Umberto Borile e la MdV 300

Umberto Borile e la MdV 300
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Una lunga chiacchierata con l'artigiano veneto. La MdV 300, nuovo modello presentato ad EICMA, è anche la scusa per parlare a 360° del mondo moto
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
15 novembre 2017

Non conoscevo Umberto Borile, almeno non di persona.

Nella mia percezione è sempre stato uno che ha fatto della raffinata radicalità minimalista la sua cifra espressiva, e quindi scrivere un articolo su di lui con un sacco di avverbi e aggettivi, oppure proporgli di mettersi in posa per le foto mi sembrava, prima ancora che ingiusto, un vero affronto perpetrato con dolo.

Allora ho pensato di partire dalle moto; le moto create da Umberto - scusate tanto: comprendo l'invidia ma è stato lui a chiedermi di darci del tu - hanno poco di convenzionale. Cioè, non sono mai state motociclette nate cercando di anticipare le richieste del mercato, e forse l'unica volta che, più per somma di circostanze che per volontà esplicita, le sue mani e la sua passione hanno espresso notevoli potenzialità commerciali, la faccenda è finita in tribunale. Le sue, le moto di Umbe, sono nate non per essere qualcosa ma per fare qualcosa. Prendiamo la Multiuso 230/125: si presenta esteticamente strana, leggera come un ciclomotore, finalizzata a toglierti d'impaccio e a sorpresa pure accogliente per il passeggero: allo scoppio di un'eventuale terza guerra mondiale ne prevedo la fornitura alla fanteria d'assalto (speriamo di no, ma nel caso, Umberto attrezzati…); se non sei un appassionato, se non sei uno che le moto le ama tutte, quella moto lì non la capisci e ti perdi quella che ritengo una delle grandi perle di Borile: l'onestà intellettuale asservita all'ingegno.  

Borile MdV 300
Borile MdV 300

Ecco, sono questi i sentimenti che provo ad EICMA 2017 mentre mi avvicino a Umberto per carpirgli qualche parola sulla sua nuova creatura, la MdV 300. Le presentazioni durano il tempo di una corsa d'albero motore: lui non ha bisogno di sapere chi sono, io so già benissimo chi è lui, quindi ci buttiamo a capofitto sulla MdV 300 dove tutto è solido, semplice, affidabile (perlomeno fino a stress test), pronto ad essere usato senza troppi riguardi: una motocicletta che nasce per stare fuori un'intera domenica in fuoristrada senza pensieri e concepita per permettere, anche a chi ha superato i trentanove e non ha il fisico o la voglia per gestire pesi o potenze importanti, di farsi una gita per mulattiere in totale spensieratezza e al riparo dalle complicazioni tecniche, grazie a caratteristiche che fanno capire di essere in presenza di un mezzo progettato da chi va in moto sul serio: dalla candela laterale (perfetta per essere rimossa e controllata senza rimuovere null'altro), al serbatoio di 12 litri che non obbliga a tornare a valle per fare benzina nel bel mezzo di un giro; la MdV 300 – in dialetto veneto significa Motorea da Vecioti (leggi “motorella per vecchietti”) - è una moto di 114 kg (ma si conta di scendere fino a 110, una volta superata la preserie) che “non hai mai bisogno di tirarla su perché non va mai giù” e quindi ti stanchi molto meno, logico. “Ad una certa età devi puntare sulla leggerezza e sulla maneggevolezza; in fuoristrada ad inizio giornata siamo tutti leoni, ma a metà giornata chi ha tirato su la moto tre o quattro volte è già stanco”.
La scelta del carburatore è fatta anche in questa prospettiva: niente iniettori ed elettronica annessa, batteria e generatore più piccoli e quindi più leggeri. La MdV 300 è inoltre priva di ABS, pur essendo omologata: sullo sterrato non è indispensabile, e la deroga concessa ai motocicli monoposto con luce a terra superiore a 30 cm è sfruttata per risparmiare chili preziosi.

Il motore è prodotto dal colosso cinese Loncin su base Suzuki 250 (vi ricordate quello della TU 250? Quello, sì, però maggiorato a 300 cc), omologato Euro 4 e dotato di un bellissimo impianto di scarico realizzato a mano che passando sotto il motore diventa una camera di compensazione-piastra paracolpi (spessa 2,5 mm), per raccordarsi senza quasi soluzione di continuità, alla piastra in ergal a protezione di motore e telaio. I catalizzatori sono addirittura 5 (tre ospitati nella camera di compensazione, più uno per ogni collettore di scarico che fuoriesce dalla testa); e la resa è tale che è stato possibile adottare un minuscolo silenziatore in fibra di carbonio del diametro di soli 60 mm, semi celato dalla tabella porta numero destra; mentre il tubo di scarico che passa dentro il forcellone razionalizza gli ingombri. Per mantenere la simmetria estetica, sotto la fiancata sinistra c'è un piccolo porta oggetti cilindrico adatto ad ospitare attrezzi o, come suggerisce Umberto, un seghetto per tagliare via l’eventuale tronco che ostacoli la via, “perché nel bosco non si sa mai…”. Utile anche per l'autodifesa. Dai cinghiali, non pensate male.

