BMW Motorrad, una strada lunga 90 anni

BMW Motorrad, una strada lunga 90 anni
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
La celebrazione dei novant’anni della Casa dell’Elica è stata l’occasione per ripercorrere, attraverso la viva voce di chi ne ha vissuto buona parte, la storia di un marchio e scoprirne qualche aneddoto
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
24 ottobre 2013

 Si potrebbe parafrasare una vecchia pubblicità parlando di "90 anni e non sentirli". La Casa di Monaco è sulla breccia dal 1923 e a tutt’oggi, come ha ricordato orgogliosamente il suo AD Stephan Schaller in occasione della nostra intervista, gode di ottima salute. Ma come è facile immaginarsi in 90 anni di storia non tutto è andato bene, e proprio dal racconto dei momenti di alto e basso emergono diversi aspetti della vita di BMW che non tutti conoscono.

 

Sono state proprio le persone che hanno fatto tanti anni di storia a raccontarci alcuni momenti topici della vita di BMW, ripercorrendola dalle origini fino ai giorni nostri. Una storia che parte nel 1917, quando nasce “la prima” BMW che produce motori aeronautici su cui campeggia quel marchio dell’Elica arrivato fino a noi con pochissime modifiche. La fine della guerra e il Trattato di Versailles fanno si che BMW (in cui, curiosità, nel frattempo è entrato un finanziere italiano dal nome di Camillo Castiglioni che però non vanta alcuna parentela con i successivi industriali motociclistici) debba cessare la produzione bellica.

Dovendosi riconvertire sulla mobilità civile Franz Josef Popp, allora al comando di BMW, incarica i tecnici Max Friz e Martin Stolle di lavorare alla progettazione di propulsori per moto, motocarri e imbarcazioni, facendo si che BMW nasca – e rimanga per almeno quattro decenni – una Casa motociclistica e solo in second’ordine automobilistica. Fa un po’ sorridere pensare oggi come fino agli anni 60 sia stata la divisione Motorrad a sostenere quella auto, imparando a lavorare con grande qualità in un contesto di volumi e margini nettamente più bassi. “I ragazzi delle quattro ruote” commenta con un po’ d’ironia Peter Schwarzenbauer, membro del CDA di BMW, “potrebbero imparare molto sotto questo aspetto da quelli delle moto”

 

Un prodotto diverso (e vincente)

BMW nasce e rimane per almeno quattro decenni una Casa motociclistica e solo in second’ordine automobilistica

Fin dall’inizio, ovvero dalla nascita di quella R32 del 1923, BMW punta ad un prodotto che si distingue dalla massa, che con rare eccezioni proponeva biciclette un po’ rinforzate ospitanti un motore. Tanto da un punto di vista tecnico che da quello qualitativo, la R32 si dimostra tutt’altro animale, perché la ciclistica è pensata da un punto di vista motociclistico e non come un riadattamento dal più povero settore bicicletta, e prodotta con standard di lavorazione molto superiori.

Ne vengono prodotte ben 1.500 nel primo anno di attività di BMW – ad oggi il numero di moto prodotte ha sfondato il tetto dei 2,8 milioni di unità – di cui diverse vengono impiegate nelle competizioni di velocità. BMW ha infatti dato moltissima importanza per gran parte della propria storia all’attività sportiva che abbiamo ripercorso in un articolo qualche mese fa.

 

La storia di BMW Motorrad prosegue fra successi di vendita e nello sport; l’immediato dopoguerra vede addirittura un’impennata del successo delle moto come motorizzazione più accessibile delle costose automobili. Il quadro però cambia radicalmente a metà degli anni 50, quando il boom economico rende le auto alla portata di (quasi) tutti – BMW Motorrad, per la prima volta, cede il passo alla divisione auto che a Monaco è nato acquisendo la licenza dall'italiana ISO per la produzione dell’Isetta, innovativa vetturetta minimal a tuttora considerata un esempio di design e conservata al MoMa di New York.

