Paul Denning (Suzuki): "La SBK deve essere il mondiale dei team privati"

Paul Denning (Suzuki): "La SBK deve essere il mondiale dei team privati"
Abbiamo intervistato Paul Denning il team manager che in tre anni ha saputo riportare ai vertici la Suzuki. Con lui abbiamo parlato dei suoi piloti e del futuro della Superbike | C. Baldi, Phillip Island
19 febbraio 2014

Punti chiave

Dopo aver primeggiato nei test invernali, Laverty e Lowes si sono confermati anche nei test di Phillip Island e sono considerati tra i favoriti per il primo round del mondiale Superbike che si disputerà domenica in Australia. E proprio nel paddock di Phillip Island abbiamo incontrato Paul Denning, Team Principal del Voltcom Crescent Suzuki Team. L’uomo che in tre anni ha preso una Suzuki considerata vetusta e poco competitiva e l’ha riportata a competere per le prime posizioni, pur non essendo un team ufficiale. Un passato nel British Superbike e in MotoGP con la Suzuki e da tre anni nel mondiale Superbike. Ogni anno la sua squadra deve trovare il budget necessario per competere nel mondiale delle derivate dalla serie, in quanto l’appoggio della Suzuki è più tecnico che economico. Ma a lui sta bene così perché ritiene che il mondiale Superbike debba tornare alle origini. Un campionato per i team privati, squadre che mettono in pista le moto di serie, le elaborano e danno vita ad un campionato spettacolare e combattuto. Un uomo molto concreto, poca apparenza e molta sostanza.


Come e quanto è cambiata la vostra Suzuki rispetto allo scorso anno?
«Non abbiamo apportato nessuna modifica radicale. Abbiamo cambiato tante piccole cose, che hanno migliorato l’insieme. Probabilmente il più importate intervento è stato quello riguardante l’elettronica ed in particolare l’erogazione ed il controllo di trazione. Da quest’anno Davide Gentile, tecnico elettronico, fa parte della nostra squadra ed il suo apporto è molto importante per noi. Davide viene dalla Ducati ed ha un notevole bagaglio di esperienza che è stato assimilato velocemente anche dagli altri componenti del mio team. Questo ci ha permesso di fare un importante salto di qualità».


Ed i vostri due nuovi piloti quanto hanno contribuito a questo salto di qualità?
«Laverty è un pilota vincente che lo scorso anno è andato molto vicino ad aggiudicarsi il titolo. Sa cosa bisogna fare per vincere e questo ha contribuito molto al cambio di mentalità della mia squadra. Lowes è giovane, viene da una stagione vincente nel British Superbike e sta andando molto bene. Laverty sta facendo esattamente quello che ci aspettavamo che facesse, mentre Lowes sta andando oltre le nostre aspettative».

Laverty sta facendo esattamente quello che ci aspettavamo che facesse, mentre Lowes sta andando oltre le nostre aspettative


In Superbike quando si parla di Suzuki il pensiero va al team Alstare. Qual è il vostro rapporto con la casa giapponese?
Personalmente ho una lunga storia con Suzuki. La mia famiglia gestisce una concessionaria Suzuki in Inghilterra dal 1963. Con la casa di Hamamatsu ho lavorato per alcuni anni in MotoGP e nel 2011 mi comunicarono che non avrebbero continuato con Batta. Il manager belga chiedeva un impegno che la casa di Hamamatsu non poteva assumersi in quel momento e dal Giappone mi chiesero se fossi interessato a lavorare con loro nel mondiale Superbike. Furono molto chiari e diretti. Mi dissero: noi possiamo darti un certo tipo di aiuto e vogliamo sapere se la cosa ti interessa o no. Accettai e devo dire che il supporto di Suzuki e di Yoshimura per noi è stato ed è ancora molto importate. Il budget che ci mettono a disposizione è lo stesso da tre anni a questa parte e non sviluppano più la GSX-R1000. Siamo noi ad impegnarci per aumentare la competitività della nostra moto e loro ci assistono e ci trasmettono tutta l’esperienza che, assieme a Yoshimura, hanno maturato in questi anni. Con loro abbiamo un rapporto molto chiaro e corretto, nel quale entrambi rispettiamo gli accordi presi. Nel novembre 2011 Batta disse che la Suzuki in Superbike era ormai finita e che la moto era un pezzo di ferro. Lui era stato il team ufficiale Suzuki e la casa giapponese gli forniva le moto con gli aggiornamenti e gli sviluppi. Per noi è diverso, perché siamo noi a lavorare sulle moto e a renderle competitive.
 

Team Suzuki al lavoro durante i test
Team Suzuki al lavoro durante i test

E quest’anno avete raggiunto una notevole competitività.
«Quest’anno il nostro obiettivo è di restare stabilmente nei primi sei. Non sarà facile perché in Superbike la differenza tra il primo ed il sesto è spesso minima e quest’anno ci sono molti piloti e molte case in grado di lottare per la vittoria».


Cosa pensi del futuro della Superbike? Dal prossimo anno ci saranno solo le Evo?
«Il nostro programma è quello di proseguire in Superbike, a condizione che Suzuki continui a supportarci e che i regolamenti della Evo, che ancora non conosciamo, consentano a Suzuki di partecipare in modo competitivo a questa nuova categoria. Attualmente non è così, ma speriamo che i regolamenti possano cambiare. Se Dorna vuole avere un campionato Superbike interessante e competitivo deve consentire a tutte le case di partecipare per vincere».

Se Dorna vuole avere un campionato Superbike interessante e competitivo deve consentire a tutte le case di partecipare per vincere


E come dovrebbe essere il regolamento della Evo secondo te?
«Molto simile a quello del British Superbike, che si è dimostrato un campionato alla portata di molti team e con tante moto diverse e tutte competitive».


La necessità di ridurre i costi però richiede una Superbike diversa rispetto a quella che conoscevamo sino ad ora. 
«E perché? Prendete noi ad esempio : siamo un team privato che trova i propri sponsor e sviluppa le proprie moto con l’aiuto della casa produttrice. Partecipiamo al mondiale Superbike e siamo competitivi. Si parla di ridurre i costi, ma nel budget di una squadra la moto ha un valore minimo. La BMW quando partecipava in forma ufficiale alla Superbike spendeva ogni anno 15 milioni di euro, ma noi ne spendiamo meno di due. Non ci vogliano grandi budget per correre in Superbike. La Superbike è nata quando alcuni team privati hanno messo in pista le moto di serie e deve tornare ad essere così. E’ una categoria per i team privati e non per le case ufficiali. I regolamenti possono essere rivisti, ma bisogna fare in modo che tutte le moto di serie vi possano partecipare, dando poi la possibilità ai team di svilupparle e renderle maggiormente competitive. Stiamo parlando di corse, di agonismo e di capacità tecniche, non possiamo appiattire tutto solo in nome di una presunta riduzione dei costi. Confido che il nuovo FIM WSBK Technical Director, Scott Smart, che ha una notevole esperienza maturata nel British Superbike, possa fare un buon lavoro».