I racconti di Moto.it: "Via di fuga"

I racconti di Moto.it: "Via di fuga"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
La puzza di motore bruciato stava lì, sospesa nell'aria di quella domenica mattina e noi non potevamo che sentirci impotenti. Sudati e affaticati, col casco ancora in testa
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
15 aprile 2016

La puzza di motore bruciato stava lì, sospesa nell'aria di quella domenica mattina e noi non potevamo che sentirci impotenti. Sudati e affaticati, col casco ancora in testa, alla ricerca l'uno dello sguardo rassicurante dell'altro mentre il sole sembrava lì per sbaglio.

- Ruggero, ho paura.
Anche io Fabio, anche io.

Fabio è il mio capo ufficio che ho convinto a seguirmi questa domenica in una passeggiata in moto nelle nostre montagne: non era mai uscito in fuoristrada con la sua grossa enduro ma mercoledì ho trovato un insperato varco nella sua debosciata resistenza. Ha una gigantesca 1.200 da 20.000 euro e prima di oggi alla mia vecchia RD07 ferma nel parcheggio dell'azienda rivolgeva al massimo un pizzico di compatimento come preludio ad una giornata di lavoro sotto la sua direzione nell'ufficio acquisti. Due modi diversi di concepire la moto, nonostante l'età: 35 io, 39 lui.

Si presenta domenica alle sette all'appuntamento con due gomme tassellate di seconda mano e una forma fisica inguardabile, un profilo da uovo di Pasqua o da arancino siciliano, forse un improbabile tentativo di giustificare la sua esistenza in vita con la tutela della razza del trigliceride d'assalto. Uno sguardo alle nostre moto, un caffè pagato da me ed entriamo nel bosco dieci minuti dopo.

Fabio è impreparato ma volenteroso, mi fa tenerezza il suo ostentare quasi orgogliosamente la sua inesperienza di guida sugli sterrati e dopo venti minuti di escursione e botte ai polsi propone di fermarci prima di guadare un torrente.

C'è caldo, è aprile ma fa caldo. Si sfila il casco dalla testa mostrando una ricca capigliatura sudata, impastata di polvere. Aggredisce la bottiglia d'acqua con passione.

- Bel posto! - dice.
Eh, sì. Vedrai più su, una meraviglia. Stanco?
No, macché. Ho un po' le braccia che mi fanno male, ma niente di che. - Ha il fiato corto.
Allora andiamo?

Giù la prima e dritti in sella, dopo poco mi affianca e chiede di fermarci un attimo, c'è il telefono che chiama. Sta lì due minuti, lo vedo parlare con gli occhi fissi verso il cielo poi quando riattacca mi chiede scusa e passa avanti un po' troppo gagliardo, temo che possa sbriciolare un cilindro del suo boxer contro le pietre e non è ancora il momento, quindi lo raggiungo e gli dico di stare calmo se proprio non vuole stare dietro, anche perché non conosce la direzione. Lui urla che va bene ma niente da fare, scatta in avanti appena trova un tratto libero e mi sento in dovere di fermarlo.

- Fabio, è meglio se andiamo più piano, ok?

E lasciami stare! Sembrate tutti bravi, te e la Veronica.... fate tanto gli splendidi ma non capite una mazza! Ho tutto sotto controllo! - sbotta col fiatone. Veronica è sua moglie, probabilmente era al telefono con lei.

 

Però, almeno, ha coraggio. E fortuna, molta. Se guidassi come lui, sarei a terra in cinque minuti. Lui, no

Riapre il gas e mi lascia come un deficiente sul sentiero.
Lo seguo, mi accodo pazientemente sperando che non succeda niente. Però, almeno, ha coraggio. E fortuna, molta. Se guidassi come lui, sarei a terra in cinque minuti. Lui, no. Lui è il capo ufficio e può permettersi tutto, deve esserci un misterioso dio che lo tiene in piedi violando le leggi della fisica e i diritti del motore a salire di rapporto. Dico, almeno metti la seconda Fabio.

- Almeno metti la seconda, prima di cadere in terra.

Lui non cade, volteggia, non guarda dietro e io lo seguo, trova una salita e regala gas a manciate, sembra che la moto ne sappia più di lui perché non riesco a credere che superi ostacoli di una certa difficoltà.

Fabio, il mio capoufficio indisponente, è una vera forza della natura in moto, e non pensavo: porco mondo va forte.
Ancora uno stop. E' lui a scendere dalla moto e chiedere una pausa. Accende una sigaretta che accompagna con due sorsi d'acqua. Il volto è stanco, sudato.

- Devo proprio dirti grazie. Non l'avevo mai fatto ma è una cosa veramente liberatoria.
Bisogna conoscere i sentieri, io vengo qui quasi ogni domenica.

