I racconti di Moto.it: "Punto morto superiore”

I racconti di Moto.it: "Punto morto superiore”
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Secondo il mio cellulare sono le 14:30 di domenica 7 agosto 2016; sempre secondo il mio cellulare tredici persone hanno tentato di mettersi in contatto con me mentre dormivo
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
12 agosto 2016

Secondo il mio cellulare sono le 14:30 di domenica 7 agosto 2016; sempre secondo il mio cellulare tredici persone hanno tentato di mettersi in contatto con me mentre dormivo e, sostiene il mio cellulare, devo collegare immediatamente il caricabatterie. Non è possibile. Un attimo: sono convinto che sia almeno la terza volta che vivo questa situazione e la stessa fatica ad alzarmi dal divano, la ricerca del caricabatterie in tutte le poche stanze della casa eccetto quella da dove Carmelo manca da sei anni, gli stivali stretti e il male che mi procurano ai piedi supplicanti che nel frattempo ho accontentato nonostante siano euro zero; mi sento obbligato a scivolare sempre nella stessa giornata. Eppure sono lucido, il mal di testa è passato quasi del tutto. L'odore del caffè riempie la cucina, l'ultima tazzina affonda nel lavello dopo i miei pensieri per Carmelo, sento un'irresistibile voglia di andare a prendere la motocicletta anche se fuori sta piovendo e scendere giù in Sicilia, nonostante la pioggia, nonostante sappia che non posso farci niente, che Carmelo non tornerà e che Aurora non accetterà mai la mia versione.

Accendo il televisore sfidando la sorte. Un tremore leggero mi sorprende mentre punto il telecomando, lo schermo si illumina con la gara di salto con l'asta delle Olimpiadi di Rio. Cambio canale, tutto regolare. Uff... mi ero spaventato. Avevo seriamente temuto di essere in un incubo: un giorno che si ripete sempre uguale.
 

Ieri sera sono tornato a casa a piedi, lasciando la motocicletta nel parcheggio del pub; avere un incidente ostinandosi a guidare con in corpo più alcol che ragione, questo non me lo sarei mai permesso

Ieri sera sono tornato a casa a piedi, lasciando la motocicletta nel parcheggio del pub; avere un incidente ostinandosi a guidare con in corpo più alcol che ragione, questo non me lo sarei mai permesso. Ubriaco fradicio, mi avviai e il tragitto mi fu utile per ingoiare la nausea.
Così com'ero, senza nemmeno togliere gli stivali mi lanciai sul divano, per risvegliarmi alle 14:30 di una domenica di pioggia qualunque con un brutto sapore in bocca e tredici chiamate non risposte al telefono che si spense quasi subito perché totalmente scarico.

Mi tolsi gli stivali con i quali avevo dormito, uscì un filo di aria densa a metà tra il gorgonzola e le terme di Vulcano, maledissi il caricabatterie per la sua ingegnosa capacità di mimetizzarsi tra le suppellettili; frugai nel soggiorno, poi in cucina dove dal frigo si liberava il richiamo del prosecco freddo, nella mia camera, nel bagno e mi ghiacciai di fronte alla camera di Carmelo. Negli ultimi sei anni l'ho aperta poche volte, ognuna di queste mi ha fatto male; no, il caricabatterie non era lì dentro, piuttosto mi sorse il dubbio che fosse dentro la borsa della moto, nel parcheggio del pub, e capii di dover uscire temendo che alla moto stessero crescendo le eliche e il timone per una sorta di mutazione darwiniana indotta dal maltempo.

