Benny Rasa, una normale famiglia da corsa

Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
La storia di un pilota siciliano della Moto3 nel CIV - e della sua famiglia - nella scalata verso la vetta
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
4 ottobre 2018

Benny fa il pilota e ha sedici anni, in pista da dodici prima sulle minimoto, poi sugli scooter, adesso nel CIV Moto3 in sella ad una Mahindra per il team MTA 3570, obiettivo il CEV e poi il Mondiale, quello che inizia con la maiuscola. Ai successi a mani basse nelle categorie amatoriali dove un furgone e il papà Francesco erano sufficienti a stravincere, sono seguiti i piazzamenti nel CIV strappati a suon di tenacia in questa stagione che sta per concludersi.

Lo avevo conosciuto in pista a Pergusa, sotto una tenda: aspettava paziente il suo turno nella serena consapevolezza di essere più veloce di tutti gli amatori presenti quel giorno. Sono rimasto colpito nello scoprire in un adolescente quelle virtù che ti fanno entrare in pista senza sgomitare, andare fortissimo con naturalezza e rientrare ai box senza vantarti di nulla: per trovare le ragioni di tanta maturità è stato necessario arrivare ad Altofonte, Palermo, ed accomodarsi sul divano di casa Rasa dove tutta la famiglia è intorno a Benny.

In senso lato, perché qui il concetto di famiglia assorbe tutti quelli che partecipano a questa sfida di arrivare a disputare il campionato mondiale e di fare di un sogno una professione: lavorano duro senza alcun ritorno economico, imbarcano nell'impresa chiunque voglia aiutarli e sostenerli, come Luigi che lavora nel campo dell'abbigliamento ma s'è innamorato di una sfida e oggi è il manager di Benny per via del figlio Andrea che ne è il miglior amico; i Rasa ricambiano con quello slancio che ha fatto di questa intervista una delle mie esperienze umane più profonde.

Prima di arrivare nel salotto di casa dove ci aspetta Rosalba, giovane e solare mamma, abbiamo fatto un giro per Altofonte, ci voleva un caffè: io, Luigi, Andrea, Francesco e Benny che in paese viene salutato da tutti; in pasticceria veniamo continuamente interrotti da amici e io mi illudo che forse a Tavullia tanti anni fa non doveva essere così diverso. C'è Giacomino. Non so dirvi l'età, la sua innocenza è fanciullesca, i modi da ragazzo, l'aspetto da uomo: se è lì, a quanto ho capito, è perché un giorno ha acciuffato Francesco salvandolo dalle peggiori conseguenze di una disastrosa caduta con lo scooter per le vie di Altofonte. Dopo avergli prestato aiuto ha messo sottobraccio lo scooter malconcio riportandoglielo in officina e da quel giorno non è più andato via. Dispensa abbracci, allegria, semplicità. 

Parte il registratore, un'intervista corale; sembra un viaggio nelle virtù cardinali, insospettabili dall'esterno, di una normale famiglia da corsa. Trascrivo le voci senza aggiungere nulla, nessun commento: per chi ha passione per le corse, è già tutto lì.

Benny, pilota Moto3. La fortezza

Al contrario della stragrande maggioranza dei suoi coetanei, non armeggia compulsivamente con lo smartphone. 

«Ho chiesto io a mio padre di poter correre. A quattro anni, lo vedevo aiutare i ragazzi con lo scooter, mi sono appassionato e gli ho chiesto la minimoto».

«Per me è stato un gioco fino alle vittorie con gli scooter, avevo dodici anni. Appena sono arrivato al CIV, invece, ho capito che la cosa si faceva più seria, il livello molto più alto...».

Cos'è cambiato?

«A livello economico, da quando ero piccolo ad ora, è cambiato moltissimo. Prima potevo permettermi qualsiasi cosa (bello, bellissimo, sapere che “qualsiasi cosa” sia soltanto vivere una vita normale con gli amici la sera, la playstation, le gite, n.d.r.), mentre ora non più».

«Non è semplice... bisogna trovare uno sponsor che crede in te e si affeziona alla tua famiglia, che ti può portare avanti. Vorrei che capisse la mia situazione e capisse i miei sentimenti, la mia passione, perché il talento conta ma, ad esempio, ci sono molti piloti che hanno più soldi che talento; hanno le moto migliori, si allenano di più, portano più soldi ai team e i team gli fanno fare cose che ad altri non vengono concesse: alla fine hanno risultati migliori. Quindi il talento non conta così tanto».

Cosa pensi prima della partenza di una gara?

«Le Moto3 sono adrenalina pura. Per un pilota sono le moto più belle del mondo... corro perché mi piace la velocità... prima del verde penso solo a partire bene, dopo la prima curva capisco in che posizione sono e poi gestisco. Ma certe volte perdo la calma, appena succede qualcosa che non va perdo la concentrazione: ci devo lavorare, forse è perché ho poca esperienza nelle posizioni di rincalzo, prima vincevo sempre. La mia migliore qualità invece è che riesco sempre a migliorarmi».

