MV AGUSTA F4 1000 S

Francesco Paolillo
Mission impossible, o quasi, rendere la vita difficile ai giapponesi in un settore, quello delle plurifrazionate sportive, dove sono i padroni incontrastati. Roba da non dormirci la notte. E mi sa tanto che di notti insonni a Schiranna ne hanno passate tante. Il risultato, però è di quelli che lasciano il segno
30 maggio 2005

La storia ha inizio al salone di Milano del 1997, con la presentazione della F4 750. I tempi cambiano, i centimetri cubici e soprattutto le potenze erogate dalle moto della concorrenza incrementano in maniera esponenziale. Ecco allora che nasce l’esigenza di “anabolizzare” la F4 per tenere il passo. Nasce la Mille, cubatura di 998 cc e ben 166 CV da cospargere sull’asfalto.
Questa in due parole è la ricostruzione dei trascorsi della MV F4, ma quella che ho sotto gli occhi è il presente ed il futuro.

La prima cosa che balza all’occhio guardando questa MV è sicuramente la bellezza scultorea della linea.
É stato scritto di tutto e di più sull’estetica di questa moto. A titolo di merito, vanno lodati Claudio Castiglioni che l’ha sognata e Massimo Tamburini che l’ha plasmata.
Il “maestro” ha dato forma ad una moto, che rappresenta tutt’ora dopo ben otto anni di onorata carriera, il metro di paragone estetico per qualsiasi supersport degna di questo nome. A conferma di questa teoria rammento che il design della F4 risale al 1997, anno di presentazione della versione 750. Difficile pensare ad una supersportiva che possa apparire ancora moderna e originale dopo tanto tempo, senza passare attraverso un pur minimo restyling!

A titolo personale…ma neanche poi tanto, sentendo ciò che dicono gli appassionati (e non) incontrati nei giorni di prova, trovo la linea della F4 come la più bella, equilibrata e originale due ruote del panorama motociclistico. Provate a lasciarla parcheggiata a fianco dell’ultima superbike di grido. Niente da fare, gli sguardi sono ancora tutti per lei.
Non vorrei sbilanciarmi, ma a quanto pare lo sto già facendo, nel dire che che questa moto meriterebbe di vincere il premio virtuale di moto più bella di tutti i tempi (ecco adesso la mail diventerà incandescente…!).

Provate a contemplarla, è un’orgia di design, anche nel caso si tratti della versione in colorazione grigio blu, alla quale prediligo la classica rosso grigia (ma come si dice de gustibus non disputandum est).
Partiamo dal cupolino, linee taglienti e affusolate, un faro che ha fatto storia con quella forma unica nel panorama motociclistico. I due specchi retrovisori a goccia con indicatori di direzione integrati (anche questi stracopiati da tutti).
E il serbatoio? Che dire, sembra una scultura, con tutti quei parallelepipedi che si incastrano tra di loro con risultati “esaltanti” per l’occhio.

La prima cosa che balza all’occhio guardando questa MV è sicuramente la bellezza scultorea della linea

Il capolavoro però, è da considerarsi il codino, alto, slanciato, con due occhietti diabolici rossi e con quelle quattro canne d’organo che fanno invidia tanto sono belle. Pensate a quante moto dopo di lei, hanno adottato lo scarico sottosella.
Questo è quanto si nota di primo acchito. Se ci si concentra sui particolari, invece si entra letteralmente nel paese dei balocchi… ”motociclistici”. Vogliamo iniziare delle sospensioni? Due sequoie come le Marzocchi a steli rovesciati da 50 mm, con piedino di forcella a sgancio rapido, un cannotto di sterzo dove ci passa il mio avambraccio. E che dire di quell’ammortizzatore di sterzo che ammicca sdraiato sotto la piastra e del monobraccio che per design si potrebbe tranquillamente esporre in un museo di arte contemporanea (cosa peraltro successa alla moto intera a New York). Ma le delizie per gli occhi non si fermano qui, difficile non notare i serbatoi dell’olio freni e frizione dal design a goccia, che come le pinze Nissin a sei pistoncini, sono stati espressamente pensati e prodotti per questa moto.
Gioia per i perfezionisti dell’ergonomia, le leve frizione - freno anteriore, i comandi a pedale e le pedane stesse, sono tutti regolabili con comodi registri, che permettono di personalizzare al meglio la posizione di guida.
Avendo modo di “spogliare”delle vesti la F4 (operazione semplice e molto rapida grazie alle viti a sgancio rapido con cui è fissata la carenatura) si ha modo di apprezzare l’ordine e la pulizia anche dove non batte il sole. Niente cavi volanti o fascette posticce a recuperare sviste progettuali o tagli dei costi, che soprattutto in questo caso sarebbero difficilmente giustificabili.

