EuroVespa 50: terza parte, Alexandroupolis

EuroVespa 50: terza parte, Alexandroupolis
Simone Sciutteri è arrivato a Alexandroupolis in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
24 novembre 2014

Alexandroupolis, Km 2952

Lascio Sarajevo la mattina presto, nella nebbia, come uno che scappa. Mentre la guardo scomparire nello specchietto retrovisore, avvolta dalla nuvola bianca, già mi manca un po'. Sarà per questo che la statale in cui mi infilo non mi piace neanche un po' e anche le campagne attorno sembrano grigie e senza vita. Pochi chilometri dopo però scollino, la nebbia scompare, mi investe in pieno un raggio di sole che inonda la vallata sottostante e tutto riprende vita e colore. In un viaggio come questo, itinerante e in solitaria, spesso è così: sei in balia degli eventi, anche minimi, che ti cambiano l'umore all'improvviso. Un camion che ti sorpassa troppo veloce, dei bambini che ti salutano sorridendo. Il “lavoro” più difficile è spesso controllare quest'altalena, per riuscire innanzitutto a rimanere concentrato e in secondo luogo per non perdersi nulla della goduria del viaggio.
La strada tra Sarajevo e Mostar si infila in una stretta gola rocciosa, dalle pareti altissime e aspre, percorsa da un fiume color acciaio. Il paesaggio è meraviglioso. Anche Mostar è molto bella, anche se, in una certa misura, più impressionante di Sarajevo. Il centro storico, il ponte; tutto perfettamente restaurato e turistico, con tanto di parcheggiatore all'ingresso della zona pedonale. E appena fuori, come lungo tutta la strada, ma in modo più appariscente, case abbandonate, finestre chiuse con tavolacci, fori di pallottole e grandi buchi di cannonate.
Dopo Mostar affronto uno dei tanti bivi: andare verso destra, rientrando in Croazia all'altezza di Dubrovnik, o proseguire continuando a scavalcare i Balcani? La tentazione del mare è forte, ma proseguo verso Treblinje. La strada mi premia, i Balcani avevano ancora qualcosa da dirmi. Quando riparto da Treblinje verso Podgorica, invece mi faccio prendere dalla voglia di mare, anche perchè la giornata non è bella e decido di lasciare le montagne per un po'. Della costa montenegrina me n'hanno parlato molto bene – e in effetti le strade costeggiano panorami molto belli, quindi sconfino e faccio rotta verso il mare. Ad aspettarmi però c'è un alluvione. Scendo con tantissima cautela, ma anche quando arrivo in fondo la pioggia non smette. Anzi. Le strade sono allagate ed io, dopo poche ore di sella, sto per decidermi a gettare la spugna aspettando l'indomani. Decido alla fine di insistere. E sbaglio. Sbaglio anche quando mi fido dell'indicazione di un passante: “per Podgorica prendo questa strada o proseguo fino a Bar e poi salgo da lì?” Gli chiedo. “Fai questa che fai prima” mi risponde con nonchalance. “Questa” è una salita vertiginosa, che a un certo punto, mentre la pioggia non cessa, si infila in una nuvola. Non ci vedo niente e forse è meglio, perchè quando mi sporgo un po' intravedo strapiombi paurosi. Mi maledico, ma non posso far altro che proseguire, sperando che le macchine – poche – che passano mi vedano. Procedo a cavallo della linea bianca e attacco anche la freccia, per farmi vedere meglio. Dopo mezz'ora di fatica arrivo in cima, la nebbia si dirada e mi ritrovo su un piccolo altopiano. Mi infilo nel primo autogrill e abbraccio i ragazzi che ci lavorano! Non capiscono, subito. Poi mi dicono che in quel pezzo lì c'è nebbia tutto l'anno. Stupido passante. E stupido io, che ho sottovalutato la strada, la montagna, il tempo, regalandomi mezz'ora di paura. Mi guardo un po' in giro e mi accorgo del paesaggio surreale. Quassù, in un posto veramente spettrale, ci sono concessionarie d'auto e carri attrezzi. Allora capisco: lungo tutta la strada ci sono pitturati numeri di telefono sulle rocce. Dove io magari scriverei “ti amo” o “forza Inter” qui hanno scritto i numeri dei carri attrezzi. Vista la pericolosità della strada, meglio segnarselo, no? Il carro attrezzi ti recupera, ti porta in cima, molla lì la macchina dallo sfasciacarrozze e tu hai subito pronta davanti a te la concessionaria per comprarti una macchina nuova!


