I Racconti di Moto.it: "Tire kickers"

I Racconti di Moto.it: "Tire kickers"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Il mercato delle motociclette usate ha le sue regole, i suoi personaggi e i suoi drammi. Parte importante della gentile arte di vendere la propria motocicletta è capire il fenotipo della persona
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
6 settembre 2013

Punti chiave

 Il mercato delle motociclette usate ha le sue regole, i suoi personaggi e i suoi drammi.

Parte importante della gentile arte di vendere la propria motocicletta è capire il fenotipo della persona che si presenta a volte spavalda, a volte ignorante della propria ignoranza, se non intrepida e certa di fare l’affare del secolo solo perché da mesi frequenta su internet i forum e posta domande idiote ai cosiddetti guru che sul web pontificano; altra mala razza, quest’ultima: gente che ratifica o crea la cattiva e sovente immeritata fama di un’incolpevole motocicletta, oppure spesso esprime una miope e financo cieca benevolenza a volte molto sospetta. Nei forum si inseguono quesiti maniacali e risposte saccenti sui difetti, sui consumi, sul perché fa quel rumore, sul progettista, sulla tensione della batteria, sulla posizione della valvola delle gomme, entrambi – il postulante e il guru - contorcendosi e aggrappandosi agli specchi nel tentativo di dissimulare la propria pochezza tecnica condita da una misera esperienza di guida ed enucleando centinaia di perché interrogativi o causali fino a ispirare prima tenerezza, poi pietà.


Chissà perché la gente che ne capisce veramente di moto e di tecnica si tiene lontana dai forum. Forse non ha tempo per scrivere. Forse ce n’è poca e ci guardano dall’altra parte del monitor sganasciandosi dalle risate. È ovvio che se i motociclisti stanno più davanti alla tastiera che dietro al manubrio, l’essenza della passione si perde e ogni atto diventa drammatico, esasperato.


Cosa volete che dica, così non si va avanti.


Quando comprai la mia moto la pagai tante sterline e altrettante benedizioni alla Regina. Il venditore non mi fece nemmeno un penny di sconto : senza fiatare scucii la somma in contanti e tornai a casa in sella alla mia motocicletta fiero come Re Giorgio, cercando gli sguardi sorpresi dei bambini ad ogni semaforo; indulgevo a velocità ridicole vicino ai giardini per ammaliare gli anziani seduti nelle panchine, nel tentativo di ispirare loro storie vere o verosimili da raccontare a chi avesse mai avuto la ventura di dar da mangiare agli stessi piccioni. Da quando acquistai quella moto capii che stimolare il loro rimpianto era, onestamente, una piccola piacevole crudeltà da concedermi ogni qualvolta notavo un vecchietto perdere il suo sguardo acquoso nella carena della mia belva da 1200 cc. Mi fermavo e con studiati gesti mi sfilavo il casco e i guanti, mostrando i miei stempiati capelli grigi anzitempo e sorridevo ai piccioni – no, sorry, volevo dire agli anziani- riuniti a crocchio. Immancabilmente, qualcuno di questi lasciava il gruppo per farmi delle domande insulse, qualcun altro, invece e sovrapponendosi al primo, iniziava a raccontarmi di quando la sua BSA lo portava lontano: ma erano tutte balle, nessuna BSA è mai rimasta intera il tempo sufficiente per uscire dalla City e giungere ancora funzionante nel Dorset.


Appagato il mio desiderio di crudeltà , simulavo una chiamata al cellulare e senza manco attendere che il decrepito finisse - tanto non finiscono mai – il suo racconto, andavo via sgommando lasciandomi dietro l’odore della loro solitudine e il peso delle loro spalle curve a sbriciolare biscotti per i piccioni.


Se andare in moto è bello, sentirsi ammirati e invidiati lo è ancora di più. Nel mio lavoro non mi ero mai sentito né invidiato, né ammirato: solo temuto, odiato, usato.


Sono passati tre anni. Solo tre, e arriviamo ad oggi. La mia motocicletta è uscita fuori produzione e, nei forum a lei totalmente dedicati, dai toni entusiastici si è passati alle critiche stanche e ai commenti di sufficienza; i proprietari trattati come villici incolti in possesso di un oggetto demodè. Da un po’ tutti a magnificare la nuova arrivata: più bella, più veloce, più tecnologica, più raffinata, più cara di un paio di migliaia di sterline. Che l’aria stava per cambiare me ne accorgevo dagli sguardi dei bambini ai semafori che da qualche tempo mi facevano le boccacce e dai loro genitori che dicevano loro di non prendere in giro la gente meno fortunata, o dagli anziani che invece di venire a raccontarmi le loro storie o di pormi quesiti estasiati sulla motocicletta, mi offrivano dei biscotti secchi da sbriciolare ai piccioni.


