I racconti di Moto.it. "Lacrime a 130 ottani"

I racconti di Moto.it. "Lacrime a 130 ottani"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Nascosto nel box aspiro rapidamente il calore della ennesima sigaretta truccata e fuorilegge. Se mi beccano sono guai ma, tanto, cosa vuoi che cambi...
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
5 ottobre 2012

Punti chiave


Nascosto nel box aspiro rapidamente il calore della ennesima sigaretta truccata e fuorilegge. Se mi beccano sono guai ma, tanto, cosa vuoi che cambi.
Il mio impegno non è sufficiente, devo guardare in faccia la realtà. Nelle gare di motociclette, non basta dare il 101%: ci vuole pure culo, fortune. Ci vuole qualcosa che ti sputi fuori dal gruppone e ti faccia emergere, non lo so cosa, non basta manco un mezzo competitivo: io la moto all’altezza ce l’ho, il mio compagno di squadra gira un secondo più forte con la mia stessa moto e spero non mi consideri la zavorra che si frappone tra lui e la vittoria in questa otto ore di endurance a coppie.

Altri cinque minuti e darò il cambio a Francois, risalito fino alla settima posizione. Forse ho pure paura, sicuramente il buio non aiuta. Avrei dovuto riposare ma non ci riesco, sono troppo ansioso, dispiaciuto, incazzato con me stesso per la mia incapacità, per l’occasione sprecata. Non mi capiterà mai più di essere chiamato in un team ufficiale. Merde! Avremmo potuto essere il primo team europeo a vincere in questa gara da sempre dominio dei giapponesi, e invece è colpa mia se navighiamo a centro classifica.
Buona sta roba: grazie Valerie.

Un turno di guida alla fine, poi tornerò a fare il carrozziere. Fine della storia. Stop alle trasferte, stop alla vaga sensazione di essere paragonato ad un guerriero e basta occhiate sulla linea di partenza alle chiappe delle paddock girls; magari è per questo che in partenza dal gruppo di testa mi becco sempre un paio di secondi buoni al giro.

Ho gli occhi gonfi, non so se per i mirtilli, per la cornea invasa dal fumo, per la stanchezza o per altro.
E’ altro.
E’ la rabbia di avere dedicato la mia vita da orfano alle corse di motociclette, di avere avuto la possibilità di stare dove i grandi si sfidano e proprio adesso temere di non farcela, di non essere altro che il fuoriclasse del ristretto ambito della mia provincia, dove battevo tutti, dove vincevo a mani basse, dove il mezzo non contava ma ero l’orbo da un occhio in mezzo ai ciechi.
Da quando Valerie mi sta accanto anche nella gestione della mia carriera, le mie quotazioni sono andate sempre più ascendendo fino a essere chiamato, inaspettatamente, lo ammetto senza pudore, a correre questa gara che da sola vale un mondiale. Lo dicevo che avevo solo bisogno di un manager che avesse veramente a cuore i miei interessi!

Valerie è la mia ragazza, conosciuta due anni fa nello studio medico di suo padre dov’ero andato a causa di un disturbo che tengo sotto controllo. E’ stato un colpo di fulmine; adesso coabitiamo insieme nell’ala ovest della gigantesca villa in campagna della sua famiglia, dove riposa l’inestimabile collezione di motociclette d’epoca di Claude, il padre di Valerie, ex pilota di livello e inserito nel jet-set motociclistico internazionale.

Mi dispiacerebbe dare una delusione a Valerie e a tutti gli sponsor, ma la verità è che la pista non fa sconti: o vali o non vinci. Però, anche così potrei essere contento: gareggio spalla a spalla con gente che fino a ieri guardavo solo in televisione trovandola molto meno speciale di quanto sembrasse da fuori l’ambiente delle gare e mi hanno affidato una moto con la carena colorata come quelle che verniciavo per le moto dei miei clienti. Nel paddock sembrano conoscermi tutti, piloti, manager, meccanici persino, la gente che incontro mi sorride: il mio terzo tempo in prova all’esordio deve avere fatto scalpore! Chi l’avrebbe mai detto, partendo dalla polvere del cortile dell’orfanotrofio ho raggiunto il mio sogno: la otto ore da pilota ufficiale. Ora devo mettere da parte la mia emotività e concentrarmi sul mio ultimo stint. Qualsiasi risultato fuori dal podio, nonostante il mio rango di perfetto sconosciuto, sarebbe un fallimento.

