Intervista a Massimo Tamburini

Ha fondato Bimota, in seguito ha creato capolavori come Ducati 916 ed MV Agusta F4. Il maestro racconta gli inizi e i progetti futuri. Compresa la MV a 3 cilindri
22 maggio 2008


Massimo Tamburini non ha bisogno di presentazioni. Da anni il suo nome ha varcato i confini nazionali.
Aletta Oro, Paso, 916, Mito, F4, Brutale sono solo alcune delle creature disegnate da Massimo Tamburini.
Il Centro Ricerche Cagiva (CRC), di cui è amministratore delegato, si trova in quel di San Marino; alla sua notorietà contribuiscono non tanto le interviste e le apparizioni in pubblico, decisamente rare, quanto i progetti e la genialità che troviamo nei lavori che prendono vita tra queste mura.
In Giappone lo chiamano "il maestro", in Italia è noto come "il genio della motocicletta", su Wikipedia è semplicemente "l'ingegner meccanico".
Conosciamo meglio il progettista di 916 ed F4.

Nel regno di Tamburini
Incontriamo Massimo Tamburini nella sede di CRC, nella piccola repubblica sanmarinese. La struttura esterna, poco appariscente e immersa nel verde di una piccola valle, cela alla vista il reparto progettazione da cui prendono vita autentici gioielli di ingegneria meccanica.
Qui progettisti e designer lavorano fianco a fianco. Non si tratta di un dettaglio di poco conto, ma di uno dei dogmi di Tamburini: una moto per essere bella deve essere innanzitutto funzionale e dare soddisfazione a chi la guida.
Questa semplice ricetta fu una delle chiavi del successo di Bimota, a cavallo degli anni '80.
Ripercorriamo insieme a Tamburini le tappe più significative - e, credeteci, sono davvero tante - di una lunga carriera caratterizzata dall'amore autentico, viscerale verso le due ruote.

Partiamo dall'avventura più recente, il Centro Ricerche Cagiva. Com'è nato e di cosa si occupa oggi?
Massimo Tamburini: "Dopo la parentesi in Bimota (di cui è stato socio fondatore, ndr), nei primi anni '80 passai a lavorare nel Team Gallina, in qualità di direttore tecnico. Nel 1985 la Cagiva dei fratelli Castiglioni rilevò la squadra e fu così che iniziò la mia collaborazione col presidente (Massimo Tamburini chiama così Claudio Castiglioni, ndr). Subito realizzammo la Paso 750, una moto avveniristica che rompeva col passato e che sottolineava il passaggio di Ducati alla nuova gestione Cagiva. Lavoro con loro da 24 anni".

Attualmente l'attività di ricerca e sviluppo di CRC è incentrata su MV Agusta. È stato sempre così anche in passato?
Massimo Tamburini: "Abbiamo seguito diversi progetti anche in Cagiva e Husqvarna. Della prima, ricordo la Grand Canyon, della seconda la così detta moto azzurra, una 650 di cilindrata con telaio scomponibile. Però MV resta il nostro obiettivo prioritario, di cui curiamo la progettazione a partire dal foglio bianco sino alla pre-produzione, compresa la formazione di chi, a Varese, si occuperà della linea di montaggio delle moto. Non perdiamo mai di vista il prodotto, che ha un'evoluzione continua, che seguiamo noi qui a San Marino".

Cagiva è a Varese, come si spiega la scelta di San Marino per il Centro Ricerche?
Massimo Tamburini: "Io sono di Rimini, che si trova vicino a dove siamo adesso, ma San Marino è una scelta casuale. Mia moglie è di qui. Siamo legati a questa terra, è un bel posto dove vivere e lavorare".

Ci racconti la storia della sede in cui ci troviamo.
Massimo Tamburini: "Un giorno venne il presidente e mi chiese una moto in prestito per fare un giro. Quando rientrò, mi disse che aveva trovato il posto giusto per noi. Fu sua la scelta di trasformare questa sede, che una volta faceva gelati, nell'attuale CRC. Sono passati già 15 anni, ora abbiamo 41 dipendenti suddivisi nei vari reparti. Andiamo dal reparto stile e progettazione alla modelleria, passando per la verniciatura e il collaudo. Non credo che in Europa ci siano strutture di questo tipo".

