomeno con il mai troppo citato e lodato elemento femminile, eterno antagonista, nel duro cuore del biker  incallito, della beneamata cavalcatura con due ruote e un motore: quanti di voi, infatti, si sono sentiti apostrofare almeno una volta dalla propria amata compagna in carne ed ossa con uscite del tipo: " possibile che tu abbia più riguardo della tua moto che di me? O peggio, il terrificante dilemma : "è ora che tu ti decida: o lei o io nella tua vita" (ultimatum, questo, che non auguriamo proprio a nessuno!).

Sono ormai anni che, grazie al nostro appassionante e comprensibilmente  invidiatissimo lavoro, siamo in sella quasi senza sosta a moto di tutti i tipi. Ritenevamo perciò di essere "vaccinati" da tempo, nei confronti di esaltazioni o profonde infatuazioni nei confronti di una pur notevole motocicletta. E sono anche anni che sosteniamo a spada tratta che si, le moto sportive sono belle, ma sono limitate, sono solo degli splendidi giocattoli: la moto deve essere pratica, versatile, comoda da usare tutti i giorni e anche in coppia; magari una bella entro-fuoristrada con il suo bravo bauletto, e con i paramani in inverno per godersela senza soffrire troppo. E ne siamo ancora convinti. Tuttavia ci siamo follemente innamorati proprio di una sportiva purosangue, per giunta monoposto. E da quando l’abbiamo provata ci è rimasta sempre in testa, continuiamo a pensare ai momenti splendidi trascorsi in pista con lei, alle sensazioni stupende che ci ha regalato. E continuiamo a cercare di far quadrare i conti di famiglia per escogitare il sistema di racimolare quelli che improvvisamente sono diventati i "quattro soldi" necessari per vederla trionfalmente parcheggiata nel nostro box. Siamo perfino giunti a pensare di impietosire con qualche storia lacrimevole, anche via fax, Claudio Castiglioni. Si, proprio il Presidente della Cagiva. Perché è "colpa" sua se esiste la Ducati 916, la rossa Regina dei Saloni dello scorso autunno: la moto che, siamo pronti a scommetterlo, verrà eletta "Moto Dell'Anno 1994" un po' in tutto il mondo. (cosa che poi puntualmente avvenne, Nda)

La magnifica 916 è l'erede della gloriosa 888 triplice Campione Mondiale Superbike, e sembra proprio destinata a raccoglierne i successi sportivi e commerciali. Non a caso, non appena si è sparsa la voce che ne stavamo svolgendo la prova completa, un vero pellegrinaggio di amici e curiosi appassionati ha iniziato a materializzarsi nel nostro studio fotografico, e perfino all’lsam di Anagni, ovvero il centro specializzato presso il quale vengono eseguiti i nostri rilevamenti strumentali e le prove al banco dinamometrico delle moto in prova. Siamo stati perfino tentati di riportarla in pista e far pagare un tanto al giro: avremmo certamente incassato un notevole gruzzolo...

Progettata e costruita con cura quasi maniacale anche nei minimi particolari, la nuova punta di diamante della Casa bolognese rappresenta dunque un sicuro punto di riferimento per gli stessi costruttori giapponesi, e oltretutto costa praticamente la metà della sua più accreditata antagonista di quest'anno su strada e in pista: l'altrettanto attesa Honda RC 45.
Non che la Ducati costi poco: 23.900.000 lire franco concessionario, quindi poco più di 24 milioni su strada, mentre per la versione SP - per chi corre o per i più esigenti smanettoni e accreditata di ben 131 cv contro i 114 della standard (comunque tutt'altro che pochi) - ci vogliono circa sei milioni in più.

Per la 916 standard, che sarà disponibile entro marzo, ci sarà poi un kit di potenziamento (scarichi con terminali in fibra di carbonio e un diverso microprocessore per l'iniezione/accensione) con il quale si guadagnano dai 5 ai 7 cv; e saranno disponibili, a prezzi competitivi, anche vari particolari in carbonio (parafango etc.), i dischi freno in ghisa, il cavalletto di servizio, il telo coprimoto.

Affascinate o stupenda?

Si potrebbero passare momenti interminabili esaminando in tutti i minimi particolari questa stupenda creatura color rosso fuoco, per rendersi conto al meglio di come sia stata progettata e costruita. Vi illustriamo a parte dettagliatamente tutto ciò che c'è da sapere su di lei, dal punto di vista tecnico.

