Nico Cereghini: “Viva il pilota/lavoratore”

Nico Cereghini: “Viva il pilota/lavoratore”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Dovizioso e Rossi sul podio di Losail. Primo e terzo. E’ bello anche soltanto immaginare che Andrea possa riuscire dove Vale anni fa si è arenato. Tempi diversi, piloti diversi, la Ducati
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
20 marzo 2018

Punti chiave

Ciao a tutti! Se non è bello ciò che è bello ma è bello quel che vince, come si era detto alla presentazione della Desmosedici 2018, allora possiamo confermarlo insieme ai lettori: questa Ducati è bellissima. E’ giusto raccomandare prudenza, Losail è una pista molto particolare, le condizioni della gara notturna sono atipiche, più della velocità anche questa volta contava la strategia, va bene tutto: ma intanto Andrea Dovizioso ha già dimostrato di essere in palla esattamente come l’anno scorso, e che Márquez è ancora battibile. Una conferma che fa piacere quanto l’altra: Valentino Rossi che resta tra i più veloci in assoluto, a dispetto delle ventidue stagioni di mondiale già archiviate. Che fenomeno! La sua intelligenza è pari al suo talento e per me non è esistito nessun altro – nei cinquant’anni di motociclismo che ho potuto seguire direttamente - che abbia saputo adattarsi così bene e così a lungo alle mutevoli condizioni del mondiale. Per Rossi sono cambiate le moto, le piste, le gomme, sono cambiati i rivali: se la giocava in 500 con Biaggi e Capirossi, oggi se la gioca con Márquez e tutti gli altri; ha già vinto 89 gare nella top class, ed è salito 192 volte sul podio, ha anche perso, ha picchiato duro sull’asfalto e nella vita sportiva, non si è mai arreso ed è ancora qui sempre protagonista. Ed è bello verificare che oggi non c’è soltanto lui a tenere alta la bandiera nazionale, che c’è anche il Dovi con la sua Ducati, pilota italiano su moto italiana. E la ruota gira così in fretta che potrebbe essere proprio Andrea (che di titoli ne ha vinto uno solo nel 2004) a riuscire nell’unica impresa che a Valentino è sfuggita.


Dovi e Rossi, otto anni di differenza all’anagrafe, così differenti nel carattere eppure così vicini. Nemmeno Andrea è un ragazzino, è già alla sua undicesima stagione di MotoGP, e qui c’è la dimostrazione di come si possa arrivare al vertice in tanti modi diversi. Non voglio dire che uno abbia più talento dell’altro, non sarebbe neanche storicamente giusto. Anche Dovizioso era un bel manico fin dalle prime gare con le minimoto, anche lui ha vinto il mondiale con la 125, nel suo caso una Honda; poi ha avuto una 250 poco competitiva per tre anni e alla fine la sua carriera ha preso una velocità più bassa di altre: sempre tra i migliori, sempre tra i più apprezzati per correttezza, competenza e intelligenza, poche cadute. Ma anche poche vittorie. Fino all’esplosivo 2017, quando finalmente, alla quinta (!) stagione con la Ducati, ha potuto esprimere le sue numerose qualità.


Rossi non ha aspettato che la Ducati diventasse competitiva. Un biennio e poi via. Perché nel 2011 arrivava da altre premesse, le sue ambizioni e anche quelle di Ducati erano altissime, la fiducia reciproca è svanita piuttosto in fretta; e poi in una carriera come quella di Valentino la frustrazione va cancellata al più presto. Così è tornato felicemente in Yamaha e magari, lo dico adesso, e sottolineo magari, in un prossimo futuro anche Jorge Lorenzo potrebbe pensare allo stesso passo. Quello che più mi piace, in tutta questa vicenda, è la possibilità (e tocco subito ferro) che sia proprio un pilota/lavoratore come Dovizioso, naturalmente in una realtà che non è paragonabile a quella di allora, a centrare l’unica impresa che il pilota/star ha mancato.

Pilota Lavoratore