Perché, qual è la peculiarità di CRC?
Massimo Tamburini: "Noi qui seguiamo tutte le fasi della progettazione di una moto. I giovani ingegneri hanno un contatto diretto con i responsabili dei vari reparti. Non devono chiedere a fornitori distanti centinaia di chilometri se un tal pezzo va bene o meno. Hanno un contatto diretto con l'officina, sono formati sul campo".

Come si conciliano stile e progettazione?
Massimo Tamburini: "Il rapporto non è sempre semplice. Spesso chi disegna non conosce i problemi che incontra chi poi deve realizzare e usare un particolare. Per questo è importante la formazione, in CRC il designer diventa anche progettista della moto".

Negli anni immagino che abbia ricevuto molte offerte dalla concorrenza, il suo è un curriculum pesante. Nei periodi bui non ha mai pensato di cambiare partito?
Massimo Tamburini: "Sicuramente ho ricevuto delle offerte interessanti. Ma come faccio a lasciare un'azienda come questa, in cui c'è un rapporto di amicizia col presidente, che ha sempre dato la fiducia e la libertà di espressione massime a me e ai miei collaboratori? Bastano pochi vincoli per condizionare un progettista. E non mi parrebbe corretto lasciare la barca adesso, in un momento di difficoltà (il gruppo Cagiva sta trattando con società indiane, alla ricerca di nuovi finanziatori che permettano il rilancio completo dell'azienda. Ndr)".

A proposito di vincoli progettuali. In Ducati 916 ha dato libero sfogo al suo estro. Com'è arrivato a disegnare una delle moto più belle della storia del motociclismo?
Massimo Tamburini: "Il fiuto del nostro presidente fu determinante nel portare al successo la 916. Si voleva fare una moto sportiva che fosse immediatamente riconoscibile come Ducati, diversa dalle solite giapponesi. Esplorammo anche la strada dei telai tipo deltabox in alluminio, ma alla fine fu decisiva la scelta di Claudio Castiglioni e ci orientammo verso il classico traliccio. Difficile fu anche dare personalità all'anteriore, volevo che la moto avesse un fanale piccolo, ma i fornitori erano contrari. Alla fine la nostra scelta è stata premiata e ha tracciato la strada ai giapponesi. D'altra parte sono le viste anteriore e posteriore a rendere riconoscibile una moto".

Anche il lato "B" di 916 ha fatto scuola, è stata la prima moto con gli scarichi sotto il codone.
Massimo Tamburini: "C'era già la Honda NR 750 con gli scarichi sotto sella, ma lì erano chiusi alla vista. Con Ducati abbiamo scelto di percorrere una strada diversa, con la meccanica bene in vista secondo la classica scuola italiana, più spartana. È stato un successo incredibile, vedevi una 916 in strada e la riconoscevi subito".

Un successo incredibile di design frutto della mano di un progettista.
Massimo Tamburini: "La mia grande passione è la meccanica, non è tanto la parte in plastica. Quando ero in Bimota, non potendo contare su nessuno, ho cominciato a occuparmi anche di design e ho visto che mi riusciva abbastanza bene. Io mi sarei fermato al metallo".

Fortuna che non lo ha fatto. Qual è la prima moto su cui ha messo le mani?
Massimo Tamburini: "La prima moto che trasformai fu proprio una MV 600, sono sempre stato appassionato di 4 cilindri. Nel 1971 trovai un annuncio su Motociclismo e comperai questa MV da un ragazzo di Cuneo. La rifeci tutta, dal telaio allo scarico che ricordava la Benelli 4 cilindri con cui correva Pasolini. Portai il motore a 750, lavorai sull'aspirazione, sui carburatori Dell'Orto con la vaschetta a valigia come usava allora la MV di Agostini. Soprattutto eliminai il cardano e montai la catena. Un lavoro mica da ridere, fui costretto a rifare i carter".

