Dakar 2014, 2a Tappa. La resa di Alessandro Botturi

Dakar 2014, 2a Tappa. La resa di Alessandro Botturi
Piero Batini
  • di Piero Batini
Una tappa e mezzo, quasi due. Poi la moto si è fermata, e non c’è stato più niente da fare. Anche questa è la Dakar, non troppo gentile, digitale, cinica | P. Batini
  • Piero Batini
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7 gennaio 2014

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San Rafael, 7 Gennaio. Lo intercettiamo al bivacco di San Rafael, all’aeroporto, pronto a rientrare in Italia. Il sorriso abituale è scomparso, il magone appanna gli occhi del Gigante di Lumezzane. Decimo al termine della prima tappa, nel plotone di testa di una Dakar subito difficile. Alessandro Botturi si è dovuto fermare tra le dune di Nihuil, per un guasto. Fa parte del gioco, anche questo, ma ci sono circostanze che si fà fatica ad accettare, ineluttabili nella loro inaccettabile semplicità.
 

Alessandro Botturi


«Questa è dura, è veramente dura. È un boccone amaro che non riesco a mandar giù. So che può succedere, lo so e l’ho capito anche già l’anno scorso. Ma in quel caso erano le ultime tappe della Dakar, ci poteva anche stare. Ma così, come quest’anno, no, non ci sta. Non ci poteva stare. Questa volta è un peso che mi sento addosso, lo accetto perché non posso fare altrimenti, ma non riesco a farmene una ragione. È dura, eccome se è dura!

È successo tutto sulle dune, nel tratto finale della Prova Speciale, ma le prime avvisaglie che le cose non stavano girando per il verso giusto le ho avuto sin dall’iizio della tappa, sin dal mattino. Correvo con l’australiano Grabham. Sul veloce lui mi raggiungeva e superava, sul misto e sul guidato passavo io. Ma la moto “legava”, non riuscivo a farla distendere. Sulle dune ho bruciato la frizione. Non mi era mai successo, per tutto l’anno abbiamo corso e fatto test con lo stesso motore, e non si è mai rotto, mai un guasto.

Mi sono fermato subito, ho smontato il carter e ho cambiato, mettendo dentro il disco di ricambio che avevo con me. È un ricambio che ti devi portare dietro, ti possono capitare situazioni nelle quali stressi la meccanica, castighi tu la moto. Ho cambiato e sono ripartito. Ho fatto una diecina di chilometri e la moto si è fermata nuovamente. È arrivato Paolo Ceci, mi ha dato il suo disco di scorta, ho riparato ancora e sono saltato nuovamente in sella. Dieci, quindici, forse venti chilometri, poi di nuovo! Ancora una fermata, ancora cercare di rimediare, dentro anche il disco bruciato sperando che basti lo spessore a farmi andare avanti. Ma no, altri pochi chilometri, e la moto si ferma, questa volta definitivamente. Non mancava molto alla fine del settore di dune, non molto alla fine della speciale, forse ancora ottanta chilometri, ancora troppi. Non ci volevo credere, la mia corsa si fermava lì.

Mi sembrava ingiusto. Sono stato raccolto dall’organizzazione, ma ho portato con me il GPS. L’ho fatto passare con me al rilevamento di fine speciale. La Dakar arriva una volta all’anno, ti fa tentare di tutto, ti fa tirare fuori il carattere e la voglia di raddrizzare qualsiasi situazione. Speravo che far passare il dato elettronico mi aprisse la possibilità di ripartire, di continuare la gara con una penalità pur di qualsiasi entità. Volevo restare in gara a tutti i costi. Abbiamo cercato anche di andare a riprendere la moto, sperando di poterla aggiustare. Ma era dentro le dune, irraggiungibile in quella situazione e in quei tempi. A recuperarla ci penserà il camion “scopa”. Niente da fare, il momento della resa era arrivato!

La Dakar ti prende, ti tira dentro. Talvolta ti tradisce senza pietà!


Restare con la carovana? No, non ce la faccio. Ho lavorato duro per tutto l’anno. Mi sono allenato fortissimo, sono riuscito a costruire qualcosa. Una buona moto, un assetto tecnico eccellente, un’ottima logistica. Ma non è servito a niente. Una tappa e mezzo, quasi due… ma non due. Over! Nei primi, con i primi il primo giorno, solo il primo giorno. Non sono riuscito a dimostrare nulla. E adesso è tutto da rifare.

No, torno a casa, e ricominciamo da capo. Ricominciamo a lavorare per la prossima Dakar prima ancora che finisca questa. La Dakar ti prende, ti tira dentro. Talvolta ti tradisce senza pietà!
La gara va avanti, naturalmente. Le Honda vanno forte. Joan Barreda va forte, ha un altro passo. Anche Marc Coma va forte, in questo momento un po’ meno e non è stato troppo fortunato (in ogni caso molto più di me), ma non credo che sia “arrivato”, credo ancora in lui e lo aspetto un po’ più avanti. Anche Sam Sunderland va forte, è una bella conferma, ha grandi qualità…

No, è dura, troppo dura da mandare giù. Aspetto un passaggio aereo e stasera incomincio il viaggio di ritorno verso casa!»

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