Marquez, e fanno cinque

Marquez, e fanno cinque
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Il più giovane vincitore della storia in classe regina conquista il suo quinto sigillo iridato. Ripercorriamo la carriera del campione del mondo 2016
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
16 ottobre 2016

E con questo fanno cinque titoli nel motomondiale. Campione in 125 nel 2010, poi iridato anche in Moto2 nel 2012, ha dominato la classe regina nel biennio 2013/2014 prima che i guai della sua Honda, e le polemiche di fine stagione, non lo mettessero all’angolo l’anno successivo. Ma che il talento fosse rimasto quello, istintivo e cristallino, del fenomeno che ci ha conquistato vincendo all’esordio la MotoGP, nessuno l’ha mai dubitato e quando quest’anno ha unito lucidità alle sue incredibili doti di guida è tornato subito il favorito per la vittoria finale.

C’è voluta un po’ di pazienza, perché ad inizio stagione la Honda è sembrata di nuovo in forte difficoltà. Marquez però non ha ceduto ai nervi come l’anno scorso, si è accontentato quando non c’era la possibilità di vincere e ha corso gare che si sono dimostrate veri capolavori d’intelligenza tattica (con l’aiuto di un pizzico di fortuna) soprattutto con il cambio di moto delle gare flag-to-flag. E alla fine di una stagione mai scontata è arrivato il terzo titolo in MotoGP, che lo proietta nell’olimpo. E’ il più giovane a vincere cinque titoli nel motomondiale, il più giovane ad aver vinto tre Mondiali in MotoGP, ha il 42% di vittorie (55) sulle gare corse in MotoGP, è salito sul podio 89 volte (il 72,4% delle partenze, avendo corso 147 GP) e si è aggiudicato 64 pole position.

Noi lo abbiamo imparato a conoscere nel 2008, quando esordisce su una KTM 125 privata; il bilancio della stagione non è fenomenale, perché annovera un podio in Gran Bretagna e tante facciate, ma il manico c’è tanto che a Mattighofen se lo accaparrano subito nel team interno. Va un po’ meglio ma non di molto: a due pole position segue di nuovo solo un podio, perché Marc è veloce ma sbaglia tanto; ci vuole il passaggio alla Derbi, nel 2010, perché inizi a concretizzare. Due podi ad inizio stagione, poi dal Mugello inizia a vincere e non la smette più. Dieci volte sale sul gradino più alto del podio, due volte è terzo, e se anche sbaglia per altre quattro volte (spesso all’ultimo giro) non è certo una tragedia, tanto che alla fine arriva il primo titolo iridato.

Il passaggio alla Moto2 è praticamente scontato. Già forte dell’appoggio di Repsol, che lo inserisce nel team CatalunyaCaixa in sella ad una Suter, inizia come ci si aspetta da lui: con tre cadute e una lunga striscia di vittorie e podi intervallate da altrettanti errori, spesso per contatti con gli avversari. Genio e sregolatezza, va tanto forte da far nascere in molti il dubbio – infondato – che nonostante il regolamento monomarca il suo motore abbia qualcosa più degli altri. Arriva alla trasferta sud-pacifica di fine stagione in lotta per il Mondiale con Stefan Bradl, ma nelle libere del GP della Malesia cade per l’ennesima volta – per colpa di una pozza d’acqua non segnalata che tradisce altri due piloti – e una banale scivolata gli rovina la stagione: la diagnosi parla di commozione cerebrale. Marc salta la gara di Valencia, vittima di forti problemi di sdoppiamento della vista.

Quell’inverno salta praticamente tutti i test invernali per sottoporsi a terapie, e arriva all’inizio della stagione 2012 ancora pieno di dubbi: a metà febbraio non sa ancora se potrà correre la prima gara, in Qatar. I dubbi si dissolvono come neve al sole proprio a Losail, dove nonostante la sua situazione sia aggravata dall’illuminazione artificiale conquista la vittoria. Replica in Portogallo, Olanda, Germania, Indianapolis, Brno e Misano. A Motegi sbalordisce: parte dalla seconda posizione, ma sbaglia platealmente la partenza trovando la folle invece della prima al momento del verde. In una manciata di giri da videogioco rimonta e va a vincere, e a Phillip Island gli basta un terzo posto per conquistare il titolo. A Valencia, nonostante una penalizzazione per un contatto con Simone Corsi in prova, parte dal fondo dello schieramento e torna sul gradino più alto del podio.