Il cruscotto, anch’esso caratterizzato dal design a goccia, motivo ricorrente su questa moto, è composto da un quadrante analogico per il contagiri (con spia di cambio marcia a lato) e da un display che visualizza la temperatura del liquido refrigerante, due contachilometri parziali, oltre a quello totale e per ultimo l’orologio. Le funzioni del display, vengono selezionate a motore acceso, tramite il pulsante dello start. Sulla parte alta del cruscotto sono posizionate le spie di servizio, che peccano in visibilità a causa della scarsa luminosità.

I vani portaoggetti, su una moto così tirata, passano in secondo piano, ma lo striminzito spazio ricavato sotto la sella della F4 oltre che risicato e adatto a contenere al massimo un bloccadisco, è pure dotato di riscaldamento autonomo (lo scarico proprio sotto la sella) che rende incandescente qualsiasi oggetto vi si riponga.

La dotazione ciclistica ed livello di finitura sono ai massimi livelli, ben superiore rispetto a qualsiasi concorrente. Il prezzo di listino, 18.700 Euro, è anch’esso superiore alla concorrenza, ma la tenuta sul mercato dell’usato e soprattutto il blasone di questa moto, sono difficilmente paragonabili a qualsivoglia sportiva giapponese.


Sottopelle

Una volta spogliata, la F4 mette in mostra un’altra chicca, il telaio a traliccio in acciaio, con piastre in alluminio ricavate per fusione, che avvolge letteralmente il quattro cilindri di Varese.
Quest’ultimo, come già scritto, ha una cubatura di 998 cc, quattro cilindri in linea con distribuzione radiale delle quattro valvole, pur avendo una cilindrata maggiore, ha visto diminuire il proprio peso rispetto al fratello minore di 2.637 grammi. Il raffreddamento naturalmente è a liquido, così come l’alimentazione è ad iniezione elettronica (multipoint). La potenza dichiarata (e viste le prestazioni direi effettiva) è di 166 CV (122 Kw) a 11.750 giri a con una coppia di 11,1 Kgm (109 Nm) a 10.200 giri, numeri che ingolosiscono gli smanettoni.
Il cambio a sei rapporti è completamente estraibile, caratteristica alquanto “pistaiola” che permette di variare i rapporti in modo rapido, mentre il sistema antisaltellamento in frenata della ruota posteriore, ha la particolarità di agire non direttamente sulla frizione, ma sul propulsore, tramite una valvola posta sul condotto di aspirazione del secondo cilindro.

Il capolavoro però, è da considerarsi il codino
Il capolavoro però, è da considerarsi il codino

Quest’ultimo, in fase di staccata, eroga sempre un certo quantitativo di coppia mediante un sistema completamente elettronico.
Elevatissimo lo standard del reparto sospensioni. La forcella Marzocchi a steli rovesciati da 50 mm è manco a dirlo regolabile nel precarico molla e nell’idraulica, sia nell’affondamento che nel ritorno. Anche dietro non si scherza, con il mono Sachs che si può regolare nel precarico, oltre che in compressione (alte e basse velocità) ed estensione.
Non contenti i tecnici della MV, danno la possibilità di registrare l’altezza del posteriore (con un registro sul puntone di reazione) e addirittura di variare la posizione del perno forcellone (tramite una boccola con foro eccentrico). Già me le vedo le discussioni al bar (per non dire ai box di un autodromo…) “quanti clic ci hai dato? e il precarico? e la pressione delle gomme?” A già dimenticavo, la MV Agusta tanto per incasinare la vita (in senso buono) ha omologato una 120/65-17 anteriore, ma dietro offre la possibilità di scegliere tra una 180/55 oppure una 190/50 sempre con cerchio da 17 pollici (e giù a discutere sulla scelta migliore!)