Dimensionalmente la Ducati 916 è piccola e snella come, se non più, di una media cilindrata. Indubbiamente è estremamente affascinante, con quella sua linea slanciata frutto di lunghi collaudi nella galleria del vento e su strada, e che si rifà in parte a quella della Supermono (che a sua volta sembra una "250”). Qualcuno obietterà sicuramente che l'estetica è stata un po' "giapponesizzata", e obiettivamente non gli si può dar torto: è abbastanza evidente che la Honda RC 30 sia stata un po' musa ispiratrice, se non altro nella parte posteriore. Come del resto è innegabile che la più "tradizionale" 888 SP5 rimanga comunque una moto stupenda. Ma, grazie alle sue peculiarità progettuali e alle sensazioni che sa regalare a chi la guida, la 916 riuscirà sicuramente a farsi “perdonare” alla grande anche dai ducatisti più sanguigni.

In ogni caso, la snella e compatta silouhette frontale coi due sottili fari allungati - il sinistro, con l'anabbagliante, è polielissoidale - lascia tutt'altro che indifferenti. Così come lo splendido codone, che fa "da chioccia" ai due silenziatori ellittici convergenti sopra la targa. E troviamo magnifiche anche le ruote a tre razze realizzate da Brembo, e il monobraccio progettato in collaborazione col reparto corse Cagiva. La moto della nostra prova era uno degli esemplari della preserie allestita per la presentazione internazionale di Misano Adriatico: quindi era addirittura priva di specchi retrovisori, e sia i bloccaggi rapidi della carenatura che le leve sui manubri (in questo caso prive di rotelline di regolazione della distanza dalle manopole) non erano quelli definitivi.

La nuova strumentazione è molto compatta: un pannellino in neoprene ospita il termometro del liquido refrigerante e il contagiri elettronico (dall'indice non proprio stabilissimo), con ago e scala in verde fluo, ma senza delimitazione della "zona rossa".

Il tachimetro/contakm, asportabile, è a sinistra, e in alto c'è un blocchetto con le spie di servizio, compresa quella della riserva, visto che il rubinetto non c’è. Sotto al cruscotto l'ordine regna sovrano: niente cablaggi confusi e nemmeno tralicci metallici che reggono il cupolino, ma solo due compatti ed eleganti braccetti in fusione.

Semimanubri scomponibili in alluminio ospitano nuovi blocchetti elettrici belli e pratici; la manopola dell'acceleratore, a trazione trasversale, è molto compatta, e nella parte inferiore ospita un pulsantino dello starter di foggia inedita. La chiave di avviamento è incastonata in un'ansa anteriore del serbatoio, dietro all'ammortizzatore di sterzo trasversale (regolabile nella versione SP).
Il serbatoio è fissato a incastro anteriormente, e avvitato dietro. Il codone, invece, una volta sbloccata la serratura (che si intravede a sinistra, vicino alla congiunzione con il fianchetto, e nella quale la chiave, la stessa dell'avviamento, entra solo per metà, quindi non va forzata) si ribalta completamente in avanti, dando libero accesso al vano portaoggetti e ad un gancetto per appendere il casco, oltre che alle centraline dell'impianto elettrico; ma nasconde anche una paratia che isola dal calore degli scarichi. Tutto è perfettamente ordinato, come del resto è stato razionalizzato e ottimizzato al meglio quanto è nascosto dalla carenatura.

La regolazione delle sospensioni avviene tramite i classici registri esterni: li troviamo alle estremità di ciascuno stelo della forcella, oltre che sul corpo e sul serbatoio separato dell'ammortizzatore posteriore, il cui precarico è tarabile col classico, poco pratico sistema delle due ghiere contrapposte. Non manca la solita stampella laterale (in lega leggera) dotata di potente molla che la fa rientrare a scatto non appena si sposta la moto.