Per smaltire i postumi della sbornia, preparai la moka; è uno di quei gesti che insieme agli odori sono capaci di riportare a galla emozioni, tutte le mattine questo è il mio buongiorno a Carmelo, il momento per ricordarmi com'è fatto, per risentire la sua voce e il suo odore. Chissà dov'è adesso, se è vivo, se è morto: scomparsi lui e la sua motocicletta sei anni fa in Sicilia, mai ritrovati né l'uno né l'altra, a me è rimasto il rimorso di essere rimasto a Vigevano a lavorare e di non averlo accompagnato durante quel viaggio estivo per andare a trovare sua madre a Sciacca, dove non è mai giunto. La caffettiera borbottava riportandomi alla memoria Aurora che mi urlava di avere perso mio figlio a causa della mia irresponsabile noncuranza. Nemmeno adesso riesco a replicare a quelle accuse semplicemente assurde e mi si blocca la gola. Dopo il caffè bevuto all'impiedi dall'ultima tazzina pulita, mi rimisi sul divano, accesi la televisione col mal di testa aggrappato con gli artigli al lobo temporale; il brutto è che quando lascia la presa restano i graffi.

La tv non offriva granché: una vecchia puntata di Nero Wolfe in bianco e nero ma, nonostante il mio amore per Rex Stout, schiacciai il telecomando e trovai la cronaca di una gara di motociclette: “...doveva essere una festa per il motociclismo...” il commentatore usava un birignao ridicolo; “...gara della 350 sotto la pioggia battente a Riccione...”. Provai a cambiare canale: a dirlo ora sembra strano ma c'era poco segnale e ritornai sul canale di prima: “ ...Bergamonti perde il controllo della sua MV numero 6...” “...nulla da fare per il pilota che urta il marciapiede...”; la storia di quella giornata di gara la conosco bene, mi incupii: fu sicuramente l'effetto dell'alcol residuo in circolo. Non lo so perché ebbi i lucciconi: la tristezza e il divano, in concorso tra loro, mi divorarono mi riaddormentai con un macigno sul petto.

 

..doveva essere una festa per il motociclismo...” il commentatore usava un birignao ridicolo; “...gara della 350 sotto la pioggia battente a Riccione...

Mi svegliai devastato, amaro alla bocca come avessi mangiato la vescica di una salpa. Pioveva e il mio telefono mi giaceva accanto. Era acceso, tredici chiamate non risposte. Avevo gli stivali ai piedi, li tolsi con un gesto di rabbia, soffocato dal tanfo di colonie micotiche in decomposizione. Provai quindi a chiamare ma il cellulare si spense perché la batteria era sotto il 2 per cento, l'orologio segnava le due e mezza del pomeriggio. Rallentato dai muscoli anchilosati cercai vanamente il caricabatterie in ogni stanza, tranne in quella di Carmelo. Capii di avere qualcosa da dire, senza capire cosa esattamente; forse era il richiamo della bottiglia di prosecco smezzata che ululava dal frigo o il ricordare che il caricabatterie era dentro la borsa della moto, nel parcheggio del pub. Mi resi conto che era la seconda volta che vivevo la stessa condizione, ripetevo gli stessi gesti, pensavo le stesse cose e come sotto il comando del pilota automatico mi preparai un caffè e pensai a Carmelo la cui madre era una volta una splendida donna; l'ultima volta che l'ho vista era una melanzana avvizzita.

Cercai una tazzina pulita, c'era l'ultima, bevvi il caffè stringendo il pugno. Sentii bisogno di un attimo di riposo prima di andare a riprendere la moto e accesi la televisione. La domenica è fatta per soffrire sul divano, altroché.

Il primo canale passava una gara di MotoGP, il circuito mi sembrava Suzuka ma le parole del telecronista erano sgomente “...attendiamo il referto della Clinica Mobile...” e la regia inquadrava sempre la stessa chicane prima del traguardo, dove i rottami di una moto blu erano sparsi per la pista. L'ho visto molte volte, è il terribile incidente di Kato al terzo giro della gara inaugurale della MotoGp 2003. Non ci fu bisogno di proseguire la visione e mi chiesi perché trasmettere a 13 anni di distanza quella gara maledetta in una domenica pomeriggio; senza esitare cambiai canale e trovai Pippo Baudo a presentare i Telegatti, il resto della tv, inspiegabilmente,era solo un melange di grigi ma potrei sbagliare, probabilmente ero in un miserevole stato confusionale.