Un vero prototipo. Che fine ha fatto la prima special di Tamburini?
Massimo Tamburini: "A Rimini eravamo in 4 gatti ad avere moto potenti e cominciava a girare la voce che in paese c'era un pazzo con questa moto elaboratissima. Finché la voce non arrivò ai Carabinieri. Mi curavano a vista e decisi di venderla per acquistare una Honda CB 750".

Quanto tempo rimase originale la sua Honda?
Massimo Tamburini: "In principio non la toccai. Poi feci un brutto incidente a Misano e, durante la convalescenza, coi soci Morri e Bianchi (cofondatori della Bimota) si pensò di mettere mano a queste prestanti moto giapponesi. I motori andavano infatti un gran bene, mentre i telai lasciavano un po' a desiderare. C'era la potenzialità di fare parti speciali come cerchi in lega, comandi arretrati e molto altro".

E iniziò a realizzare telai per le moto da corsa, Harley in testa.
Massimo Tamburini: "Feci dei corsi di saldatura in Tig, una cosa rarissima per quei tempi, e costruii i primi telai. Ricordo il primo telaio da corsa, per la Paton. A Peppino Pattoni seguì Walter Villa, ma l'Harley Davidson lo obbligò a impiegare il telaio standard. Il mio passò quindi a Gianfranco Bursi che, con l'Harley 250, vinse il campionato italiano".

Arrivarono in seguito le prime moto stradali.
Massimo Tamburini: "La spinta arrivò dalla Suzuki Italia, dal direttore commerciale di allora, Zanetti. Realizzammo la prima moto stradale con una ciclistica di derivazione corsaiola, la SB2 750. Una moto innovativa, con il fulcro del forcellone coassiale col pignone per avere un tiro catena costante. Un'altra innovazione riguardava la sospensione posteriore, per la prima volta dotata di geometria progressiva. Poi sono arrivati gli altri".

Oggi si vede però un ritorno alle origini. Molte moto moderne rinunciano alla progressione dei leveraggi. Come lo spiega?
Massimo Tamburini: "Oggi possiamo dire che la progressione non serve, è quasi dannosa. Le sospensioni migliori sono quelle lineari. La nuova F4 avrà una sospensione simile all'attuale, ma con minore progressione".

Mi sta dicendo che la nuova F4 è quasi pronta?
Massimo Tamburini: "Noi siamo già pronti, siamo in una fase avanzata di sviluppo. Dipende dall'assetto societario futuro del gruppo Cagiva".

Facciamo un passo indietro. Da dove arriva la sua passione per le motociclette?
Massimo Tamburini: "Tutta colpa di mio padre, che era un grande appassionato di motori. E del barbiere".

Del barbiere?
Massimo Tamburini: "Da bambino tutte le domeniche volevo andare a tagliarmi i capelli, nella bottega del barbiere c'erano le foto alle pareti dei grandi campioni, in particolare quelli della Gilera. Non mi pareva possibile che esistessero delle moto così belle. La sera mi attaccavo alla radio ad ascoltare i risultati dei piloti Gilera. Non sopportavo che vincessero le MV. Ma guarda te il destino...".

Un po' di anni dopo ha contribuito al rilancio proprio di MV. Com'è andata?
Massimo Tamburini: "Una sera d'estate, durante una cena con Claudio, si parlava di moto, come sempre. L'idea era di battere l'Aprilia non più sul terreno delle 125 (erano i primi anni '90, le ottavo di litro erano gettonatissime. Ndr), ma con una maxi moto. Insieme a Ferrari Engineering progettammo la 4 cilindri con telaio in alluminio. In seguito, con la cessione di Ducati agli americani, il presidente optò per il rilancio del marchio MV Agusta. La moto, che era quasi pronta con il marchio Cagiva, fu rivista pesantemente. Si passò al telaio a traliccio e fu presentata in veste definitiva nel 1997, con la serie Oro da 750 cc".