Semplicemente formidabile

«Se va bene quanto è bella, è davvero un sogno!». Questo è il primo pensiero che si è fiondato nel nostro cervello quando abbiamo finalmente visto da vicino la Ducati 916. E dopo averla provata possiamo confermarlo: una gran moto! Che gusto, che sensazioni, che voglia di possederla! Una ridda di esclamativi davvero non sprecati, visto che son bastati i primi metri di pista per capire che la Ducati 916 ha tutto quello che serve per godersi al massimo una sportiva di razza. L'assetto è piuttosto caricato sui semimanubri molto aperti (e questo stanca gli avambracci meno allenati girando molto in pista, specialmente in frenata) ma vicini al piano della sella, la quale è piuttosto alta e consente buone possibilità di spostamento sia laterale che longitudinale. L'affusolato serbatoio si fa cingere perfettamente con le gambe, e le pedane sono alte e non arretratissime: una posizione di guida che ricorda quella dell'altra splendida supersportiva ancora attualissima, già più volte citata: la Honda RC 30. Tutto sotto controllo, tutto molto compatto sotto di sè, sembra di stare in sella a una 250 da G.P., più che su una novecento e oltre. E anche la sua facilità di guida e la sua maneggevolezza sono a livello record per la cilindrata. La 916 si muove agile come una farfalla, e dopo un solo giro di pista sembra di conoscerla da sempre, ci si sente quasi onnipotenti, irresistibili, pronti a fronteggiare anche un motivato Falappa. Una moto confidenziale, con la quale anche i meno esperti si sentiranno forse portati a valicare il limite delle loro possibilità: la ciclistica, infatti, consente correzioni di traiettoria con la massima naturalezza, perdonando errori anche macroscopici (i classici "lunghi), aiutata sia dalle qualità dell'impianto frenante che dall'estrema sfruttabilità del motore. Si può entrare in curva con i freni ancora azionati e poi piegare fino all'inverosimile, fino a consumare stivaletti e ginocchiere; ma strisciare a terra con una qualunque partee della moto sembra impossibile (se non cadendo…).

L'ammortizzatore di sterzo svolge perfettamente il suo lavoro quando, magari cambiando marcia e poi accelerando in curva con la moto ancora inclinata nel percorrere una veloce chicane, l'avantreno si alleggerisce appena sotto la grande spinta del motore, senza che né l'assetto né la direzionalità della moto ne soffrano. I Pirelli Dragon e i Michelin TX, con il loro incredibile posteriore da 190/50, offrono garanzie di sicurezza assoluta, con un appoggio e un grip formidabili sia in curva che durante le staccate più esasperate, quando il retrotreno tende solo leggermente a serpeggiare, e la ruota motrice spesso non tocca neppure l'asfalto. In questi frangenti, con la taratura standard delle sospensioni, in pista si arriva a far saltellare sensibilmente l'avantreno, ma una regolazione "ad hoc" risolve completamente il problema.

La differenza comportamentale tra i pneumatici francesi e quelli italiani (in entrambi i casi utilizzati, in pista, a 2,2 atmosfere anteriormente e 2,5 dietro) sta nel fatto che i primi danno più sottosterzo, quindi bisogna anticipare l'impostazione di curva, mentre i Dragon permettono un'ingresso in curva più immediato, consentono di raggiungere prima la corda e maggior rapidità nei cambiamenti di direzione. Abbiamo anche avuto occasione di provare i Dragon anche sul bagnato, con i risultati molto buoni  particolarmente dell'anteriore, anche frenando in presenza di pozze d'acqua decisamente consistenti. In ogni caso, lo sottolineiamo nuovamente, le prestazioni di entrambi sono da riferimento.

Come lo è, del resto, la progressività delle sospensioni, in particolar modo della forcella, la cui scorrevolezza è esemplare sia in affondata che in rilascio. Progressività ulteriormente evidenziata, tra l'altro, dalla avvertibilissima rigidità di telaio e forcellone, che consente anche di valutare molto bene l'effetto delle regolazioni d'assetto. L'impianto frenante anteriore, ottimamente dimensionato e che non ha mai mostrato segni di cedimento, garantisce decelerazioni poderose e progressive senza richiedere sforzi erculei alla mano destra, e solo due unità in ghisa probabilmente potrebbero far meglio; con il disco posteriore è difficile bloccare la ruota motrice (bisogna proprio premere il pedale come forsennati), e si ottengono buone decelerazioni senza che l'assetto si scomponga troppo.

Ma la 916 stupisce anche se utilizzata in un ambiente per lei innaturale come lo è quello caotico delle città, dove il fondo stradale spesso arriva a mettere in difficoltà anche un'enduro. Le sospensioni, infatti, come dicevamo vantano un'ottima progressività e hanno un'escursione più che dignitosa, garantendo così un assorbimento delle asperità invidiabile per una supersportiva. Guidare in mezzo al traffico, insomma, con la 916 non è così impegnativo come con la 888: infatti ora l'angolo di sterzata è sensibilmente superiore, la moto è più corta e maneggevole.

