Come eravamo. Le corse oltre il motomondiale

Come eravamo. Le corse oltre il motomondiale
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Alla faccia dei motorhome, delle hospitality, delle coperte termiche e delle sale stampa asettiche e superattrezzate. Le corse di una volta
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
19 aprile 2016

Un breve viaggio nei sapori di una volta, quando il mondo delle corse era meno evoluto ma più pittoresco e “ruspante”, in particolare al di fuori dell’ambito dei Gran Premi. Si era lontani dalla esasperazione tecnologica attuale (comunque necessaria ai fini delle prestazioni) e tutto era enormemente più semplice e alla mano. Chi non era impegnato ai massimi livelli poteva preparare le moto senza particolari difficoltà e gareggiare con costi più che contenuti .

Diversi piloti erano anche abili meccanici e in vari casi accudivano da soli ai loro mezzi. Magari non erano i più veloci, ma di tecnica e di motori se ne intendevano davvero. Le gomme erano quelle disponibili, di una o due marche, ciascuna delle quali proponeva un solo tipo, in più misure; era uguale per tutti e rimaneva immutato per anni e anni. E naturalmente si usava con qualunque situazione meteorologica, asciutto o bagnato che fosse l’asfalto.

Per avere un’idea di come si correva una volta, nelle gare minori o comunque non di campionato mondiale, le immagini allegate sono forse più eloquenti delle parole…

 

La fine delle corse su strada

Questa bella immagine fa comprendere chiaramente come si correva nei circuiti cittadini, tra le balle di paglia e con tribunette improvvisate in tubi Innocenti. Il pubblico è a pochi metri dall’asfalto. Il pilota che guida la gara è Renato Tarlazzi con la Ducati 250 della scuderia Speedy Gonzales
Questa bella immagine fa comprendere chiaramente come si correva nei circuiti cittadini, tra le balle di paglia e con tribunette improvvisate in tubi Innocenti. Il pubblico è a pochi metri dall’asfalto. Il pilota che guida la gara è Renato Tarlazzi con la Ducati 250 della scuderia Speedy Gonzales

La tragedia di Guidizzolo, alla Mille Miglia del 1957, costò la vita a 11 persone e in Italia pose fine all’era delle lunghe corse su strada. Niente più Milano-Taranto e Motogiro. Pure il numero delle gare che si disputavano sui circuiti cittadini diminuì drasticamente. Complice anche il vero e proprio collasso del mercato, le competizioni motociclistiche entrarono rapidamente in una grave crisi. Per le moto da GP da noi sarebbero rimaste solo Imola, Monza e Ospedaletti, se ad esse non si fossero aggiunte, all’inizio degli anni Sessanta, Modena (dove per molti anni si è svolta la gara che apriva la stagione, il 19 marzo) e le gare della cosiddetta Mototemporada romagnola, che si correva su circuiti stradali a Rimini, Riccione, Cesenatico e Milano Marittima.
I piloti juniores, che utilizzavano motocicli “sport”, spesso erano impegnati in gare di contorno sui tracciati romagnoli; per loro comunque c’erano altri circuiti, essi pure cittadini, organizzati grazie alla grande passione di alcuni motoclub. Si correva così a Giulianova, a Zingonia, a Treviso, a Pesaro e via dicendo, su percorsi talvolta ricavati nelle zone industriali.

Facce sorridenti a Monza nel 1972. Le moto sono tre Motobi e vengono trasportate su di un furgone, quasi un lusso all’epoca per le gare del campionato juniores. L’immagine è tratta da quel vero gioiello che è il libro fotografico “I centauri” di Antonio Leale
Facce sorridenti a Monza nel 1972. Le moto sono tre Motobi e vengono trasportate su di un furgone, quasi un lusso all’epoca per le gare del campionato juniores. L’immagine è tratta da quel vero gioiello che è il libro fotografico “I centauri” di Antonio Leale

In questo modo si è andati avanti per tutti gli anni Sessanta. Il mercato si è ripreso vigorosamente verso il termine del decennio. Le moto non erano più un mezzo di trasporto più o meno umile, che si impiegava quotidianamente per andare al lavoro, ma sono diventate straordinari oggetti di svago e divertimento per un numero sempre maggiore di appassionati. A porre fine all’era dei circuiti stradali è stata un’altra tragedia, la morte di Angelo Bergamonti, avvenuta a Riccione nel 1971. Ben presto è diventato operativo il circuito di Misano, mentre Vallelunga era già da tempo una importante realtà. Le moto andavano sempre più forte e pure nei paddock la situazione stava cominciando a mutare. Le semplici balle di paglia per proteggere i piloti, in caso di caduta, dall’impatto contro lampioni, muretti e altro non erano più all’altezza della situazione e appartenevano ormai al passato. Anche gli ostacoli ai margini del manto di asfalto diventavano sempre meno…

 

Si continua con la Salita

Dove le moto hanno continuato a correre su strada è stato nelle gare in salita. Le velocità erano relativamente modeste, data la tortuosità dei percorsi, e le moto non avevano certo potenze paragonabili a quelle da Gran Premio o alle derivate di serie di 750 cm3 o più. Era vantaggioso disporre di un’erogazione differente e di una grande agilità, il che spiega per quale ragione alcuni modelli che hanno dominato la scena in questo settore negli anni Settanta in pista non erano granché, e viceversa. Un esempio significativo è quello della Suzuki GT 380 tricilindrica. Naturalmente di un vero e proprio paddock e di box non era il caso di parlarne. Ci si arrangiava come meglio si poteva.

Niente tribune, niente (o quasi) spettatori e un palo con scritto Start & Finish per indicare il traguardo. Siamo alla partenza di una gara del campionato Pacific Coast nel 1962 in un circuito stradale californiano. Varie classi corrono assieme con classifiche separate
Niente tribune, niente (o quasi) spettatori e un palo con scritto Start & Finish per indicare il traguardo. Siamo alla partenza di una gara del campionato Pacific Coast nel 1962 in un circuito stradale californiano. Varie classi corrono assieme con classifiche separate

Anche oltreoceano per lungo tempo la maggior parte delle gare si è svolta su circuiti improvvisati o comunque su percorsi stradali. Facevano eccezione Daytona, ove la situazione è cambiata profondamente all’inizio degli anni Sessanta, e un paio di impianti semipermanenti come Sebring e Riverside. Per il resto, paddock ricavati in spiazzi di terra battuta o in piazzali delle zone industriali (come a Stockton). Si correva senza spendere tanto. Di particolare importanza erano le gare del Pacific Coast Championship, organizzato dalla AFM (American Federation of Motorcyclists), nelle quali per diverso tempo hanno corso assieme due o anche tre classi, con classifiche separate (175, 250, 350 e 500). Il motociclismo non era ancora uno sport popolare, negli USA…

I motorhome non esistevano e le roulotte sono state per lungo tempo una rarità; i più attrezzati avevano una tenda e potevano disporre di un furgoncino (da noi) o di un pick-up (negli USA). Nella maggior parte dei casi si utilizzavano i carrelli, ma non mancavano i piloti che la moto la trasportavano dentro l’auto, magari dopo avere tolto la ruota davanti o addirittura la forcella! E c’è stato anche chi ha portato la sua alle verifiche guidandola su strada, benché fosse senza targa e a scarico libero…

Forse parlare di un mondo naif e pittoresco è riduttivo. Quel che è comunque certo è che tutto questo non tornerà più. Come i tecnigrafi negli uffici tecnici, del resto.