Ciononostante BMW non cambia il suo approccio: le sue moto restano raffinate e relativamente elitarie, e costruite con pochissimi compromessi sulla sostanza. Nel 1960 la Casa di Monaco apre la nuova fabbrica di Spandau, alle porte di Berlino, dove viene spostata tutta la produzione motociclistica nel 1969 e dove si inizia a produrre… moto colorate! Se fino a quel momento le BMW erano state tutte rigorosamente nere, concedendosi al massimo la frivolezza di qualche filettatura, a Spandau si iniziano a vedere boxer verniciate in diverse tinte.

 

Spandau, una struttura allo stato dell’arte

Quella stessa fabbrica nata in una cittadina resa tristemente famosa dal carcere in cui vennero rinchiusi la maggior parte dei massimi esponenti del nazismo una volta fatti prigionieri è oggi una realtà con pochi riscontri nella produzione mondiale – ci permettiamo una breve digressione dalla storia per raccontarvi con le parole di Marc Sielemann, attualmente a capo dello stabilimento berlinese, che aria si respiri da quelle parti.

La fabbrica di Spandau è stata costantemente aggiornata, ed è in grado di gestire la produzione di una gamma moto attualmente composta da 280 varianti di veicolo (la line-up BMW con tutte le relative possibilità di personalizzazione ex fabrica) attraverso 30 cicli di montaggio. Tutto viene effettuato a Berlino, compresa la verniciatura finale, producendo 600 moto al giorno. Si potrebbe pensare che sia facile orchestrare una situazione tanto complicata per chi produce anche auto come quelle che escono dagli stabilimenti BMW, ma contrariamente a quello che si potrebbe pensare anche in questo caso la divisione automobilistica avrebbe diverse cose da imparare dai fratelli di Motorrad. Basta un esempio: le macchine impiegate per la produzione della S1000RR hanno – e devono avere – una tolleranza dimensionale del 15% migliore rispetto a quella necessaria per sfornare un gioiello come la M3.

Ci sentiamo anche di applaudire alle intenzioni di BMW, che attraverso le parole di Stephen Schaller ha confermato Spandau come un punto fermo imprescindibile: in futuro non avverranno esternalizzazioni della produzione BMW. Le moto BMW resteranno sempre prodotte a Berlino.

 

La rivoluzione degli anni 70

Karl Gerlinger, AD di BMW Motorrad dal '79 all'85
Karl Gerlinger, AD di BMW Motorrad dal '79 all'85

Nel frattempo, tornando al periodo in cui Spandau ha raccolto tutta la produzione di Motorrad, la percezione pubblica del mezzo a due ruote si è trasformata radicalmente. Dopo la sua perdita di funzione come mezzo di trasporto utilitario, la moto vive un periodo di declino ma torna poi prepotentemente alla ribalta all'inizio degli anni 70 con un’immagine che si fa sempre più giovane, dinamica ed appetibile. Come onestamente ricorda Karl Gerlinger, a capo di BMW Motorrad dal 1979 al 1985, “all’epoca non abbiamo saputo leggere i segnali che ci mandava il mercato”.

Arrivano infatti tante novità italiane e giapponesi, più dinamiche e allettanti, mentre BMW Motorrad resta arroccata sul suo boxer a due valvole. La crisi ideologica dura però pochissimo, perché tenendo fede al suo credo – l’innovazione è il segreto per essere vincenti – la Casa di Monaco reagisce lavorando a testa bassa e prendendosi un rischio immane: far nascere la serie K spinta dal quattro cilindri a sogliola. E trovando nei propri scantinati, praticamente per caso, un modello nato come riempitivo che cementerà definitivamente la leggenda di BMW Motorrad.

 

In un panorama in cui BMW produceva moto poco appetibili per il nuovo pubblico delle due ruote – i giovani si orientavano verso modelli più competitivi e dinamici – era necessaria una svolta radicale. “La moto, oggi come allora, è soprattutto emozione” spiega un convincente Gerlinger, ”e nessuno vuole un’emozione perdente. Il pubblico vuole comprare le moto da un marchio vincente, non da chi ha un’immagine appannata ed ancorata al passato”.