L’accensione del quattro cilindri fa vibrare l’aria.

Il rombo del mille ricorda il settemmezzo molto alla lontana, le corde vocali di questo quattro cilindri, sono di quelle toste, ben più robuste rispetto alla sorella minore. È scomparso quasi completamente il timbro della 750 che ricorda l’otto cilindri Ferrari (quello della 355 per essere precisi…) ma la mille in ogni caso canta da far venire i brividi.
La silenziosità meccanica, non è un suo pregio, ma basta dare due sgasate per coprire qualsiasi rumore molesto.
Prendo confidenza con l’assetto di guida old style, abituato agli standard imposti dalle più recenti (per progetto) concorrenti. La posizione è di quelle “sdraiate” verso l’avantreno con i semimanubri laggiù quasi sulla ruota anteriore (anche se bisogna dire che la situazione è migliorata rispetto alle 750 precedenti) postura che tiene l’avantreno bello caricato. Le gambe abbracciano il serbatoio in maniera naturale e le pedane seppur alte e arretrate, sono dove le vorresti trovare quando c’è da spingere. Per gli icontentabili, la possibilità di regolare ogni singolo componente, leve e pedane che siano, risolve ogni tipo di “problema ergonomico”.

Prima, seconda, terza, nell’attesa che il motore entri in temperatura (visti i 35/36 gradi di temperatura esterna vi assicuro che ci vuole davvero poco…) inizio ad apprezzare il cambio, secco, preciso e rapidissimo. Un gioiello decisamente all’altezza dei migliori japs. La frizione pur non leggerissima è esente da critiche e anche nell’uso cittadino si difende alla grande.
Portare a spasso la F4 1000 S per le strade di Milano in pieno Giugno con temperature da agosto inoltrato, è come ballare la samba in ginocchio sui ceci…un martirio. Già le strade cittadine non le digerisce manco con il bicarbonato, figuriamoci se fa pure caldo. La temperatura indicata sul display suggerisce di trovare velocemente una strada su cui aprire e far prendere aria al motore e aggiungo io al sedere, che viene letteralmente cotto dai quattro scarichi che passano lì sotto.
Non appena la morsa del traffico si allenta, smanaccio la manetta del gas e…l’urlo liberatorio del mille si diffonde nell’aria (anche il fondoschiena ringrazia sentitamente…). Aspirazione e scarico si accordano su note che sono musica per le orecchie degli appassionati. La spia che consiglia di cambiare marcia per l’approssimarsi dell’entrata in funzione del limitatore, occhieggia dal cruscotto. Un colpetto alla leva del cambio e tac altro giro altro regalo, una mandria di cavalli scatenati cerca di strappare il pneumatico posteriore dal cerchio. Le prime sensazioni sono abbastanza “forti” a causa della rapidità con cui tutto avviene e aggiungo io con la quale tutto passa (ragazzi basta aprire un paio di marce e qui con la mia patente alla Stradale ci fanno i sottobicchieri!). Il motore che fino ai 4.000 giri ha spessore, ma non è irresistibile, dopo recupera e passati i 6.000 diventa davvero cattivo. Inutile dire che su strade aperte al traffico già rimanendo nei pressi dei 5/6.000 giri si viaggia forte, dunque è meglio portarla a spasso tra i cordoli, giusto per farla sentire a proprio agio. Fastidiosa la tendenza ad “affogare” mostrata dal propulsore durante le scalate a bassi regimi, 3.500/4.000 giri, quando ai colpetti di gas che accompagnano la scalata, non corrisponde un aumento dei giri.
La goffaggine che la caratterizza nei pif paf cittadini (!) in pratica il classico slalom tra le auto, non è un difetto imperdonabile, d'altronde nel suo DNA il meschino utilizzo a bassi regimi tra le auto incolonnate non è contemplato.
Dunque se volete esibirla al bar dovete prepararvi a qualche sacrificio, ma se volete assaporare la vera essenza… casco in testa, tuta di pelle, paraschiena , stivali e guanti…ma soprattutto una pista. Questa sarebbe meglio se fosse di quelle veloci, Monza, Mugello e roba del genere. La cavalleria ha bisogno di spazi aperti per esprimersi al meglio.
Noi abbiamo avuto modo di provarla sulla Pista di collaudo Pirelli a Vizzola Ticino, caratterizzata da un’ampia varietà di curve ma non propriamente veloce.
La temperatura dell’aria si aggirava sui 37°, mentre l’asfalto arrivava a 48°, lascio alla vostra immaginazione quel che succedeva dentro alla tuta di pelle del sottoscritto. Queste temperature hanno creato diversi problemi anche alle gomme, che hanno avuto bisogno di qualche pausa di riflessione…come il pilota d’altronde.
La possibilità di spalancare il gas senza troppe remore, se non quelle di salvaguardare la pellaccia, fa emergere il vero carattere della F4 1000 S. Questa moto più va forte meglio si comporta, scordatevi la “facilità” delle jap (sempre che si possa parlare di facilità) l’Agusta pretende dal pilota, grandi capacità e attitudine alla guida, come nessun’altra moto. Andare forte con questa MV significa guidare senza indecisioni, sia sulla manetta del gas, sia sulle pedane che pretendono grandi e decise spinte. L’avantreno lo si ha sempre in pugno, lo si sente come su nessun altra sportiva, preciso stabile, ma in inserimento di curva la discesa in piega va aiutata con tutto il corpo, a dispetto della tendenza a “cadere” di molte concorrenti. Nessun problema alle alte velocità, la F4 va dove vuole il pilota con precisione millimetrica, impressionando per stabilità e coerenza d’assetto, incassando al meglio anche le asperità dell’asfalto che difficilmente “disturbano” il pilota. 



