Rossi e Lawson, il rientro nella tana del nemico

Rossi e Lawson, il rientro nella tana del nemico
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Il ritorno di Valentino Rossi in Yamaha torna a far nascere parallelismi fra la carriera del tavulliese e quella del californiano
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
10 agosto 2012

Punti chiave

 Il parallelo fra Valentino ed Eddie è già stato fatto al tempo del passaggio in Ducati. Come Rossi, Lawson passò dopo essersi conquistato il titolo di pilota più vincente del decennio ad una moto italiana, con la specifica missione di portarla alla vittoria. La Cagiva 500 migliorò notevolmente nelle mani di "Steady Eddie", anche se il palmarés ricorda una sola, fortunosa, vittoria al Gran Premio d'Ungheria del 1992 prima di passare il testimone a John Kocinski.

 

Ma non è tanto nel passaggio in Cagiva che in questo momento si colgono somiglianze fra il quattro volte iridato californiano e il nove volte di Tavullia. Quello che riporta ad antichi ricordi è il ritorno in Yamaha dove troverà ad attenderlo Jorge Lorenzo, ovvero proprio quel pilota con cui aveva lottato per il mondiale negli anni precedenti, nonché indiscutibilmente il più forte sulla scena dopo il ritiro di Casey Stoner.

 

A fine 1988 Eddie Lawson, alla rottura con il team Agostini e Yamaha, compie una mossa per l'epoca clamorosa e passa alla Honda. In un team esterno vince il titolo (trovando Wayne Rainey al secondo anno di Yamaha come suo più acerrimo rivale) e complice un grave infortunio di Gardner sembra destinato a diventare il riferimento per la casa di Tokyo. In realtà gravi dissapori con Honda, colpevole secondo Lawson di non aver mostrato riconoscimento nei suoi confronti per la vittoria mondiale, fanno si che il californiano cambi nuovamente casacca a fine stagione.

 

Leggenda vuole - o meglio, Lawson stesso ha apertamente dichiarato - che la metaforica goccia traboccante dal vaso sia stata una NSX (la supercar Honda venduta negli USA con marchio Acura all'epoca) promessa in regalo da parte di Takeo Fukui in persona - il direttore generale Honda dell'epoca - e mai arrivata. Probabile che anche la strategia agonistica dell'HRC, che puntava molto sul giovane Doohan, abbia avuto il suo peso. Lawson rientrò quindi in Yamaha, che nel frattempo assieme a Marlboro aveva abbandonato il team Agostini per concentrare il suo impegno sulla formazione in forte ascesa gestita da Kenny Roberts. Dove, appunto, trovò un compagno di squadra scomodo come Wayne Rainey.

 

La stagione partì male: al debutto in Giappone venne abbattuto da Doohan, e alla gara successiva, negli USA, si fratturò un piede alla prima curva per l'ormai celebre errore di un meccanico che dimenticò di fissargli le pastiglie dei freni anteriori. Saltò quasi metà stagione, e al rientro, pur collezionando una serie di ottimi risultati, non trovò quell'appoggio che si aspettava da Yamaha. "Questo ormai è il team di Rainey, Yamaha è la marca di Wayne" furono le parole con cui Lawson, realista ed amaro, annunciò il ritiro a fine stagione. Ritiro che poi rientrò d'inverno, dopo che i fratelli Castiglioni lo convinsero a suon di dollari ad accettare la sfida Cagiva.

 

Il parallelo Lawson-Cagiva/Rossi-Ducati è già stato fatto; il rientro in Yamaha di Rossi ne fa venire naturale un altro, quello appunto del ritorno alla casa che ha reso entrambi grandissimi. Casa che però non è più tutta per loro. Rossi saprà farsi valere contro lo scomodo coinquilino o sarà destinato alle stesse, amare, conclusioni tratte da Lawson?

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