Tomizawa. Il racconto di una tragedia

Tomizawa. Il racconto di una tragedia
Giovanni Zamagni
E' morto davanti ai miei occhi, anche se, ufficialmente, Shoya Tomizawa è deceduto circa un'ora e mezza dopo, precisamente alle 14.20 nell'ospedale di Riccione, dove era stato trasportato in ambulanza... | G. Zamagni, Misano
5 settembre 2010

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MISANO ADRIATICO - E' morto davanti ai miei occhi, anche se, ufficialmente, Shoya Tomizawa è deceduto circa un'ora e mezza dopo, precisamente alle 14.20 nell'ospedale di Riccione, dove era stato trasportato in ambulanza. Succede sempre così in questi casi, non è certo una novità, è la procedura. A me, comunque, nessuno toglie dalla testa che Tomizawa sia morto sul colpo, possibilità, peraltro, avvalorata anche dalla dottoressa Marina Gambetti di Riccione. Cambia poco, purtroppo.


Solitamente, per avere una visione completa, seguo le gare in televisione dalla sala stampa, con tutti i dati: tempi, intertempi, velocità massime, distacchi, replay. Questa volta, però, avevo deciso di andare a bordo pista per vedere la Moto2, per cercare di rendermi conto, dal vivo, di alcune situazioni che non mi riesco a spiegare dalle immagini e dai dati. Dopo essere stato per un paio di giri alla prima curva, mi sono spostato nella parte centrale, dove si può vedere un bel pezzo di pista, quindi sono andato verso il curvone, il punto più difficile del circuito di Misano, perché volevo capire se c'era un comportamento differente tra le varie moto.
 

La gara si era ormai stabilizzata per la prima posizione, con Toni Elias in testa con margine, ma alle sue spalle la lotta era serrata per la terza posizione, con Simon, Tomizawa, De Angelis (in rimonta) e Redding racchiusi in pochi decimi. In quel punto, al curvone, non c'è margine di errore, si può percorrere una sola traiettoria, a una velocità attorno ai 230 km/h. Ma Shoya, purtroppo, ha sbagliato: l'ho visto andare leggermente largo, perdere il controllo della moto, finire a terra. Tutto a una velocità pazzesca, in una frazione di secondo e il flash successivo che ho impresso nella mia mente sono Alex De Angelis e Scott Redding che volano in aria, con Tomizawa che rotea esamine sulla pista.

Al momento, mi era sembrato che solo uno dei due avesse centrato il giapponese, in realtà, rivedendo poi le immagini, entrambi i piloti lo colpiscono, con un impatto durissimo. E' chiaro che è successo qualcosa di gravissimo, l'adrenalina mi sale alle stelle: le bandiere gialle vengono esposte immediatamente, i soccorsi sono rapidi. De Angelis si rialza quasi subito, Redding è fuori pista e dalla mia visuale, Tomizawa è pochi metri più in là, davanti a me. I medici lo proteggono in qualche modo con le balle di paglia, gli altri piloti gli sfrecciano accanto a una velocità secondo me troppo elevata per la circostanza, ma tant'è. Tomizawa viene caricato sulla barella, i soccorritori corrono nella via di fuga, dove uno perde l'equilibrio nella sabbia, cade. Shoya rimane immobile sulla barella, in pochi secondi è dietro il guard rail, in una apposita postazione all'esterno della curva.

Da dove sono non posso vedere cosa sta succedendo, ma intuirlo sì, perché i medici sono piegati ed, evidentemente, cercano di rianimarlo. Il mio cuore batte a mille, quello di Tomizawa, purtroppo, non batte più, tutto attorno c'è una calma apparente quasi surreale. Mi stupisce, in positivo, il sangue freddo di chi è vicino a Tomizawa, il loro non perdere mai la calma in un momento così drammatico. Io fatico a ragionare, davanti agli occhi mi continuano a scorrere le moto in piega, ma non riesco nemmeno a vederle, non sento il rumore.

Continuo a guardare là, verso la postazione di Tomizawa dove, con molta calma, arriva un'ambulanza. Non ho la minima idea di quanto tempo sia passato. Mentre viene caricato sull'ambulanza, vengono stesi dei teli bianchi per impedire alle telecamere e al pubblico di vedere. L'ambulanza parte, procede lentissima. Salto sulla bicicletta con la quale mi muovo all'interno del circuito e arrivo al centro medico ben prima del mezzo di soccorso. I minuti successivi sono, come sempre in questi casi, concitati, ma il mio cervello è in tilt, bloccato, incapace di mettere insieme un pensiero dietro l'altro. Esce Max Sabbatani dal centro medico. E' un mio amico, ma non gli chiedo niente. Si avvicinano altri giornalisti, Max fatica a trattenere le lacrime. «Aveva 19 anni» sono le sue sole parole.
 

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