Mi chiamano, Francois ha iniziato il suo ultimo giro, ho poco più di due minuti per ricompormi; dopo, dovrò salire in sella. Via la sigaretta, peccato: era roba forte.
Casco.
Guanti.
No, prima mi soffio il naso e mi asciugo le lacrime. Parbleu!
Guanti, patetico.
Valerie mi accarezza il casco con un bacio e mentre i meccanici si affollano a turno sulla moto io aspetto a fianco del commissario di poter salire; Claude mi abbraccia e mi dice “non rischiare, fai la tua gara”, ha anche lui gli occhi fuori dalle orbite; no Claude, io voglio dare a tutti la soddisfazione di vedermi vincere o almeno di festeggiare sul podio; potrebbe essere un punto di inizio, anche se ho già trent’anni e i piloti della mia età li chiamano “agees, antique”.
Cavolate, gas aperto e via. Salgo in sella.
Gas aperto.
Via.
Se solo potessi tergermi le lacrime.
Mi fa male la pancia e ho le lacrime.

Esco dalla pit lane, vomitato in pista dalla mia rabbia e dalla mia voglia di emergere aggravate dalla determinata necessità di fare risultato per Valerie, ricchissima figlia di un medico che ha fatto fortuna con le cliniche private e che non merita di stare con un carrozziere squattrinato in attesa di trapianto di fegato. Voglio essere il suo successo, il suo orgoglio di fronte a tutti. Gas aperto e via.
Strano guidare di notte con le lacrime che ti fanno sembrare tutto liquido, come in piscina. Vedo solo ombre e sfocati contorni luminosi.

Non è il momento di piangere, è il momento di guidare più forte di tutti. Se potessi sfonderei la manopola del gas, brucerei anche le mie ultime chanches di sopravvivere a questa gara tirando a mano piena la leva ad ogni staccata per sorpassare in solo colpo tre, quattro avversari mandando in estasi Valerie.
Vedo scorrere le luci rosse delle moto dei miei avversari come in un videogioco, ne avrò già passati una decina. Ma è tutto liquido, non mi rendo conto. Vado a memoria sulle curve, a tentoni sulle staccate, è tutto sfocato, immaginario, onirico, speriamo bene. Forse ho esagerato con le sigarette rinforzate, ho il cervello in fase di scoppio.

I piloti non piangono mai, ma fanno male. Mi pare che tutti vadano più piano di me; vado forte, come se in pista fossi l’unico ad aprire tutto il gas fuori dalle curve. Le mie lacrime di rabbia sono come un additivo che porta a 130 ottani questa benzina, sublimano direttamente nella camera di scoppio con la forza del nitrometano. Ho appena scoperto che le lacrime fanno andare più veloce, non annebbiano la vista ma rimuovono solo i fallaci riferimenti posti dalla nostra pavida coscienza tra noi e il successo. Tutti possiamo andare più forte e non lo sappiamo. Bastava piangere, lo avessi saputo prima. Forse c’è anche bisogno del buio, non lo so. Il buio e il pianto mi immergono totalmente nell’elemento principe della corsa e della pista che è la velocità, non vedere chiaramente libera le mie sensazioni e il mio istinto, molto più potenti del mio raziocinio. Ho la testa conficcata nel cupolino, quella luce rossa avanti a me è il leader della corsa: sto per superare anche lui, senza forzare: est facile... Lo affianco in rettilineo e lo passo all’interno all’ingresso del curvone a destra, quello da quarta in fondo a questo droite. Guarda Valerie, guardami, ammirami e continua ad amarmi. Adesso! Scalo due marce.
Merde, era a sinistra! Il curvone era a sinistra, rien ne va plus.