Tornai alla gara, i piloti inconsapevoli continuavano a girare in tondo mentre i commentatori restavano “...in attesa di ulteriori notizie sulle condizioni di Daijiro Kato...”, il medico inquadrato scuoteva la testa: lui sapeva, come me. Che sfortuna sapere già come va a finire quando l'epilogo è dannatamente triste e vorresti che il mondo andasse all'incontrario; poi stesi i piedi sopra il tavolino e cedetti le armi al sonno temendo che mi sarei svegliato in piena notte e di rovinarmi il ritmo circadiano.

 

Il risveglio fu lento e doloroso, come da un'anestesia. Mi toccai dappertutto per capire se avessi qualcosa di rotto, mi sentivo come se fossi caduto a 200 km/h a Brandish Corner

Il risveglio fu lento e doloroso, come da un'anestesia. Mi toccai dappertutto per capire se avessi qualcosa di rotto, mi sentivo come se fossi caduto a 200 km/h a Brandish Corner ma invece tenevo orgogliosamente e saldamente la posizione sul divano. Forse fu la pioggia ad avermi svegliato oppure i piedi frizzanti che imploravano di uscire dagli stivali; prima di dare loro la libertà e sprigionare letali armi batteriologiche nel mio soggiorno, buttai un occhiata al cellulare e alle tredici chiamate di cui non mi ero nemmeno accorto ma la batteria diede subito forfait e il display si annerì, feci solo in tempo a vedere che erano le 14:30 di domenica.

Ancora, pensai. Ancora le 14:30 e mentre desideravo una spiegazione, annaspavo alla ricerca del caricabatterie. Andai a preparare il caffè, prima passai in rassegna le camere, ad eccezione di quella di Carmelo, trangugiai il liquido nero dall'unica tazzina superstite, ripensai alla mia ex moglie Aurora che da sei anni piange la scomparsa di nostro figlio senza farsene una ragione perché, in effetti, non si può.

La testa iniziò a girarmi e mentre attendevo che la pioggia si calmasse un po' per andare a riprendere la moto rimasta parcheggiata al pub da ieri sera, accesi la tv e mi stravaccai sul divano. C'era una vecchissima puntata di Discoring. Mi alzai e andai alla porta del balcone per capire il tempo, col sottofondo di Mia Martini che cantava straziata “...sai, la gente è matta...” , la voce rauca continuava a graffiare i vetri della mia casa arredata da un dignitoso disordine di circostanza “...non cambierai, dimmi che per sempre sarai...”; era strano, in giro poca gente e poche macchine, tutte piuttosto datate come una Vectra grigia che sembrava nuova.

Anche una Tipo e una Thema... roba da matti. La televisione, forse per il maltempo, cambiò canale da sola sintonizzando su una gara di moto, il Gran Premio di Germania del 1989, classe 250. “....all'ingresso del motodrom...”, non potevo crederci, era proprio quel Gran Premio: “Virginio Ferrari si ferma per soccorrere lo sfortunato pilota venezuelano...”; mi sedetti sul divano come se fosse la prima volta che vedevo quelle immagini, mentre invece le conoscevo benissimo per averle subite in diretta 27 anni fa. Non ressi, il buio mi scompose il cuore in numeri primi, abbassai le palpebre e rimasi di fronte alla gara che continuava come inevitabile coda di una brutta storia e mi riaddormentai sconfitto.

 

Quindi non so se è veramente la terza volta che vivo questa routine, forse è solo che sono ancora ubriaco, l'unico modo per saperlo è andare a vedere come va finire: decido di iniziare col salvataggio della mia quattro cilindri dall'annegamento.