Il resto della strada è un'agonia fradicia fino a Podgorica, dove per fortuna mi aspettano Danilo e Antonio, due volontari che ho incontrato a Sarajevo e mi avevano invitato a passare a trovarli. Mi fanno asciugare e mi regalano una bellissima serata e una cena fantastica. A pensarci bene, tutto mi sembra fantastico, quasi commovente; li sommergo di parole, proprio come farebbe il superstite di un naufragio.

L'indomani all'alba saluto anche Podgorica e mi dirigo verso Scutari. La strada è di nuovo molto bella, percorro le campagne albanesi assolate e dorate come se ancora non fosse autunno e il lungolago col sorriso. Ogni volta che mi fermo incontro qualcuno che parla italiano, mi sento a casa e la gente mi sembra davvero ospitale. La bella giornata mi invita a proseguire. Seguo le indicazioni del ragazzo del Vespa Club di Scutari e svolto verso Kukes. Una bella strada, mi ha detto. È vero...peccato che sia un'autostrada! In perfetto stile italiano, con identico cartello verde che vieta l'ingresso alle due ruote sotto i 150cc. Ma a quel punto non ho più alternative. O meglio, quando la vedo – una mulatteria sterrata lungo un pendio franoso, decido che preferisco sfidare la sorte qui sull'asfalto. La strada scorre benissimo, lungo la valle che porta in Kosovo. Un'autostrada per il Kosovo, l'avreste mai detto? Altri scavi, forse di un oleodotto – enormi tubi che vengono manovrati da enormi gru – che vedo lungo la strada, mi danno qualche indizio. Intanto cerco di convincere Peyton: “tu sei un 150 cc, tu sei un 150 cc...solo se te ne convinci riesci a essere tranquillo se ci ferma la polizia!”. A pochi chilometri da Kukes, giusto prima dell'ingresso di un tunnel di 4 chilometri, eccoli. Mi fermo di mia spontanea volontà, ho già pronta la storia e le scuse. Mi guardano stupiti. Vai, vai, Kukes è di là, oltre il tunnel. Vai. Vado? Vai. Peyton, sei un 150 cc!
A Kukes pianto la tenda in riva al lago, faccio amicizia con i ragazzi del bar soprastante e all'alba mi dispiace davvero lasciare quel piccolo paradiso. Attraverso il Kosovo senza grossi sussulti, tra villaggi di pastori, segnaletica per carriarmati, e alberghi di lusso che mi lasciano stupito. La strada ci porta a 1200 metri, all'ombra di vette innevate. Scendo in picchiata, poi risalgo e alla fine sconfino in Macedonia. Accolto di nuovo da pioggia, freddo e strade davvero pessime. Volendo andare verso Ohrid, lascio perdere la capitale e viro di nuovo verso ovest, diretto a Gostivari. Ci arrivo che fa quasi buio e cedo alla tentazione di una camera calda per pochi euro.
Il giorno dopo faccio poca strada, mi fermo a Ohrid come un turista qualunque. Voglio far riposare un poco Peyton e riposare un poco pure io. Il giorno dopo sarà Grecia.
Saranno gli stenti della Macedonia, ma quando l'indomani entro in Grecia in una bella mattina di sole, mi infilo subito in una strada di scorrimento, senza il minimo rimpianto. Ho fame di chilometri. È una cosa con cui devo lottare. Qualcuno mi dice: ma sei già lì? Qualcun altro mi ha scritto: ma sei ancora lì? Il fatto è che in sella ci sto bene. Quando le giornate sono belle, i panorami scorrono nel sole e Peyton è in forma, non c'è posto migliore che stare in strada. Tutte le cose, o quasi, succedono lì. I benzinai sono i miei amici. Scelgo le strade che mi ispirano di più e finora le sensazioni mi hanno portato quasi sempre bene. Quando la giornata mi sembra produttiva, mi premio con una bella cena. Quando mi sembra di non aver vissuto la giornata al meglio, mi castigo con una cena frugale. Seguo la strada, in sella è il posto in cui sto meglio. E non devo avere qualche cosa da vedere per deviare o per fermarmi. Semplicemente, mi fermo dove voglio. A fumare la pipa tra le pecore, a scattare una foto in riva al lago o in cima a una collina. Ma le strade di scorrimento, no! Per fortuna rinsavisco e comincio dei bellissimi saliscendi fra le campagne greche che ancora non si arrendono all'autunno. Mi fermo poco prima di Meteora. Chiedo di piantare la tenda vicino a una taverna e faccio amicizia con Iovanni, un eccentrico tipo che appena entriamo in confidenza mi prende sotto braccio, mi fa sedere a tavola con i suoi amici, mi ingozza della carne più buona che io abbia mai assaggiato e mi regala un serata fantastica. In cambio di qualche foto dei miei viaggi da mettere sullo schermo del suo locale! Al tavolo c'è anche un ragazzo che un po' timidamente mi confessa di voler fare qualcosa di simile al mio viaggio, ma con il suo trattore. Vai! Gli dico. Preparati e fallo. E passiamo un paio d'ore a ragionare sulle cose da fare per realizzare il suo sogno.