Quando è troppo è troppo. Presi la decisione di venderla e di investire il ricavato per comprare il nuovo modello, più leggero, più cool, più moderno, meno alla mia portata: mi mancavano – valutazioni alla mano e conti in tasca fatti e rifatti cento volte- seimila sterline. Era da tre anni che non lavoravo, l’acquisto era decisamente impegnativo.


Seimila sterline più la mia motocicletta con novemila miglia sulle spalle, e la nuova 1250 sarebbe stata mia. Entrai nella stolta mentalità che l’unica cosa importante fosse ritrovare quegli sguardi di ammirazione e l’intimo appagamento che la sorpresa dei marmocchi e il rimpianto dei vecchietti mi trasmettevano; e poi non vorrei nemmeno citare il fatto che proprio da quando il mio crudele godere dei rimpianti degli anziani per i bei tempi andati nella loro vita da cadaveri caldi appagava e gratificava il mio ego, avevo smesso di lavorare. Per fare certe cose ci vuole passione e un irrefrenabile istinto sadico che avevo incanalato sui vecchietti dei giardini pubblici e ciò mi rendeva deontologicamente inadatto a continuare il mio mestiere. Così avevo smesso e declinavo ogni offerta. Ad ogni modo, si dimenticarono in fretta di me e della qualità dei miei servizi, a quanto ne so.


Era la prima volta che vendevo una moto ad un privato e iniziai con l’inserire un annuncio su tutti i più importanti siti internet britannici, mi spinsi anche oltre la Manica ma giammai nella infingarda Francia, piuttosto pescai un astonishing italian web site: Moto.it, by St. Loy!


Principiò la processione: uno alla volta i pretendenti alla mano della mia 1200 si presentarono e valutarono la motocicletta con gli occhi della loro superficiale ignoranza. Moto mai caduta, tagliandi tutti regolari, gomme 100%, poche miglia percorse, che fuck vuoi ancora? Loro - nessuno escluso –giravano attorno alla motocicletta con le mani nelle tasche, lo sguardo basso e ogni tanto tiravano un calcetto alle gomme. Tump. Tump.

 

Tump. E una critica.
Tump. E consuma tanto.
Tump. Non fa i 300.

Tump. Ho letto che il tappo radiatore è difettoso.

Tump. Ti dispiace se posto una foto sul forum?

Tump. Mi hanno detto che sotto i tremila strattona.

Tump. Tump. Non lo so. Ti faccio sapere.

Un altro calcetto di commiato, non si sa mai, e infine bye bye.


Una, due, dieci, venti volte. Poi ti esasperi, giusto? Salici sopra, toccala, provala: ok; ma perché tirarle dei calcetti sulle gomme? Ti hanno fatto qualcosa? Ti stanno antipatiche? Vuoi essere certo che non sia un modellino in cartapesta in scala uno a uno? Insomma, parliamone ma evita di farmi incazzare.


Ero già provato da mesi di frustrazione, ci mancavano solo questi a mollare calci alle gomme della mia moto per poi manco farmi un’offerta, una proposta che potessi accettare. Nel frattempo il prezzo della 1250 saliva, il listino veniva ritoccato verso l’alto e la mia ansia aumentava esponenzialmente. Arrivarono alcune offerte di lavoro, le rifiutai. Prima avevo da vendere la motocicletta vecchia e comprare la nuova.


I miei repressi istinti, crudeli e violenti, iniziarono a farsi spazio tra i pensieri buoni, tra cui quello di dare loro un’ultima possibilità, avvertendoli: modificai i miei annunci.

  • Se fossi stato più esplicito…


Non mi interrompere. Mi richiamarono quasi tutti e nessuno di questi si ricordava di avermi già contattato, anzi: li trovai ancora più avidi di notizie e di particolari morbosi sulle condizioni della moto e ancora più tracotanti nel giudicarne le qualità, già al telefono. Un’altra processione ebbe inizio e fu deludente. Tump, tump, tump. Parole, tump. Occhiate sotto il codone, tump. Nessuno imparava la lezione, sembrava ci provassero gusto. E io, bang. Bang. Bang.

  • Oh my God… tutti scomparsi. Ma non avevi smesso?


Sì, ma questa volta non era per soldi: sparagli mi faceva sentire meglio e del resto li avevo messi in guardia.

  • Cosa intendi, li avevi messi in guardia da cosa?


Negli annunci questa volta avevo chiaramente scritto “no tire kickers”.

  • …mmm… capisco. Un’altra birra?