Dakar 2015. Fabrizio Meoni, il ricordo del nostro inviato

Dakar 2015. Fabrizio Meoni, il ricordo del nostro inviato
Piero Batini
  • di Piero Batini
A dieci anni dalla scomparsa il nostro inviato ricorda con un articolo Fabrizio Meoni|P.Batini
  • Piero Batini
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11 gennaio 2015

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Iquique, 11 Gennaio 2015. Sono passati dieci anni, ma quel 11 gennaio 2005 della Barcellona-Dakar tra Atar e Kiffa non lo dimenticherò mai nel nome di Fabrizio Meoni. Un pensiero costante e ricorrente, che sale ogni giorno di questo decennale del dispiacere più grande, ed è ancora più forte lungo le piste della Dakar che è cambiata, che a lui forse non piacerebbe come prima e che è stato uno dei grandi moventi della sua vita, e lui movente per noi.

A Fabrizio piaceva la Dakar per la sua brutale rudezza, perché era il mondo e il modo in cui lui riusciva ad esprimere un carattere forte in grado di generare forza, di espanderla e di trasmetterla come per benefico contagio. Meoni è uno dei potenti emblemi della Dakar, e prima ancora del vincitore del rally mi fa venire la pelle d’oca il ricordo delle sue imprese solitarie, nella foresta della Guinea o nelle traversate del Sahara o dell’Amazzonia, del suo modo di parlare alla gente e alla sua moto, di cogliere nella vittoria il senso primordiale della riuscita.

Mi vengono i brividi a pensare a come ci si intendeva, come mi raccontava i suoi successi a distanza, dirigendoci uno verso l’altro per raccontare poi con il dettaglio della bravura, con un gesto della testa e una forza felice negli occhi, a come si incazzava con gli stessi organizzatori di oggi e a volte con se stesso, a come era contento e a come non lo era quando non ce l’aveva fatta per un pelo, a come si criticava quando sbagliava una nota, a come aveva preso la sfida di una bicilindrica che solo lui avrebbe potuto guidare e far vincere, a come gocciolava dolore per la morte del suo amico avversario, a come quel giorno infinitamente infelice mi avevano trattenuto ad Atar per tutta la mattina e a quando, nel pomeriggio avanzato, sceso dall’aereo Marie-France, che segue con me questa Dakar così diversa, mi venne incontro e mi raggelò prima ancora di parlare.

Mi vengono le lacrime agli occhi, ogni tanto sogno, a volte faccio come chi non ha forza e non vuole credere, come allora, penso e gli parlo, lo saluto e mi fingo di incontrarlo ancora per primo alla fine di una speciale dove è arrivato per primo, o al suo paese al ritorno da una Dakar vinta nella scia dei compaesani, di sua moglie e dei suoi figli in una nuvola di felicità. È un pensiero felice, un pensiero eternamente triste.

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