Scendo in strada dove la pioggia batte forte sul terreno, mi riparo col casco sentendomi trasportato dalla corrente dei rivoli sporchi. La mia moto è piantata nel parcheggio del pub, bersagliata dalle gocce di pioggia come un'amante che attende sotto il portone. Si avvia al primo tocco, imbuco la prima e via per il corso; le gocce sul casco e la fitta nebbiolina, il vapore sulla visiera, mi è sempre piaciuto guidare sotto il temporale, lo trovo rilassante.
I maxi schermi pubblicitari a lato delle strade rimandano tutti le stesse immagini distorte e confuse, sembrerebbero quelle di un motociclista che scivola via nell'asfalto bagnato. Sembra un filmato, non una pubblicità, magari è un video musicale ma è difficile capire con questo tempaccio e la visiera appannata. Continuo a guidare, sempre più veloce nonostante l'asfalto bagnato e mi chiedo se anche di quelle immagini riesco ad immaginarmi come vanno a finire.

 

Era felice di fare il suo viaggetto in moto, non era la prima volta che tagliava in due l'Italia con la sua bicilindrica 125. Eppure io sapevo o temevo un brutto epilogo

Era un'estate piovosa anche quella di sei anni fa, Carmelo mi aveva chiesto dei soldi per cambiare le gomme della moto, ma io ero in bolletta: tra alimenti alla madre e crisi economica il mio conto era in rosso e gli dissi solo di stare attento, di andare piano e non sarebbe successo niente, al massimo una foratura: gli consigliai di portare con sé un paio di autofilettanti da avvitare nello pneumatico al posto del chiodo per un'eventuale riparazione di emergenza.

Era felice di fare il suo viaggetto in moto, non era la prima volta che tagliava in due l'Italia con la sua bicilindrica 125. Eppure io sapevo o temevo un brutto epilogo: l'estate più bagnata degli ultimi anni inghiottì Carmelo, sappiamo solo che sbarcò in Sicilia dal traghetto, o perlomeno che acquistò quel biglietto.

Centinaia di motociclisti si mobilitarono per cercarlo nelle strade dell'isola senza successo, io stesso vinsi l'ansia che mi paralizzava e macinai ogni metro delle trazzere siciliane in cerca di sue tracce; ma tutti noi sapevamo come sarebbe andata a finire, era un film di cui con troppa facilità avremmo indovinato il finale. Tornai al mio appartamento la settimana successiva in una sera di burrasca, quando il grigiore e il maltempo non concedono di capire che ora è, che stagione è; di quei giorni si sa soltanto che piove e chi ha fede, spera.

 

Continuando a guidare così veloce ad un certo punto una pozza d'acqua o un imprevisto potrebbero farmi cadere e mi sembra un pessimo epilogo. Decido di riprendere il timone degli eventi, la testa del resto non mi duole più e inverto la marcia alla prima rotonda, a passo d'uomo, con la gente che mi guarda dalle macchine come se fossi matto, subendo con rassegnazione zen le onde anomale sollevate dai mezzi che procedono in senso inverso al mio; arrivo a casa in prima serata, forse ancora in tempo per una birra o due al pub.

Apro la porta di casa, lascio tutto l'abbigliamento bagnato sul pianerottolo e varco l'uscio in mutande e occhiali. Entro nella mia camera, in sottofondo scorre a bassissimo volume un brano di Shakira, quello dei mondiali di calcio in Sud Africa. La musica proviene dall'interno di casa, mi insospettisco molto e dopo avere verificato che il televisore è spento, in mutande bagnate spingo in basso la maniglia della porta di Carmelo. Tanto so già come va a finire.
Mi arriverà una coltellata al petto, andrò ad espiare i miei sensi di colpa al pub, domani non andrò al lavoro. O forse andrò sul divano a stordirmi un po' e se avrò fortuna saranno ancora le 14:30 e ricomincerò sempre daccapo, fino a quando non sarò in grado di scrivere un finale credibile a questa storia.

La porta non si apre, probabilmente dopo sei anni il legno si è deformato e incastrato. Spingo, do un calcio.

- Che c'è?? Papà ho le cuffie!!

Davvero certe volte non si ha voglia di spiegazioni. Ma io sono un uomo di spirito.

- Volevo dirti che sul tavolo della cucina domani trovi 150 euro, cambia le gomme della piccolina.

Mi fa un pollice su, rientra in camera. Ed io l'unica domanda che mi faccio è: basterà?

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