Visito Meteora – e non ringrazierò mai abbastanza l'amico Sergio che me l'ha consigliata – e poi proseguo, verso Tessalonica. Arrivo fino a Katerini, dopo tanti bei saliscendi all'ombra del Monte Olimpo. Come lo vedo apparire dietro una curva, la cima avvolta da una nuvola, mi fermo per fare una foto a Peyton. Penso agli antichi, a come fosse ovvio per un contadino di allora, che osservava la punta di quel monte all'apparenza inaccessibile, immaginare che quello fosse il luogo degli dei. E penso a Peyton. Gli chiedo dov'è l'Olimpo delle due ruote. Perchè secondo me, con quello che ha fatto fino a qui, un posticino lassù se l'è già guadagnato! Io invece tanto per cambiare sbaglio i mie calcoli: quando mi rendo conto dell'ora che si è fatta sono già in picchiata in mezzo al nulla, senza possibilità di tornare indietro verso la vetta prima che faccia buio; di nuovo, l'unica possibilità è proseguire. Lancio Peyton in una discesa spericolata – tanto ormai si è convinto di essere un 150cc! – e arrivo appena in tempo a Katerini. Un' altra giornata di emozioni e chilometri e incontri lungo la strada.
Come la giornata di ieri, lottando con la fame di chilometri che mi spinge sulle strade nuove e il sollievo della quiete delle strade secondarie, in cui appena posso mi ci infilo come è mio dovere e piacere fare. Qui in Grecia, poi, ci sono diverse “old national road”, che vengono snobbate per le nuove autostrade (dove, fra l'altro, si può anche andare con un 50cc...ma perchè farlo?) e che sono in ottime condizioni e regalano paesaggi molto più belli. Come quello lungo la costa, che mi ha condotto a piantare la tenda nel cortile di una guesthouse: chiusa per l'inverno, ma la cui proprietaria mi ha adottato e regalato l'ennesima cena fantastica. Saluto Teo, il proprietario, Nico, il fratello che vive in Germania, e Mamasula, che per un giorno mi ha fatto da mamma, sgridandomi pure perchè non volevo mangiare le verdure per cena.
Stamattina sono uscito dalla tenda, ho salutato il mare e mi sono infilato diligentemente lungo la Statale numero 2, che scivolando tra costa, colline, laghi, mi ha condotto a sfiorare la Bulgaria (22km segnalava il cartello a Xanti, ma è ancora presto) e poi qui, sotto il faro di Alexandroupolis. A un passo dal confine. Domani sarà Turchia e poi, in paio di giorni, Istanbul. Dove mi fermerò qualche giorno, per godermi la città e un po' di pausa, ma, soprattutto, per concedere a Peyton un po' di meritatissimo riposo.

Simone Sciutteri

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