I ragazzi della divisione Motorrad fanno una pensata collettiva, mettono insieme il progetto della prima K100 e vanno difilato da Eberhard Von Kuenheim, allora Amministratore Delegato del gruppo BMW, per sottoporgli la loro proposta. “Ci sono voluti un atto di fede, tanta lungimiranza e forse un po’ di follia da parte di Von Kuenheim per deliberare la partenza del progetto K, che però ha sortito gli effetti voluti”. Il problema però è che un progetto di questo tipo non produce una moto completa dall’oggi al domani: si era nel 1979, e la K100 non sarebbe arrivata prima del 1983. Serviva una moto che nel frattempo invertisse la tendenza.

 

La soluzione in casa

Spesso si cercano chissà dove soluzioni che si hanno quasi davanti agli occhi. Nel caso di BMW è andata proprio così: dopo tante ipotesi qualcuno ha pensato di guardarsi in casa, nello specifico in quello che Gerlinger ha definito “i nostri sotterranei”. Ovvero le officine in cui i tecnici BMW si divertivano a giocare in fuoristrada con dei grossi boxer trasformati in scrambler – le antesignane della R80 G/S. La lampadina si è accesa immediatamente, ma stavolta vincere le resistenze del management è stato molto più difficile: la dirigenza non riusciva a concepire come un modello del genere, una moto da regolarità, potesse essere compatibile con la filosofia delle moto BMW.

Alla fine, per loro e nostra fortuna, i tecnici della Casa di Monaco convinsero i piani alti e la R80 G/S andò in produzione. Era il 1980, e una moto del genere non esisteva: un mezzo che univa il meglio di due mondi, il fuoristrada e la strada (non a caso il nome Gelande/Strasse…) infilando a forza una bicilindrica boxer in un settore di mercato nato e plasmato da monocilindriche da 500cc. A Monaco capirono immediatamente che non sarebbe stato semplice convincere il pubblico della validità della loro moto. La G/S era valida, ma serviva un mezzo per renderla credibile.

 

Lo sport ha creato la leggenda, il mercato l'ha concretizzata creando la moto più importante del portafoglio BMW.

La soluzione venne proposta da Laszlo Perez, allora in forze al reparto esperienze BMW – uno degli artefici delle moto di cui sopra – che rispose facendo parlare la sua indole di pilota nell’europeo enduro: facciamo sport! L’idea venne recepita di buon grado, dimostrando che quel boxer considerato da tutti un propulsore vetusto e ormai inadeguato poteva volare. Il palmarés delle G/S parla da solo: 4 Paris-Dakar con Auriol e Rahier, la Sei Giorni con Scheck, Witthoft e lo stesso Perez, nonché l’europeo Enduro 1980 con Witthoft. Lo sport ha creato la leggenda, il mercato l'ha concretizzata trasformando quella che doveva essere un banale segnaposto per la serie K nella moto di maggior successo degli ultimi 20 anni. E senza dubbio la moto più importante del portafoglio BMW.

 

Ieri, oggi, domani

“Ci sentiamo un po’ come Max Friz nel 1923” dice con un pizzico di esagerazione Schaller. Indubbiamente il 2014 sarà un punto di svolta importante per BMW, che sul nuovo scooter elettrico C-Evolution punta davvero tantissimo. Ma sono tanti i segnali che indicano come la Casa di Monaco abbia effettivamente in cantiere diverse idee, alcune delle quali radicalmente diverse dal passato: prendete per esempio la R nineT (anche lei, coincidenza, nata prendendo l’abbrivio da una special che un tecnico BMW si era realizzato in casa…) presentata in questa occasione e che potrete vedere ad EICMA fra poco più di una settimana. Quando è stata l’ultima volta che avete sentito di una BMW pensata espressamente per chi vuole elaborarla e personalizzarla senza chiamare in causa la Casa madre?

 

Noi da parte nostra diamo fiducia a BMW Motorrad. Mancano solo dieci anni al centenario, e siamo sicuri che per allora a Monaco avranno nuovamente di che festeggiare.

 

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