Massimo Clarke: "I motori a cilindro orizzontale"

Massimo Clarke: "I motori a cilindro orizzontale"
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
In un mondo come quello odierno, caratterizzato da una notevole standardizzazione degli schemi tecnici, non sembrano essere più di attualità, ma in passato hanno saputo dare grande prestigio alla scuola italiana | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
14 dicembre 2011

 

Ecco una architettura motoristica alla quale i nostri costruttori hanno fatto ricorso in misura assai maggiore, rispetto a quelli esteri. I motivi di questa preferenza spesso emersa non sono chiari. Forse si tratta solo di una particolare creatività da parte dei nostri progettisti. Fatto sta che i motori a cilindro orizzontale, nella storia della moto, sono fondamentalmente un fatto italiano, con eccezioni talmente rare che si contano sulle punte delle dita.
 

Tedeschi, inglesi e giapponesi


Di notevole importanza, anche in quanto ha ispirato a Giuseppe Benelli l’aspetto da dare ai suoi motori, è stata la tedesca Imme, geniale motoleggera utilitaria progettata da Norman Riedel, dotata di un monocilindrico a due tempi con architettura “a uovo”. Il tecnico pesarese se ne invaghì a tal punto che dal 1952 in poi tutti i motori prodotti dalla sua azienda, la Motobi, sono stati dotati di motori aventi tale conformazione.
Un’altra realizzazione tedesca con cilindro orizzontale merita sicuramente una menzione; si tratta della Kreidler 50, protagonista per tanti anni dei mondiali di velocità. Ne ha vinti ben sette, prima che la FIM abolisse questa classe di cilindrata.
Un titolo iridato molto importante, in quanto ottenuto nel 1949, primo anno di istituzione del Campionato Mondiale, è stato conquistato dalla AJS 500 bialbero, i cui due cilindri erano appunto disposti orizzontalmente.
E poi un cenno va anche ai semplici monocilindrici utilitari con cilindrate comprese tra 50 e 90 cm3 prodotti per tanti anni dalla Honda. Non hanno avuto un significato degno di nota, sotto l’aspetto tecnico, e non hanno lasciato alcuna traccia nella storia della moto, ma sono stati costruiti in un numero impressionante di esemplari.
 

Una scelta interessante

I motori a cilindro orizzontale hanno dalla loro un interessante punto di forza: nei motori a quattro tempi la testa assorbe la maggior parte del calore ceduto dai gas alle pareti metalliche (nei due tempi è invece il cilindro). Quando il raffreddamento è ad aria questo componente risulta disposto in modo ottimale in quanto liberamente esposto al vento della corsa. Il motore è lungo, e questo non è vantaggioso, ma le masse, anche se non “concentrate”, risultano disposte in maniera comunque interessante, ai fini della guidabilità.


Le mitiche Guzzi

Moto Guzzi Airone 250 (primi anni Cinquanta)
Moto Guzzi Airone 250 (primi anni Cinquanta)

Come detto, per quanto riguarda i motori con questa architettura, la parte del leone l’ha fatta l’industria italiana, con realizzazioni estremamente significative, tanto di serie quanto da competizione, non poche delle quali di rilevante cilindrata. Qui di seguito, ecco alcune delle più importanti.
Le monocilindriche Guzzi per decenni sono state tra le migliori rappresentanti della intera industria motociclistica italiana. A ottimi modelli di serie, principalmente di 500 cm3 (chi non ricorda il famoso Falcone degli anni Cinquanta?), si sono aggiunte straordinarie moto da Gran Premio di 250 e di 350 cm3 che tra il 1949 e il 1957 hanno conquistato la bellezza di otto titoli mondiali. Il 350 bialbero del 1957, autentico capolavoro di Giulio Cesare Carcano, aveva un alesaggio e una corsa pari rispettivamente a 75 e 78 mm ed erogava 38 cavalli a 8000 giri/min. Il peso era di soli 98 kg e, aggiunto alla straordinaria profilatura aerodinamica, contribuiva in misura straordinaria a rendere questa moto pressoché imbattibile, anche sui circuiti veloci.
Il Falcone, prodotto in versioni Turismo e Sport, è stato il punto di arrivo di una linea evolutiva iniziata negli anni Venti e sviluppatasi con una serie di modelli dalle prestazioni via via più elevate. Aveva le classiche misure caratteristiche Guzzi di 88 x 82 mm. Il motore, dotato di lubrificazione a carter secco e di distribuzione ad aste e bilancieri, era assolutamente inconfondibile, come gli altri grossi monocilindrici della casa di Mandello del Lario, anche per la presenza di un grosso volano esterno. Per quanto riguarda le cilindrate minori, non si possono non ricordare l’Airone (250), il Galletto (160, 175 e 190) e lo Zigolo (a due tempi, realizzato in versioni 98 e 110), tutti con il cilindro rigorosamente orizzontale.