Potenza, il giusto: 30 cv a 7.000 giri: quindi, tiro in basso, poco peso e soluzioni razionali, come i due ammortizzatori posteriori -“semplicissimi ed economici, con 300 euro li sostituisci” - o l'accessibilità meccanica elevata - “in un minuto arrivi al filtro dell'aria che è quello della Fiat Uno: costa tre euro, fai prima a cambiarlo che a lavarlo”: una moto semplice e concreta quindi, che sembra essere nei desideri di molti motociclisti.

La consegna dei primi 30 esemplari fatti a mano è prevista per giugno 2018, poi sarà la volta della produzione, per così dire, “di serie”, dove qualcosa potrebbe cambiare rispetto alla MdV che stiamo vedendo ad EICMA 2017; il prezzo dovrebbe attestarsi intorno agli 8.000 euro, un'altra piccola prodezza di Borile, se pensiamo che “la leggerezza costa, guadagni in peso ma svuoti il portafoglio”. Nei programmi di Borile c'è, oltre alla ripresa della produzione della Multiuso, la creazione di una 400 stradale con ABS e iniezione a motorizzazione Hartford e, un po' più in fondo nel cassetto dei progetti, un'endurona di 750/800 bicilindrica sulla quale Umberto, giustamente, non si sbilancia, e che aspetta lo sviluppo della struttura di progettazione/modellazione/commerciale, in questo momento formata da tre persone, in attesa di tempi economicamente più floridi per aggiungere un addetto al marketing. Un passo alla volta.

Un giornalista avrebbe già finito. Io invece rimango in primo luogo un appassionato, uno che cerca di meritarsi la fortuna di scambiare quattro chiacchiere con uno dei più grandi, veri artigiani italiani della motocicletta, e per questa ragione ho inspirato un po' più a lungo del solito e approfittato della confidenza per parlare anche d'altro, formandomi l'idea che Umberto Borile è una di quelle fonti dalle quali puoi solo imparare.

Non importa la domanda, anche i silenzi e le pause hanno un senso: “io ho un grande problema che nessun psicologo o medico potrebbe guarire: non riesco a stare fermo su una sdraio a prendere il sole come fanno gli altri; come passione non sono secondo a nessuno, come bravura...sono secondo a tanti, o anche terzo, perché c'è tanta gente veramente, veramente brava”.

Pausa, respiro.

Domando la sua opinione sulla tendenza del momento che vede emergere officine, preparatori e customizer che modificano le moto, spesso in modo radicale.

“Guarda, non li sopporto. Veramente. Si sono messi ad improvvisare queste moto perché la moda è questa. Gli unici che capiscono qualcosa sono stati i DEUS, che hanno sfruttato questo momento per vendere il merchandising, l'abbigliamento e gli accessori: la moto per loro è solo un pretesto, perché non sono capaci di fare una moto da zero, questo loro lo sanno. Chi, tra questi qui, sa fare veramente le moto si conta sulle dita di una mano! Manca la conoscenza della storia, il buongusto, manca la cognizione tecnica! Io non le farei nemmeno circolare in strada, perché spesso sono pericolose; omologarle non è semplice, e del resto non sono nemmeno d'accordo su tutti questi cavilli burocratici che rendono difficile omologare una moto modificata: ma ci deve essere un ente che omologhi e controlli, altrimenti ognuno fa quello vuole e vedi in strada telai che si aprono a metà e moto che perdono i pezzi. Tu guarda poi questa moda di fasciare i tubi di scarico... forse serve a non scottarsi, o forse un po' ad attutire le emissioni sonore ma veramente poco, mah... forse non sanno che così si modifica il rendimento dell'impianto.”
Pausa, risate. Respiro.

“Mi sono fatto da solo, ed è il mio rammarico: per imparare ho guardato chi lavorava meglio, ma non mi ha mai insegnato niente nessuno”.

Pausa. Respiro.

“Ed è proprio perché ho sempre fatto da solo che dovuto lavorare di più, metterci più tempo per fare qualcosa che se magari mi avessero insegnato avrei fatto prima e meglio. Avrei anche imparato bene l'inglese. Ma non avevo tempo. Nonostante questo, sono stato il primo al mondo a fare il telaio perimetrale per il cross, per esempio”.

Pausa. Respiro.

“Purtroppo, e lo dico rammaricandomi della mia età (tra pochi giorni saranno 65 giri di pista n.d.r), ho vissuto la storia della moto in Italia e un po' forse anche all'estero; ma la vivo solo per passione, non per il business. Io non so nemmeno cosa sia il business, se avessi messo l'impegno che ho impiegato nella motocicletta su... che so... l'immobiliare dei tempi d'oro, ora avrei i miliardi, capito?” Non lo metto in dubbio, Umberto. “Ho sempre preferito inseguire il cuore e la passione, non i soldi”. Gli dico che secondo me, a conti fatti, non è andata male. “Certo! Spiritualmente mi sento benissimo, se stessi bene economicamente per quanto sto bene spiritualmente sarei miliardario (...e io aggiungo che certi concetti non li puoi esprimere in euro, solo in lire. n.d.r.)”. Pausa. Respiro.

“Sto bene, sto bene, dai. A parte questa spada che ho sempre in testa di mio figlio che mi manca tanto. Sto qui in officina da solo, ci penso sempre”.

Pausa. Respiro. Più a lungo.

Ci invitiamo a vicenda, prometto di fare un salto nell'atelier/officina di Vò per provare una delle venti B500 Ricki e la neonata MdV300.

Poi mi butto nel Salone, c'è molto da fare.

Pausa. Respiro, grazie Umberto!