- Valerie!
- Papà! È lui, vero? E’ Laurent quello che è caduto, vero?
- Sì è lui! E’ ancora a terra! E’ andato a destra ma la curva era a sinistra!
- Si muove?
- …No, mon dieu.
Il padre le porse l’auricolare e le disse:
- La regista sei tu; dai tu l’annuncio. Io sono qui.
Valerie afferrò l’auricolare e il microfono con calma da anestesista, prese fiato e usando freddezza da chirurgo disse:
- E’ finita, vero? …Signori, è finita. Grazie a tutti.
Le sue parole fecero l’eco nell’intero circuito attraverso il sistema di diffusione per la cronaca delle gara.
Emise un singulto, ma riuscì a chiudere la comunicazione prima di immetterlo nell’impianto. Tutti i presenti ammutolirono e guardarono le proprie scarpe.

Le luci dell’autodromo si spensero e le moto in pista rallentando si fermarono, una per una, come se si fosse loro tolta la corrente o fosse finita la benzina a tutti contemporaneamente. I piloti aprirono le visiere e tolsero i guanti, alcuni andarono a vedere il luogo dell’incidente a piedi, lasciando la moto appoggiata ai muretti ma senza levarsi il casco. Sapevano tutti come sarebbe finita ma in molti si lasciarono andare ad un pianto liberatorio e di tributo a quel pilota da quattro soldi che non voleva morire in un letto d’ospedale, che non sapeva tutta la verità sul proprio male e sul tempo che gli era ancora concesso, dal pianto facile, dalle lisergiche dipendenze e dalla incrollabile fede e caparbio amore per Valerie.

Tre o quattro top rider presi in prestito dal mondiale prototipi e assoldati per la gara, dichiararono poi alla stampa di invidiare un ambiente ancora pieno di valori come quello dell’endurance dove una partecipazione così unita e compatta alla drammatica storia di Laurent erano ancora possibili. Ne uscì fuori comunque un polverone e un tritacarne mediatico per i coraggiosi che avevano preso parte all’iniziativa definita ora criminale, ora misericordiosa.

La gente presente sugli spalti ricevette un sms con il quale veniva avvisata che il pagamento della partecipazione sarebbe avvenuto all’uscita del circuito: il messaggio si chiudeva con un “grazie di cuore” per la serietà dimostrata.

Claude sosteneva Valerie abbracciandola, la ragazza era sfinita, appariva come una maschera di cera in quella mise con i colori del team e degli sponsor adesso totalmente fuori luogo.
In tutto il circuito era profondo il silenzio notturno e il referto medico venne atteso da Claude e Valerie nel box, senza neppure la forza di muoversi di lì, forse si spandeva nell’aria l’odore del rimorso di avere organizzato tutto all’insaputa di Laurent.

- Non voglio vederlo, papà. Voglio ricordarlo vivo.
- Va bene. Penserò a tutto io, tu chiama la mamma. Ti servirà per sfogarti.
- Avrà sofferto?
- No, tesoro, l’impatto è stato impressionante ma sicuramente avrebbe sofferto molto di più spegnendosi in un letto d’ospedale. Ognuno degli attori di questo reality per un solo inconsapevole partecipante pensa che tu abbia avuto il più grande gesto d’amore immaginabile verso un malato senza speranza. Laurent non ha mai sospettato nulla, ha sempre pensato che fosse un vero ingaggio, una vera gara e sicuramente per un giro, per due minuti e venti secondi, ha veramente pensato di essere nel gruppo di testa nella più prestigiosa corsa d’endurance del mondo. La sua vita si è chiusa lì, ha conquistato il suo titolo di pilota. Gli abbiamo fatto del bene.

- Mesi di preparativi per inscenare una finta gara di otto ore… abbiamo impiegato un sacco di soldi… hai venduto la collezione di motociclette d’epoca per pagare tutte le comparse, il circuito, per convincere i piloti... mi dispiace papà, ma non riesco a sentirmi meglio.
- Ti sentirai meglio la prossima volta, cara.
- Non ci sarà una prossima volta, papà.
- Ho deciso di fare il salto di qualità, Valerie.
- Cosa intendi?
- Conosco un pilota del mondiale prototipi in grave crisi, vuole ritirarsi…
- …è depresso?
- Non ancora. Tocca a noi.
- Mi sento già meglio.
- Vedrai, gli faremo del bene.

 

 

 

Caricamento commenti...