Il motore della 916 non è scorbutico come prima ai bassissimi regimi: riconoscibilissimo dal suo caratteristico, inconfondibile rombo "maschio"

Il motore della 916 non è scorbutico come prima ai bassissimi regimi: riconoscibilissimo dal suo caratteristico, inconfondibile rombo "maschio", in questa nuova versione eroga infatti quasi 104 cv alla ruota tanto dolcemente da iniziare a "zoppicare" a regimi molto inferiori rispetto alla versione a quattro iniettori da 888 cc: nonostante la rapportatura finale molto lunga, quindi, si riesce a viaggiare in sesta a soli 34 km/h contro i ben 60 della 888: e si può spalancare il gas già da 2.000 giri, con una risposta regolare, senza sussulti. Dai 3.000 giri in poi il tiro diventa già sensibilmente vigoroso, e cresce costantemente con un'erogazione entusiasmante per pulizia e linearità, irrobustendosi ancor più una volta superato il regime di coppia massima (che è di ben 8,53 kgm a soli 7.000 giri), come del resto emerge dai grafici dei nostri rilevamenti strumentali. In cifre, la 916 ha fatto molto meglio della 888 in ripresa da 60 orari in sesta marcia, sui 400 metri: soli 12,5 secondi contro 16,8, con velocità d'uscita però sensibilmente inferiore (158 km/h contro 169) sicuramente per via della rapportatura finale lunga.

È migliorata in tutto, invece, l'accelerazione da fermi, dove la 916 è scesa sotto il muro degli 11 secondi (10,9) con velocità in uscita di 208 km/h (11,0 secondi/204 orari per la 888). La disponibilità dei propulsore permette di chiudere il gas in curva anche con rapporti alti, e di riaprirlo poi senza che il motore si impunti o sussulti assolutamente, uscendone ugualmente con una spinta gratificante. Peccato che su un circuito come Misano, per esempio, possa capitare che il limitatore - che taglia appena oltre i 10.000 giri - impedisca quel tanto di allungo in più che consentirebbe di uscire da una curva come quella del Tramonto, che si percorre in terza, senza dover cambiar marcia con la moto ancora molto piegata.

La frizione a comando idraulico qui è meno sferragliante del solito (cosa che peraltro non ci disturbava affatto), non è tanto dura da stressare il polso ed è ben gestibile anche nelle partenze "da prima fila", durante le quali - cosa che peraltro accade spesso anche senza chiamarla in causa, quando la lancetta del contagiri supera i medi regimi - è difficilissimo tenere a terra la ruota anteriore. Durante i nostri rilevamenti strumentali, dopo un po' di tentativi di accelerazione da fermo non è mancato però un inquietante odore di bruciato.

I miglioramenti apportati al cambio si sentono, eccome: ora è decisamente più preciso, e trovare il folle da fermo non è più un'impresa spesso impossibile come prima: per quanto riguarda la rapportatura interna, avremmo solo preferito una prima marcia un po' più lunga. La finale, come dicevamo, è invece un po' troppo lunga, tanto che a Misano era praticamente inutile inserire la sesta: una scelta motivata, si suppone, dalla ricerca di una velocità di punta elevata, che abbiamo rilevato in 254,3 km/h a 9.000 giri effettivi.
Le vibrazioni sono decisamente ridotte per un grosso bicilindrico come questo, e si avvertono in modo particolare, in folle, sulla sella, mentre in movimento si manifestano più che altro sottoforma di pulsazioni sui semimanubri e, meno, sulle pedane. La protezione del cupolino, invero striminzito, è comunque più che dignitosa perlomeno per il collo, anche a velocità dell'ordine dei 160 orari; medie più elevate consigliano ovviamente un assetto decisamente accucciato, che comunque non riesce a salvare completamente le spalle dall'aria.

Nel corso della nostra eccitantissima prova abbiamo riscontrato un'anomalia tecnica (il relé del motorino di avviamento è stato sostituito dopo essersi bloccato) e un paio di perfettibili  peccatucci veniali: un discreto calore sulle cosce, provieniente chiaramente da sotto la sella ed avvertibile più che altro in città, e la scarsa protezione sul bagnato da parte del rastremato parafango anteriore, che proietta in alto acqua e sporco fin nella zona antistante il serbatoio, e perfino sulla visiera del casco.

Scarica il pdf relativo alla tecnica della Ducati 916