Il set up delle sospensioni, già tarato per l’uso in pista (su strada manca poco perché si sentano le strisce pedonali…) aiuta notevolmente nella guida tirata, con un assetto che asseconda anche lo smanettone più pretenzioso in tutti i frangenti, ma bisogna anche dire che la risposta secca delle sospensioni mal si adatta alle vibrazioni del motore agli alti regimi.
Facile intuire, che su di una moto del genere le possibilità di piega siano vicine…all’infinito. L’unico limite viene dall’istinto di sopravvivenza.

Impressionante la motricità mostrata dalla F4 in uscita di curva, la Mille scarica fino all’ultimo cavallo sull’asfalto, fiondando letteralmente il pilota verso la curva successiva. La tendenza al decollo dell’avantreno è limitata al primo rapporto, mentre già in seconda, tutta la potenza …va a buon fine (una mosca bianca nella categoria oserei dire).
Inappuntabile l’impianto frenante, che anche senza esibire pompe e attacchi delle pinze radiali, permette decelerazioni di prim’ordine ed una resistenza a prova di caldo equatoriale.
Chi vi scrive ha mostrato i propri limiti molto prima della moto, ma la fatica è stata ripagata alla grande con soddisfazione di guida vicina all’eccellenza.

Una moto dal fascino indiscutibile, questa MV Agusta, già entrata nella storia per personalità ed esclusività di prim’ordine. Una moto adatta a tanti, ma non a tutti, un prodotto italiano di cui vantarsi.

MV Agusta F4 1000 S (2004 - 05)
MV Agusta

MV Agusta
Via Giovanni Macchi, 144
21100 Varese (VA) - Italia
0332 254111
info@mvagusta.com
https://www.mvagusta.com/it/

  • Prezzo 19.090 €
  • Cilindrata 998 cc
  • Potenza 166 cv
  • Peso 192 kg
  • Sella 810 mm
  • Serbatoio 20 lt
MV Agusta

MV Agusta
Via Giovanni Macchi, 144
21100 Varese (VA) - Italia
0332 254111
info@mvagusta.com
https://www.mvagusta.com/it/

Scheda tecnica MV Agusta F4 1000 S (2004 - 05)

Cilindrata
998 cc
Cilindri
4
Categoria
Super Sportive
Potenza
166 cv 122 kw 11.750 rpm
Peso
192 kg
Sella
810 mm
Inizio Fine produzione
2004 2006
tutti i dati

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