Il ritiro di Stoner, nel frattempo, gli libera un posto nel team HRC, e se anche la Rookie Rule non lo permetterebbe poco male – si cambia la regola, che del resto era stata più controproducente che altro, e Marc approda alla sella più ambita del Mondiale. Il 2013 è una stagione incredibile: Marquez va fortissimo fin dai test invernali, sale sul podio all’esordio e alla seconda gara, in Texas, fa sue pole e vittoria. A 20 anni e 60 giorni diventa il più giovane vincitore della storia nella massima categoria. Tutti attorno a lui iniziano a parlare di titolo, lui si schermisce ma sa benissimo che è alla sua portata. Per tutto l’anno vince, convince, stravince: a Le Mans debutta sul bagnato ma finisce sul podio dopo aver imparato a guidare una MotoGP sotto la pioggia praticamente in gara. Al Mugello tira una facciata pazzesca in fondo al rettilineo in prova, in gara corre come se niente fosse e rischia di vincere, se non pagasse l’irruenza della giovane età.

Neanche il finale-thriller seguito al disastro australiano (quando qualcuno nella sua squadra sbaglia il calcolo dei giri per il cambio gomme imposto) riesce a rovinargli la stagione, perché nella parte centrale dell’anno Marquez è imbattibile. E anche il patatrac di Aragon, quando stende Pedrosa tranciandogli il cavo del sensore del controllo di trazione, non incrina la sua posizione nella squadra, che ormai è tutta per lui. E Marc li ripaga a Valencia, vincendo gara e titolo e diventando il primo debuttante dai tempi di Roberts – 1978 – ad aggiudicarsi il titolo della classe regina. E con i suoi 20 anni e 245 giorni diventa allo stesso tempo il più giovane iridato nella massima cilindrata.

Il 2014 è una vera cavalcata trionfale, perché Marc inizia vincendo e non smette per dieci gare di fila – qualcuno inizia ad ipotizzare un’impresa incredibile. Bisogna aspettare Brno perché Pedrosa interrompa la sua serie positiva, ma ormai il suo vantaggio è tale che il secondo titolo è una pura formalità. Ben diversamente va il 2015, quando la sua Honda appare fin da subito in crisi di competitività. Marc ci mette una pezza con imprese incredibili (memorabile la sua qualifica di Austin) ma troppe volte cede alla tentazione di provare a vincere quando i mezzi non glie lo consentono. Alla fine della stagione chiude terzo fra le polemiche per le schermaglie con Valentino Rossi, ma da quel 2015 ha imparato moltissimo.

Più concentrato e meno sicuro di sé, Marquez inizia il 2016 concentrato e pragmatico: nelle prime 10 gare sbaglia il podio solo due volte, vincendo dove ne ha la possibilità (Argentina, Germania e ovviamente Texas, dove è attualmente imbattuto) e solo in Francia finisce peggio che quarto. Complici errori e sfortune dei suoi rivali pian piano accumula un vantaggio incolmabile, e dopo la vittoria ad Aragon, che sgombra un cielo rannuvolato da accuse di ragioneria, a Motegi conquista un’altra affermazione netta. Il titolo iridato è un regalo del duo Yamaha, che scivola nel tentativo di tenere la sua ruota e allontanare ancora la sua affermazione, ma la cosa non ha fatto altro se non anticipare una vittoria finale praticamente mai in dubbio da metà stagione in avanti.

Cinque titoli, di cui tre in classe regina ottenuti in quattro anni, a poco meno di 24 anni. Nessuno all’orizzonte in grado di impensierirlo. Preparatevi ad amarlo – o a sopportarlo – ancora a lungo.