Come si è passati dalla 750 alla 1.078?
Massimo Tamburini: "Sicuramente la prima versione era la più equilibrata e facile. Poi siamo passati al 120/70 (al posto dell'originario 120/65) anteriore che ha leggermente indurito la guida. La nuova moto tornerà alla leggerezza della prima F4 750. Il motore è cresciuto considerevolmente nella cilindrata e nelle prestazioni per rispondere alla richiesta del mercato. Mercato che ha accantonato le sette e mezzo".

916 ha contribuito al rilancio di Ducati. Cosa è mancato a F4 per fare altrettanto con MV?
Massimo Tamburini: "A mio avviso la colpa è delle banche, che hanno dato fiducia a Castiglioni con il contagocce, senza mai permettere un rilancio vero, forte di una gamma di prodotto completa. Hanno sempre dato il minimo indispensabile per la sopravvivenza dell'azienda, che ha cominciato a soffrire nel rapporto coi fornitori".

Come vede il futuro del gruppo Cagiva? Si parla insistentemente dell'ingresso in società degli indiani.
Massimo Tamburini: "Spero davvero che questa sia la volta buona per il rilancio di MV. Chiunque arriverà, dovrà crederci e avere le competenze necessarie".

Nel recente passato l'ingresso della malese Proton non portò nulla di buono.
Massimo Tamburini: "Sembrava che questi signori avessero delle grandi competenze, invece furono una bella delusione. Ci vuole gente che dia una svolta decisiva, che inserisca in azienda persone capaci. Sul modello di quanto fatto dagli americani con Ducati".

Resterà legato a MV in ogni caso?
Massimo Tamburini: "Se arriveranno delle banche interessate solo a fare business, a lasciare tutto così com'è, a quel punto valuterò bene la situazione. Sono disponibile a 360° a restare in azienda, ma ci dev'essere un piano di rilancio concreto. Non ho nessuna intenzione di abbandonare questo mestiere, è la mia vita e continuerò finché Cristo non toglierà la luce".

Ha citato Ducati. Cosa ne pensa del nuovo corso?
Massimo Tamburini: "Hanno lavorato molto bene, anche con la nuova sportiva 1098".

Molti accusano proprio 1098 di non aver inventato nulla. I richiami a 916 ed F4 sono evidenti.
Massimo Tamburini: "Hanno fatto benissimo. Se esiste già qualcosa di bello, perché non riprenderlo e migliorarlo rispettando l'immagine e la connotazione della marca? Che per Ducati è l'italianità. È l'errore commesso da Aprilia, che negli ultimi tempi ha scimmiottato i giapponesi, Honda in testa".

Come giudica le realizzazioni delle altre aziende italiane?
Massimo Tamburini: "Moto Guzzi sta lavorando bene sotto la gestione Piaggio, guarda molto alla qualità, le finiture del prodotto sono migliorate tantissimo. Noto però che si è un po' persa l'impronta sportiva del marchio. Forse guardano troppo alla concorrenza, a dove va il mercato".

CRC invece ha scelto di seguire una strada difficile, in salita, affrontando i giapponesi nel segmento delle moto pluricilindriche sportive, in cui sono leader. Rischioso, non trova?
Massimo Tamburini: "Qui la devo smentire. I progettisti italiani non hanno nulla da invidiare ai giapponesi. Le assicuro che il nostro nuovo 3 cilindri in linea è incredibile. L'abbiamo messo a confronto con il propulsore di riferimento dei concorrenti, il 600 4 cilindri della Yamaha R6. E siamo rimasti impressionati dalla bontà del nostro motore".

Si tornerà a cilindrate più contenute quindi?
Massimo Tamburini: "Le mille di oggi non sono più gestibili, nemmeno in pista. Il futuro della moto sportiva è nelle cilindrate più basse, anche sotto il 750".

Vedremo una F3 al salone di Milano?
Massimo Tamburini: "Il nome non sarà quello, ma la moto farà sicuramente parlare. Come e più di quanto fece F4. Non posso dirle quando".

Qual è la moto più bella progettata da Massimo Tamburini?
Massimo Tamburini: "Deve ancora arrivare. E vi stupirà. Sarà leggera come una 600, ma con tutta la potenza e la coppia che servono per divertirsi alla guida".

 
Andrea Perfetti