Le ali di Varese

Aermacchi Ala Blu 250 fine anni Sessanta
Aermacchi Ala Blu 250 fine anni Sessanta

Giustamente famosi, anche a livello internazionale, sono stati gli Aermacchi di 175, 250 e 350 cm3. Il progetto originale di questo straordinario motore a cilindro orizzontale con distribuzione ad aste e bilancieri e lubrificazione a carter umido è dovuto ad Alfredo Bianchi e risale alla metà degli anni Cinquanta. I modelli stradali più noti e diffusi sono stati l’Ala Verde 250 (prodotto dal 1960 al 1969) e l’Ala Blu (esso pure di 250 cm3, in listino dal 1967). Il motore, munito di cilindro in ghisa, aveva un alesaggio di 66 mm e una corsa di 72 mm. Per il mercato americano (nel 1960 l’azienda varesina aveva stipulato un accordo con la Harley-Davidson, con cessione di metà delle quote azionarie) nella seconda metà degli anni Sessanta sono stati realizzati dei modelli a corsa corta, con cilindro in lega leggera munito di canna in ghisa. Per quanto riguarda le moto da competizione, sviluppate per i piloti privati e a lungo grandi protagoniste della scena agonistica, è entrata nella leggenda l’Ala d’Oro. La versione 250, in listino dal 1960 al 1972, è stata munita di motore a corsa corta (72 x 61 mm) dal 1963 e ha ricevuto un nuovo telaio nel 1966. Al termine della sua evoluzione disponeva di 32 cavalli a 10000 giri/min. Con l’Ala d’Oro (che è stata prodotta anche in versione di 350 cm3, dalla quale sono derivati pure alcuni esemplari di cilindrata maggiore) sono stati vinti ben nove campionati italiani della montagna e quattro campionati juniores.
Con uno speciale “siluro” da record azionato dal motore di una Ala d’Oro 250 nel 1965 George Roeder ha raggiunto una velocità di oltre 283 km/h sul chilometro lanciato.
Dal 1970 i modelli stradali sono diventati di 350 cm3, ma la loro diffusione è stata decisamente inferiore, rispetto ai precedenti 250. L’Aermacchi –Harley Davidson è diventata AMF Harley-Davidson alla fine del 1972 per trasformarsi in Cagiva nel corso del 1978.


Da Pesaro agli USA

Motobi 250 SS, versione 1968-71
Motobi 250 SS, versione 1968-71

Come già accennato, un’altra Casa italiana che ha legato il suo nome a ottimi modelli a cilindro orizzontale è stata la Motobi. Fondata da Giuseppe Benelli nel 1950, questa azienda in effetti ha progettato e costruito solo moto con questa architettura, inizialmente a due tempi e poi anche a quattro. Sono state principalmente queste ultime, realizzate in versioni di 125, 175, 200 e infine anche di 250 cm3, a renderla famosa.
Alla fine del 1962 è avvenuta la fusione con la Benelli (gli stabilimenti distavano solo qualche chilometro l’uno dall’altro), che per svariati anni ha venduto col suo marchio diverse versioni delle famose Motobi a cilindro orizzontale. Durante gli anni Settanta è avvenuto anche il contrario: sono infatti stati commercializzati col marchio Motobi (scomparso dalla scena nel 1977) alcuni modelli che in effetti erano di progettazione e fabbricazione Benelli.

La 250, che ha fatto la sua comparsa alla fine del 1965, aveva un alesaggio di 74 mm e una corsa di 57 mm ed è stata commercializzata fino al 1974. Numerose di queste moto sono state vendute sul mercato USA.
Molto importante è stata carriera agonistica delle monocilindriche Motobi con motore “a uovo”, che hanno vinto ben 17 campionati italiani juniores e sette campionati della montagna. La 250 in versione competizione, accreditata di una potenza dell’ordine di 32 cavalli a 10.000 giri/min, si è imposta, col marchio Benelli, nella famosa 100 miglia di Daytona del 1967 davanti a una agguerritissima concorrenza giapponese. La guidava un certo Sam Bertarel. All’epoca l’AMA non era affiliata alla FIM e se un italiano avesse preso parte a una gara organizzata da tale federazione americana sarebbe stato squalificato in Europa. Non ci vuole molto a capire che il pilota in questione era il nostro Silvano Bertarelli, costretto ad usare un altro nome per non incorrere in inique sanzioni…


