Kawasaki Rideology, prossima fermata Intelligenza Artificiale

Kawasaki Rideology, prossima fermata Intelligenza Artificiale
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
La filosofia progettuale della Casa di Akashi punta allo sviluppo di elettroniche capaci di apprendere e adattarsi sempre di più al pilota. Moto più intelligenti o più intrusive? Qualche riflessione fra il serio e il faceto
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
2 settembre 2016

Rideology è un termine coniato da Kawasaki Heavy Industries per identificare la propria filosofia progettuale. Se volete un termine accattivante, figlio del marketing, che di primo acchito non sembra differenziare troppo l’approccio dell’azienda di Akashi rispetto a quello di alcune concorrenti: Rideology identifica un concetto in cui il pilota, la sua esperienza di guida, viene posta al centro del processo di concepimento, sviluppo e realizzazione di tutte le moto Kawasaki.

In realtà ci sono diversi drivers, per usare un termine caro agli specialisti del marketing ma anche della ricerca e sviluppo, che contribuiscono a definire un modello. Non tutti necessariamente riconducibili alle sensazioni di guida, e quindi alla user experience (e poi basta, promettiamo di farla finita con i termini da nerd/addetti marketing) del motociclista: basti pensare alla ricerca di superprestazioni che servono a vincere nelle gare o nei confronti fra schede tecniche ma che poi rendono le moto impegnative, ostiche, faticose e via discorrendo. Ma anche solo il rispetto delle normative anti-emissioni, o la necessità di raggiungere un determinato target di prezzo piuttosto che aderire il più possibile a scelte stilistiche che magari compromettono la funzionalità della posizione di guida, della protezione aerodinamica o addirittura della dinamica del veicolo.

Ora, non ci illudiamo che Kawasaki se ne freghi bellamente di tutti questi fattori in ossequio alla nuova filosofia; molto probabilmente, come del resto fanno tutte le altre case, nel processo di definizione punta sempre a trovare un compromesso fra tutte queste esigenze – il più delle volte portate avanti dai diversi reparti dell’azienda – bilanciandole in maniera diversa a seconda del modello e del segmento, cercando di rispondere al meglio ai desiderata dei propri clienti. E’ però interessante questo impegno a (ri)portare il motociclista al centro della propria filosofia, perché alla fine quello che interessa davvero al motociclista stesso, fatto salvo forse per il più disinteressato pendolare urbano, è che la moto risulti divertente da guidare – dalla sportiva alla turistica, ognuna a modo suo.

Ma se state pensando che questa filosofia si esaurisca con lo stato dell’arte che tutti conosciamo – magari con un angolo di sterzo un po’ più chiuso o un po’ più aperto, o un’erogazione un po’ più spostata ai medi regimi e via discorrendo – state sbagliando di grosso. Perché il termine Rideology, nato da poco e relativamente in sordina almeno qui in Italia, sta puntando dritto su uno sviluppo dell’elettronica almeno a parole abbastanza inedito. L’implementazione di un’Intelligenza Artificiale che sovrintenda alla gestione della moto, interpretando le volontà del pilota e modificando il comportamento del veicolo per meglio assecondarle.

Le funzioni di auto-apprendimento sono ormai consolidate nelle centraline di gestione accensione/iniezione, ma anche per esempio in quella che controlla il doppia frizione Honda DCT, quindi a prima vista verrebbe da scrollare le spalle chiedendosi “e allora?” ma leggendo meglio – o piuttosto sforzandosi di dare interpretazione ragionata alla pagina Web in cui Kawasaki ne parla, con l’aiuto di un traduttore automatico – qualcosa di diverso inizia ad emergere. D’altra parte, scomodare l’intelligenza artificiale per parlare di funzionalità di autoapprendimento abbastanza comuni sembrerebbe troppo anche per il più sfrontato degli addetti marketing europei, figuriamoci per un giapponese.

Al contrario, Kawasaki sembra determinata a perseguire qualcosa di decisamente più innovativo. Una centralina che interpreti tanti comportamenti del pilota – dalla voce al modo in cui usa il corpo per guidare, allo stile di guida attraverso le azioni sui comandi – per cercare di avvicinarsi più possibile ai suoi desideri del momento.