Fabio prende fiato, si avvicina alla sua motocicletta e ne indaga il cardano, le gomme, poi guarda la sigaretta e sibila:

- Senti, non è che per caso sei arrabbiato per il licenziamento? Mi dispiace, ma lo sai che l'azienda è in crisi, io non c'entro niente: io sono un impiegato come te.
- Ma che dici? Metti il cuore in pace e goditi la giornata. - lascio cadere l'argomento nel serbatoio dell'inutile mentre regolo la leva della frizione. Da due mesi so che lunedì non tornerò in ufficio. Ho già sgomberato la mia scrivania.
Guarda, se posso fare qualcosa... è anche per questo che sono qui oggi... Vedrai che trovi presto un altro lavoro, l'Italia è in ripresa.
Si, certo. - In ripresa. Questo non dovevi dirlo, Fabio.
Ho le braccia e le caviglie che mi fanno male... devo avere preso anche una botta al petto... - cerca empatia.
Dovresti dimagrire.
Piuttosto che morire sanissimo, preferisco morire contento. Mi sento bene così.
Quanto pesi?
102.
E' troppo.
E' la mia costituzione, sono alto uno e ottanta. - Non riesce proprio ad accettare una critica, non ce la fa proprio.
Fatti tuoi. Comunque, andiamo?
Ok.

Ripartiamo, guidiamo per un'altra mezzora, siamo quasi arrivati.
Quando sei col gas in mano non pensi alle conseguenze. Ti avvicini al destino e la vita non ha spazi di fuga, come l'enduro.
C'è un bosco umido, dentro il bosco un tratturo. Teso dentro il sentiero, tra le ombre e gli alberi, un cavo d'acciaio appena dopo la pietraia.
Fabio è stanco, è seduto, lento, impacciato, già mi ha fatto cenno di volersi fermare ma io ho fretta di finirla. Col gas in mano non pensi alle conseguenze. Anzi, pensi che non ci saranno conseguenze.

Metto la terza, Fabio mi segue: non ammetterebbe mai la sua inferiorità. A destra una ripida salita di pietre, a sinistra l'altopiano declina rapidamente in una scarpata di cinquanta metri. Davanti a me c'è la fine.
Sei mesi senza stipendio, poi il licenziamento. Fabio poteva aiutarmi, poteva dire che ero importante, che ero bravo. Lui sa che senza di me quell'ufficio non andrà avanti, perché lui è un incapace. Anche lì, non c'erano spazi di fuga, o lui o io. Morto lui, riprenderanno me.

 

Rallento per farlo passare avanti e fargli credere di essere più veloce di me, la sua presunzione abbocca. Ieri ho lasciato dei segni sul lato del sentiero, delle pietre a circa trecento metri al cavo

Rallento per farlo passare avanti e fargli credere di essere più veloce di me, la sua presunzione abbocca. Ieri ho lasciato dei segni sul lato del sentiero, delle pietre a circa trecento metri al cavo, le vedo scorrere e sento che non ho via di fuga, corro a gas aperto verso la perfezione del mio piano. Dirò “che fine orribile”. Abbraccerò Veronica, parteciperò alle indagini per capire chi, come e quando ha piazzato quel cavo d'acciaio che ha ucciso brutalmente Fabio.

Riprenderò il mio posto in ufficio, che non mi piace ma è tutto quello cui posso aspirare. Oramai è tardi, Fabio si volta per vedere se sono ancora lì dietro di lui, io rallento ancora mentre lui corre tronfio verso la fine; tocco la piccola telecamera che ho sul casco, riprenderà tutto e io sarò totalmente scagionato da ogni sospetto, ci sarà pure un video a documentare il fatale incidente.

Fabio si ferma. Mi aspetta. Per la prima volta da quando lo conosco, ha un pensiero gentile.
A cento metri dal cavo, mi chiede con un insolito garbo di insegnargli a scalare quella incredibile salita alla nostra destra, con gentilezza. Sarà la moto, la natura, il liberarsi. La gente cambia. Magari per poco, ma cambia. Io sono sorpreso. Va bene, ti do un'opportunità. Butta l'occhio lontano, punta il gas, frizione in mano, leggero davanti e carico dietro per superare quel gradone. Sei sicuro di saperlo fare solo quando lo fai e se riesci hai schivato la morte.

Fabio è sicuro, ma anche rosso in volto. Prova una, due, tre volte. Io sono già passato. Lui resta giù, prova di nuovo, la moto è pesante. Un'altra volta, 100 cavalli non bastano. Ancora, ma rimane incastrato sul gradone perfido, io scendo dalla moto, lui fatica per tenere la sua ancora in piedi mentre spinge con le gambe per non scivolare all'indietro. Afferro uno stelo della sua forcella e tiro, lui spinge come un toro e piano piano la sua bicilindrica esce dal gradone con l'odore di frizione bruciata a farci compagnia. Fabio si ferma lì, bianco in volto, superato con grande fatica l'ostacolo lui e la moto si abbattono a terra sul lato sinistro come stesi da un cecchino. Mi avvicino, ha gli occhi aperti ma non parla. Cerco di trascinarlo via da sotto la motocicletta, lui si porta le mani al petto:

- Grazie. - dice con un filo di voce.
Grazie che?? Oh!!! Oh!!! Alzati, non scherzare!!
Ho male qui. - è cadaverico.
Dai Fabio, calmati e vediamo di cercare aiuto. Ti fa male il cuore?
Veronica... chiama...
Sì, ci penso io...

Caccia un urlo soffocato e strizza gli occhi, nemmeno il casco gli ho levato. La telecamera sta riprendendo tutto.

- Ho freddo.
E' il sudore...
Ruggero, ho paura.
Anche io Fabio, anche io.