Nico Cereghini: “Gresini e la sua squadra sono da amare e confortare”

Nico Cereghini: “Gresini e la sua squadra sono da amare e confortare”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Dopo il dramma di Kato, finalmente era tornato il sereno con Supersic protagonista della MotoGP. Nel team, quaranta persone che lo assistevano, lo incoraggiavano, lo sfamavano. Meritano di continuare | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
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2 novembre 2011

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Ciao a tutti! Il papà di Supersic ha un bel dire che non dobbiamo piangere. Ci portiamo dentro un magone che non finisce mai. E in questi giorni tristissimi ho pensato spesso anche alla squadra, a chi era vicino a Marco quasi quanto la sua bellissima famiglia. Perché io so cosa significa convivere e trepidare con un giovane pilota e poi vederlo morire in una terribile domenica, conosco il gelo che ti blocca lo stomaco quando capisci che non c’è più nulla da fare, e l’angoscia e il senso di inutilità che cerchi di soffocare con gli abbracci. Sono tutte cose che ho già visto, purtroppo; una volta i piloti morivano tanto. Ero a Monza quel 20 maggio del ’73, quando Pasolini e Saarinen restarono esanimi sull’asfalto, al Mugello quel 16 maggio ’76 di Buscherini e Tordi; per non dire di tanti altri. Decine di piloti, spesso amici veri, che non ci sono più. Il motociclismo era molto pericoloso ed è ancora, inevitabilmente, pericoloso oggi.

Ero in Sud Africa, in sostituzione di Reggiani che aveva avuto un impiccio, per la seconda prova del mondiale 2003. Dopo due settimane di agonia si era appena spento Daijiro Kato, caduto rovinosamente a Suzuka il 6 aprile. Fausto Gresini era distrutto e cercai di consolarlo; lo conoscevo molto bene, avevo raccontato i suoi titoli mondiali in 125 con la Garelli, roba degli anni Ottanta. Ero stato spesso a casa sua, allora, e la sua mamma mi rimpinzava di tortellini, e il suo babbo mi riempiva sempre il bicchiere; bisognava fare l’intervista televisiva prima di pranzo, perché dopo no, eravamo troppo allegri per lavorare.

 

So cosa significa convivere e trepidare con un giovane pilota e poi vederlo morire in una terribile domenica, conosco il gelo che ti blocca lo stomaco quando capisci che non c’è più nulla da fare

 Gresini è stato un pilota veloce ma anche molto sensibile, io lo vedevo: la tensione lo colpiva allo stomaco e qualche volta lo paralizzava. Lui negava, macché tensione; però poi, anni dopo, quando qualcuno gli domandò se era più difficile il mestiere del pilota o quello del team manager, lui testualmente disse: “da pilota ero un groviglio di nervi, qui quando va tutto bene riesco anche a distendermi”.

Quel giorno a Welkom andava tutto malissimo, la perdita di Daijiro ci aveva fatto piangere, la squadra di Fausto pareva azzerata eppure accadde il miracolo: Gibernau, che era la seconda guida e neanche un pilota irresistibile, con la moto di Kato vinse la gara in volata su Valentino. Sete, con la mano sul cuore e il dito puntato verso il cielo, sarebbe salito sul primo gradino del podio ancora spesso, avrebbe impegnato Rossi quell’anno e anche l’anno dopo.

Non criticate Gresini e la sua decisione di schierarsi subito a Valencia, domenica prossima in MotoGP e in Moto2. In quella squadra lavorano quaranta persone, tutte amavano Supersic come un figlio o come un fratello, hanno sofferto più di noi. Non meritano di veder svanire i loro sogni: nonostante tutto, con la morte nel cuore, andranno avanti ancora.