«Con il team mi trovo bene, anche se cambiando ogni anno non riesco mai a costruire un vero rapporto. Mi sento all'altezza di arrivare al mondiale, ma tutti nel CIV lo sono: se non ci riescono è perché non sono nel team giusto o non hanno le basi giuste, la moto aggiornata, non fanno allenamenti; è tutta questione di allenamento! Non è che il primo è di un altro pianeta e l'ultimo un fermo... quando si è al CIV, tutti hanno talento. Zannoni, per esempio, ha girato al Mugello sui tempi del mondiale... lui è uno che stimo tanto: potrebbe tirarsela invece è sempre tranquillo ma anche con gli altri piloti ho ottimi rapporti. Poi ci sono quelli che magari sono bravi ma corrono solo perché hanno i soldi e se la tirano, se gli chiedi qualsiasi cosa manco ti parlano. Non lo capisco... in pista la competizione è forte, ma fuori no... siamo tutti ragazzi. La competizione è dentro».

Ti senti proiettato in un gioco o in un lavoro?

«Correre è sempre un divertimento ma adesso è più serio, vai in palestra, ti alleni, segui un'alimentazione. Coinvolge tutto... a scuola sono stato bocciato due anni consecutivi. I problemi sono le assenze e poi... è colpa mia: non do il massimo impegno e per i professori impegnarsi al massimo negli ultimi mesi non è abbastanza».

Gli chiedo se anche lui condivide il punto di vista della scuola e dei professori:

«Hanno sia ragione che torto...».

Ride lui e ridiamo tutti, dal fondo del salotto Luigi gli grida “delinquente!!”

«Hanno torto perché a molti professori dà fastidio che io parta per le gare. Ci sono professori che capiscono meglio quello che fai e perché lo fai, altri che invece sono rigidi sulle loro posizioni, specie quelli più anziani. Comunque voglio diplomarmi: se non riesco con la moto mi serve il diploma».

Mi viene voglia di raccontargli di Kocinski, Toseland, ma anche Agostini, che hanno per tempo investito sulle loro qualità extra sportive.

«Veramente?? Non le sapevo queste cose! Ancora non penso al mio futuro oltre le corse, proprio non ci penso. Vivo alla giornata, non so se dipende dalla mia età ma sono totalmente concentrato sulle corse».

«Mio padre è molto esigente, mia madre forse un po' meno... ma tra dieci anni spero di trovarmi nel mondiale e magari averne vinto uno (lo dice con naturalezza, n.d.r.) e avere ripagato tutti i sacrifici della mia famiglia».

Francesco. Meccanico, Sponsor, Coach e papà di Benny. La temperanza

«Ti dico io quello che è successo: giunti dalla Sicilia al CIV vedevamo il team di Simoncelli... lui (Benny, n.d.r) si sentiva inferiore. Il primo anno arrivavo col camper dove avevo compresso tutta l'officina, la moto e il necessario per prove e gara, vivevamo in una tenda tre metri per tre mentre lui vedeva tutti gli altri ragazzini nei box, coi team ufficiali... non si aspettava di trovare un ambiente così professionale. È passato da un campionato dove dominava e si sentiva al centro dell'attenzione, da un campionato dove la trasferta era una scampagnata e un gioco da ragazzini, ad un campionato professionistico».

Ma fare tutto da soli e, per giunta, a mille chilometri dal baricentro del motociclismo è dura.

«Se non ci sono i soldi puoi stare a casa: finora ho pagato in massima parte di tasca mia, gli sponsor non coprono che una piccola parte delle spese. Per una stagione nel CIV sono necessari centomila euro. Io facevo il meccanico di moto, ho lasciato per seguire Benny e ora faccio l'operaio agricolo nell'azienda di mio padre, così posso avere il tempo per aiutarlo, seguirlo nelle trasferte, curare i rapporti col team: è un lavoro pure questo».

«Certo, i nostri sforzi economici potrebbero essere forse un peso troppo grande per lui, spesso mi dice “non spendere tutti i soldi per me... se non riusciamo (a trovare il budget, n.d.r.), io mi fermo”, ma due o tre sponsor buoni sarebbero sufficienti per coprire tutte le spese».

«Tra dieci anni... mah... intanto spero che Benny inizi ad andare avanti da solo perché i nostri risparmi sono terminati. Spero che al Mugello faccia bella figura con la Mahindra che è una moto decisamente meno competitiva di quella dei suoi avversari. Se con quella riuscisse ad arrivare nei primi dieci... (ci è riuscito: decimo in gara 1, Bravo Benny! n.d.r.). Io ci credo, può fare bene, so che lui sta andando sempre meglio: mettere insieme il budget per la gara successiva è sempre difficilissimo, ma  io vivo gara per gara, so che può farcela».

Rosalba, mamma di Benny. La prudenza e la giustizia

«Io questo mondo, con mio marito, l'ho vissuto sempre. Stiamo insieme da quando avevo quattordici anni, il mondo delle piste è stato sempre familiare per me».

«Ma adesso ho paura. Adesso non si gioca più. Non sono più gare di minimoto, che potevano essere ritenute un gioco, adesso ho la corona del rosario dentro le tasche ad ogni gara».

