Nico Cereghini: "Guintoli, da studiare e poi copiare"

Nico Cereghini: "Guintoli, da studiare e poi copiare"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Il francese della SBK ha una guida fluida ed elegante, ma è anche velocissimo e vincente. Un modello perfetto per chi vuole guidare bene sulla strada, perché la bella guida fa bene a ogni pilota e alla sua moto | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
4 marzo 2014

Punti chiave

Ciao a tutti! Lo so che non è spettacolare, che la sua concretezza lascia tiepido il pubblico della SBK, ma credo che un pilota come Sylvain Guintoli sia davvero un fenomeno interessante. Uno come Laverty appassiona molto di più e lo capisco benissimo; oltretutto, se la sorprendente Suzuki non lo avesse tradito, probabilmente sarebbe l’irlandese in testa alla classifica dopo la prima prova della stagione. Ma Guintoli è un’altra cosa, e in confidenza, tra amici, vi dirò che un po’ mi identifico in lui.

La mia guida da pilota era –fatte le debite proporzioni- rotonda e dolce come quella del francese: poi, come lui, amavo molto guidare sul bagnato dove ho sempre fatto bella figura, e con le 1000 Endurance, a parità di tempi sul giro, consumavo meno gomme e meno benzina rispetto a molti miei compagni di squadra. Invece nei GP della classe 500 –dove quello che conta era star davanti subito, gomme e carburante da bruciare in fretta- magari andavo forte in prova con la mia Suzuki RG, ma poi con la partenza a spinta ero un disastro, mi ci volevano tre o quattro giri per prendere il ritmo e addio, quelli buoni non li vedevo più.

Ricordo bene che Massimo Laverda della Laverda di Breganze, una persona che stimavo moltissimo, aveva due idoli tra i piloti. Uno era suo, anzi la bandiera della Moto Laverda, il toscano Augusto Brettoni che veniva dalle gare in salita e andava forte dappertutto; l’altro era Helmuth Dahne, ingegnere-pilota tedesco che guidava la boxer BMW come un Dio, uno che sul vecchio Nurburgring di 22.8 chilometri aveva il record assoluto. Massimo Laverda raccontava che il suo pilota ideale era quello che sapeva rispettare la moto, diceva “pugno di ferro in guanto di velluto”. E io mi impegnai a fondo, per convincere il mio boss e continuare a meritarmi il ruolo di pilota ufficiale nelle 24 Ore. Primo non cadere, secondo far correre la moto senza forzarla mai, terzo dare gas progressivamente, quarto frenare forte ma senza far saltare le ruote, quinto non fare urlare inutilmente il motore.

Trovo che la guida sulla strada possa assomigliare a quella fluida dell’Endurance, e invece abbia pochi aspetti in comune con quella dei prototipi da Gran Premio


Feci coppia con Brettoni prima, poi con Roberto Gallina, e benché la nostra 1000 tre cilindri di quell’epoca poteva fare ben poco contro le quattro cilindri ufficiali Honda e Kawasaki, agguantammo anche qualche bel podio.
Trovo che la guida sulla strada possa assomigliare a quella fluida dell’Endurance, e invece abbia pochi aspetti in comune con quella dei prototipi da Gran Premio, che da almeno quarant’anni si guidano di forza: con derapate, salti del retrotreno in frenata, impennate e compagnia bella. Sylvain Guintoli non ha fatto sfracelli nel mondiale velocità: miglior risultato MotoGP un quarto posto con la Yamaha in Giappone nel 2007; e poi c’è un terzo gradino del podio con l’Aprilia duemmezzo, Assen 2003, dietro a Battaini e davanti a Poggiali che quell’anno vinse il titolo. Pochi e sporadici risultati. Ma nella SBK, con le moto derivate dalla serie, può fare bene, anzi benissimo. Marco Melandri deve darsi una bella regolata se lo vuole battere. Guardatelo con attenzione quando guida, Guintoli, e tentate di scoprire la sua ricetta.