Parilla, Motom & Co

Motom 98, seconda metà anni Cinquanta
Motom 98, seconda metà anni Cinquanta

Nel 1950 è entrata in produzione una moto destinata a lasciare un segno importante nella storia delle due ruote, la Rumi 125. Ad azionarla provvedeva un motore a due tempi con due cilindri orizzontali, nato in base a una idea di Pietro Vassena e disegnato dal grande progettista Giuseppe Salmaggi. Tra le caratteristiche più interessanti di questa unità motrice vi erano il basamento costituito da due semicarter che si univano secondo un piano orizzontale (anticipando una soluzione costruttiva che si sarebbe affermata solo molti anni dopo) e la frizione calettata direttamente alla estremità dell’albero a gomiti. L’alesaggio di 42 mm era abbinato a una corsa di 45 mm. Le Rumi bicilindriche sono state molto apprezzate tanto per il normale impiego di tutti i giorni quanto come mezzi sportivi; i modelli più spinti si sono imposti nella loro classe in competizioni come la Milano-Taranto (1954), il Motogiro (1956) e il campionato italiano della montagna (1959).

La Motom, importante realtà industriale che negli anni Cinquanta e Sessanta ha venduto decine di migliaia di esemplari dei suoi robusti e versatili ciclomotori a quattro tempi, nel 1955 ha messo in produzione una motoleggera dalle eccezionali caratteristiche, tanto estetiche quanto tecniche, la 98 azionata da un motore a cilindro orizzontale con distribuzione ad albero a camme in testa. Progettata dal famoso tecnico Piero Remor, aveva uno styling straordinario, ma forse troppo ardito per i tempi e i risultati commerciali sono stati scarsi. La versione TS erogava 7,3 cavalli a 8300 giri/min.


Pure la Parilla, che per diverso tempo è stata una delle più importanti case motociclistiche nazionali, ha

Mondial 125 GP disco rotante, raffreddamento misto, 1964
Mondial 125 GP disco rotante, raffreddamento misto, 1964

realizzato un paio di importanti modelli con motore a cilindro orizzontale (Slughi e Olimpia, apparsi rispettivamente nel 1958 e nel 1959), progettati da Cesare Bossaglia. Si trattava di mezzi molto interessanti, realizzati in versioni di 100 e 125 cm3, ma pure in questo caso la risposta commerciale è stata tiepida, sia perché l’estetica era ardita, in relazione ai tempi, sia in quanto il mercato delle due ruote stava entrando in una tremenda crisi, che sarebbe durata diversi anni. Sempre la Parilla realizzò sul finire degli anni Cinquanta una bellissima 125 da Gran Premio a cilindro orizzontale, con ammissione a disco rotante, su progetto di Bossaglia, che purtroppo non corse mai. Questa stessa architettura è stata adottata poco tempo dopo da Francesco Villa per la sua 125, che ha corso tanto come Mondial (1963-1964) quanto, in seguito e con poche modifiche, come Moto Villa, e infine ha gareggiato col marchio Montesa. Lo stesso tecnico modenese ha realizzato con analogo schema costruttivo una bicilindrica 250, sempre a due tempi e con ammissione a disco rotante. Nel 1965 la MV Agusta ha realizzato una 125 da Gran Premio dotata di un monocilindrico di schema analogo a quello della Villa; provata a più riprese, non è mai scesa in gara.

Vanno anche menzionati modelli come il Gabbiano della bolognese FBM, l’Idroflex e il Guazzoni 150 Grifo, tutti degli anni Cinquanta. E occorre anche ricordare che prima dei quattro tempi ad aste e bilancieri, l’Aermacchi aveva costruito in numeri rilevanti degli ottimi modelli a due tempi, sempre con cilindro orizzontale. La Laverda 125 ad aste e bilancieri della seconda metà degli anni Sessanta aveva in effetti il cilindro non proprio orizzontale, ma inclinato verso l’alto di qualche grado. E non parliamo in questa sede dei motori ausiliari (Garelli Mosquito in primo luogo) e degli scooter (Lambretta Li, TV, etc…).
L’ultima moto significativa (e largamente vittoriosa) che ha impiegato questa architettura costruttiva è stata la Ducati Supermono; realizzata in versioni di 550 (100 x 70 mm) e di 572 cm3 (102 x 70 mm), con potenze rispettivamente di oltre 75 e circa 80 cavalli a un regime di 10.000 giri/min, è stata prodotta dal 1993 al 1995.