Ma non solo: di continuare a raccogliere, immagazzinare ed analizzare tutti questi dati – magari, questo lo diciamo noi, georeferenziandoli per contestualizzarli rispetto alla guida in città, su un passo di montagna, in autostrada, in circuito – in continuo per diventare, con il passare dei mesi e dei chilometri, sempre più vicina a quella moto ideale che il motociclista desiderava quando è entrato in concessionaria a comprarla.

Insomma, una sistema che integri sospensioni semiattive, centralina gestione motore autoapprendente e quei sistemi già in uso sulle auto capaci di analizzare gli input sui comandi per capire se il guidatore è stanco, ma che non limiti i suoi ragionamenti alle condizioni del momento, bensì “faccia esperienza” accumulando i dati e modellizzando la guida del motociclista per cambiare il suo stesso comportamento sulla base di questa esperienza. Il concetto inizia a farsi interessante.

Premesso che tutto questo è lontano anni luce da quello che Alan Turing definì come intelligenza artificiale a metà del ventesimo secolo, e che non vogliamo nemmeno sfiorare il tema della sempre maggiore invasione della privacy con una raccolta di dati che – stando alla traduzione della pagina Kawasaki – dovrebbe venire immagazzinata su un servizio di clouding, questa declinazione del concetto Rideology ci sembra tanto affascinante quanto potenzialmente frustrante.

Non stiamo parlando di preoccupazioni sulla sicurezza dei sistemi elettronici, ormai rese abbastanza obsolete dall’affidabilità raggiunta dalle componenti in oggetto: non sono certo perfette, ma sono sicuramente molte di più le volte che ci salvano da un incidente che non quelle in cui ne possono essere ritenute la causa. No, pensavamo piuttosto – forse romanticamente – alla perdita di cultura motociclistica sempre maggiore dovuta alla sostituzione di tante piccole regolazioni e pratiche di guida con sistemi meccanici ma per lo più elettronici ormai a proliferazione incontrollata. Chi fa più doppietta in scalata da quando ci sono le frizioni antisaltellamento ovunque? Da qui a poco si perderà anche qualunque concetto di taratura delle sospensioni così come nessun motociclista sotto gli “anta” probabilmente non sa nemmeno che un tempo esistessero i rubinetti della benzina. Rimarrà, giusto per gli inguaribili nostalgici, la regolazione della posizione e del gioco di leve freno e frizione.

Non solo, ma anche in ottica sportiva ci viene da pensare alle MotoGP – forse più quelle degli anni passati, dotate di un’elettronica sofisticatissima e ad alto livello di adattività che non le attuali a centralina unica – che finivano per essere più veloci se messe a punto a dovere, ovvero se il range di comportamenti del pilota restava all’interno dei parametri ritenuti normali, ma limitanti nel momento in cui il pilota decideva di punto in bianco di cambiare il modo di affrontare un certo tratto della pista perché lo riteneva più favorevole. Frangente in cui il sistema riconosceva i comportamenti del pilota come non redditizi, se non addirittura come errori, e gli impediva di sfruttare appieno l’aderenza, o la cavalleria, del mezzo.

Insomma, il sistema pare affascinante, ma ci sentiamo di rivolgere una preghiera agli ingegneri Kawasaki (nei quali nutriamo la massima stima, visto che un progetto di tale portata coinvolgerà gente che la materia la mastica piuttosto bene come i tecnici delle divisioni robotica ed aerospaziale di KHI…) perché non rendano la moto… troppo intelligente. Come la prendereste se la vostra Ninja, che negli ultimi mesi avete guidato “dormendo” si addormentasse anche lei e non fosse prontissima a darvi il massimo nel momento in cui glie lo chiedete, magari stimolati dalla strada giusta e da una bella giornata primaverile, perché vi ha battezzato come inesorabilmente vittime della sindrome da arrugginimento del polso destro?

Insomma, progetto affascinante ma ricco di incognite. Dev’essere per questo che, da inguaribili curiosi, non vediamo l’ora che prenda corpo per poterci mettere le mani sopra. E gridare al miracolo, s’intende, perché – facezie a parte – siamo sicuri che si tratterà di una svolta epocale.

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