È Paura?

«No, rassegnazione. Benny al Mugello un anno fa ha avuto un brutto incidente: alla Bucine un altro pilota lo ha tamponato a 180 km/h. Noi aspettavamo che passasse nel rettilineo ma lui non spuntava... lo abbiamo ritrovato al centro medico della pista. All'inizio sembrava non avesse niente, poi un medico ha insistito per portarlo in ospedale e si è scoperto che aveva la milza spappolata. Lì io e Francesco ci siamo guardati e ci siamo detti “basta”, lui era quasi svenuto e io volevo andare in pista a spaccare il motore (piccola nota lessicale: in palermitano “motore” sostituisce ogni accezione del lemma “motocicletta”, n.d.r.). Benny a quel punto chiede ai medici “ma se mi levate la milza io posso continuare a correre? ...allora possiamo andare in sala operatoria” dove i medici scoprono che aveva la milza assistita (in pratica, due milze. n.d.r.), un caso raro... a noi è sembrato un segno. Nei giorni seguenti ci ha fatto visita pure un prete che uscendo dalla stanza di Benny mi ha detto “lei, signora, si deve rassegnare. Suo figlio vive per le corse, lo deve mettere nelle mani di Dio”. E io mi sono rassegnata: ognuno di noi ha il proprio cammino da fare».

«In questo sport il denaro conta tantissimo: per noi siciliani, poi, è sette volte più difficile; significa prendere la nave, stare tanti giorni fuori, e noi di solito partiamo con i bambini (Benny è il più grande di tre fratelli, tra cui Francesca, dodici anni, che frequenta un'accademia musicale e mostra un notevole talento n.d.r.), poi quando torniamo le maestre si lamentano e dicono “vabbè, ma corre Benny non tutti i tuoi figli”, forse gli sembra che Benny vada a fare la partita di pallavolo, non capiscono che rischia al vita ogni volta che corre, pensano che andiamo a fare una vacanza invece è uno stress, meno male che con tutte le altre mamme dei piloti si è formato un bell'ambiente».

Come si va avanti quando l'obbiettivo è così in alto e a tratti può sembrare lontanissimo?

«Ci sono le persone che ci sostengono e ci incoraggiano, ma sono poche perché per tutti gli altri... siamo pazzi. Ma forse un po' pazzia lo è... noi siamo considerati pazzi da parenti, amici: siamo molto criticati. Certe volte emergono le nostre difficoltà economiche e la gente alle nostre spalle ci accusa di sprecare soldi per fare correre nostro figlio. Amici, parenti, vicini di casa... col dito puntato: l'invidia, la gelosia... una brutta bestia. Spesso le persone che ci accusano sono quelle che nella loro vita non sono riusciti in nulla».

«Se Benny non riuscisse a sfondare andrebbe bene lo stesso. Certo sarebbe un peccato per tutti i sacrifici economici che abbiamo fatto e continuiamo a fare. Benny ha fatto tantissime rinunce, non va alle gite, non esce la sera, segue un'alimentazione ossessiva...».

«Per me non sarebbe lo stesso però se smettesse di correre per sua scelta; penserei agli anni di sacrifici e privazioni di tutti... abbiamo altri due figli».

Potrei giurare di avere visto una goccia di emozione ma se anche fosse così, deve essersi dissolta come benzina all'aria. Tutta la famiglia è in corsa, ogni metro percorso è una conquista. 

Se mi chiedessero di puntare un euro su Benny Rasa lo farei senza pensarci due volte: i risultati in pista parlano per lui e, per quanto vale la mia opinione, l'ho visto girare con la sua RMU 125 da allenamento e mi ha veramente impressionato. Lucido, elegante, composto e, ovviamente, veloce: sceso dalla moto non è nemmeno sudato nonostante il caldo di metà di settembre in Sicilia. Ha scelto un numero di gara impegnativo: lo stesso Rossi mi sembra che glielo abbia fatto notare ma forse avrà ricordato di quando si faceva chiamare “Rossifumi” e apprezzato; in ogni caso Benny non lo molla.

Esco da Altofonte accompagnato da Luigi e da Andrea, salutato da Giacomino con un abbraccio virile. Francesco, Rosalba e Benny sono rimasti in salotto, in quell'appartamento sopra l'officina dove ho capito molte cose delle corse e della difficoltà di chi tenacemente ci crede a mille chilometri di distanza dove tutto è sette volte più difficile

Trecento chilometri dopo sono a a casa, riascolto l'intervista e mi crolla il mondo addosso. Mi sento di avere sbagliato tutto perché trovo solo in parte la dignità, la passione, il carisma, la fede nel futuro che la famiglia Rasa possiede e che in queste righe riuscirò a trasferire solo in parte. Direttore, questo articolo poteva essere migliore. 

Sono trascorsi alcuni giorni; i Rasa mi hanno accettato nel loro gruppo whatsapp: ci sentiamo per telefono, vengo a sapere che Benny si trasferirà nei luoghi caldi del motociclismo da corsa. 

Rivediamoci tra cinque anni, Benny. Poi mi dici com'è andata.

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