I racconti di Moto.it: "Il Phantom scomparso"

I racconti di Moto.it: "Il Phantom scomparso"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
E' il secondo caffè di oggi ed ho già speso tre sterline e trenta, in Italia fanno qualcosa come cinque euro e non farebbe una piega se fossi al Wunderbar di Taormina seduto al tavolo con vista mare, stretto tra la chiesa e la piazza
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
15 luglio 2016

Tre sterline e trenta: lo avrei sopportato meglio se quella brodaglia marrone avesse avuto il sapore del caffè ma a Sheffield l'espresso viene male perché l'acqua è dura, sa di pietra fredda e di liquido refrigerante: lo so perché una volta per scommessa mi bagnai le labbra col paraflù, una di quelle cose che fai per ridere con gli amici nel garage di casa mentre tenti di manomettere con risultati ridicoli il tuo motorino 50 in una missione corale dove tutti i presenti fanno quello che possono, sopratutto guardano e fumano le prime sigarette.

Io avevo un Phantom che resistette alle mie impunite malefatte meccaniche finché poté, per poi esalare l'ultimo respiro in discesa dal passo del Timone, a manetta per tre chilometri pieni conclusi con un grippaggio devastante che a me sembrò una misericordiosa eutanasia per un fratello stanco ma meritevole di una fine gloriosa, estiva.

Abbandonai lì il Phantom rosso e non lo rividi mai più perché quando il giorno dopo tornai a prenderlo con mio papà non trovammo nulla: mio padre aveva preso un permesso dal lavoro per recuperare insieme a me il motorino ma constatato il furto mi rimproverò duramente, brusco di rabbia mi disse che non sarebbe stato facile ricomprare un altro motorino, mi disse sconsiderato e irresponsabile mentre scuoteva la testa.

Lungo il tragitto in automobile e poi fino a dentro casa ci scontrammo in un litigio furioso con parole pesanti che solo un'adolescente può prendere alla leggera e soltanto un padre può subire con tanto dispiacere per il suo lavoro perso, per le difficoltà di una vita complicata aggravate dalla noncuranza di cui solo i figli più coccolati dai genitori sono capaci di esprimere e al culmine della sua delusione mi disse di ritornare da mia madre, se ero scontento di lui e di quello che cercava di fare per me ero liberissimo di trovare di meglio.

Non me lo feci ripetere, arraffai poche cose e mi tirai la porta dietro, scendendo di corsa le scale del terzo piano; arrivato al portone mi accorsi di essermi dimenticato il casco, tuttavia l'orgoglio mi impedì di risalire e un'ora dopo arrivai in autobus da mia madre con un grugno da competizione. Lei finse di non accorgersi di niente, io non raccontai nulla, e il perché fossi arrivato senza motorino fu una domanda mai posta. Se non si è capito, i miei erano separati e ognuno di loro viveva una vita propria.

 

Io avevo un Phantom che resistette alle mie impunite malefatte meccaniche finché poté, per poi esalare l'ultimo respiro in discesa dal passo del Timone, a manetta per tre chilometri pieni conclusi con un grippaggio devastante

Tre sterline e trenta, due caffè, ma fa niente: per oggi sono felice dell'inoppugnabile dato di fatto che è il secondo giorno di lavoro e mi hanno già pagato, roba così prima me la sognavo. In Italia la paga che ricevevo mi veniva elargita come un favore, una circostanza a metà tra la concessione e l'evento surreale la cui ripetizione il mese successivo era niente affatto scontata, mentre qui in iùchei ai lavapiatti è incredibilmente riconosciuto il rango di workers.

Lavoro in un bar e il mio boss è una donna di ventisei anni, Greta: è gentile come tutti gli inglesi, mi chiama Luke con la sua vocina sottile e sono sicuro che quasi si vergogna a dare ordini ad un signore di quarant'anni ma io sono qui per lavorare e non mi tiro certo indietro; a casa ho lasciato la mia motocicletta a ruote sollevate nel garage, coperta da un telo e senza batteria.

Poco più in là, a pochi metri dalla mia moto in ibernazione, c'è un cassone.

Nel cassone, beh... devo finire il secondo caffè, amaro come il peccato, e mi restano questi altri due minuti da ammazzare, il tempo di ingoiare il paraflù.

 

Quell'estate non tornai più a casa di mio padre, e non solo perché ho sempre detestato l'autobus ma sopratutto perché mia madre mi portò con sé a Marzamemi nella casa a mare dei nonni e persi totalmente il contatto con lui; in quei due mesi mi tenni impegnato con i mondiali di calcio vinti dal Brasile ma il rigore sbagliato di Baggio non riuscì a rovinare la felicità per la vittoria di Kocinski con la Cagiva in Australia.

Mio padre aveva una Punto bianca, dalla separazione in poi non aveva più cambiato auto e generalmente lui prendeva le ferie dalla fabbrica alla fine di luglio, passandole in paese.

A Marzamemi non avevamo il telefono, i nonni non lo volevano nella casa a mare e da ragazzo non ne avevo bisogno. Un giorno, alla fine di agosto, arrivarono i carabinieri ma io non c'ero. Chiesero a mia mamma se nelle ultime settimane aveva avuto notizie di Aldo Nobile, il marito. Lei rispose di no e che erano separati da cinque anni, i carabinieri dissero che lo cercavano perché non si era ripresentato al lavoro dalle ferie, dieci giorni prima, e si temeva fosse accaduto qualcosa di brutto, poi se ne andarono mentre io risalivo dalla spiaggia sporco di sabbia e di sale.

Di mio padre e della sua Punto si persero le tracce, nessuno lo rivide più e si pensò che dopo il nostro litigio avesse scelto di cambiare vita. A casa sua furono ritrovati pochi effetti personali di scarso valore e nel suo conto in banca giacevano, da mesi, alcune decine di migliaia di lire.

Dopo qualche anno fu decretata la morte presunta, il caso, se mai aperto, fu chiuso e solo io rimasi piantato dentro quell'estate del 1994 e alle mie domande. Tutti andarono avanti, io attesi il diploma per ereditare il lavoro in fabbrica di mio papà e farmi una vita mia passando per l'acquisto di una motocicletta veloce. Niente di paragonabile all'emozione del Phantom e al piacere della scoperta, ma il gusto della vita che va avanti e che migliora mi rese un ragazzo più docile e più sereno. Non so se sia stato un caso, ma il passo del Timone in quegli anni fu sferzato da un meteo inclemente e violento che per molto tempo lo rese impraticabile e furono necessari grandi lavori per rimettere in sesto le strade e i terreni.

Con un reddito tutto mio, affittai un monolocale e ci andai a vivere, aggiunsi un garage e ne feci il mio luogo di relax e di ricovero per la mia motocicletta.

 

Molti anni dopo la sparizione del mio Phantom venivo giù dal passo del Timone in moto a velocità da suicidio preterintenzionale per quelle strade asfaltate di fresco: passando dallo stesso esatto punto dove, sedicenne, grippai e abbandonai il mio scooter

Molti anni dopo la sparizione del mio Phantom venivo giù dal passo del Timone in moto a velocità da suicidio preterintenzionale per quelle strade asfaltate di fresco: passando dallo stesso esatto punto dove, sedicenne, grippai e abbandonai il mio scooter mi sembrò di intravedere nel campo visivo reso scuro dalla visiera fumé un Phantom rosso come il mio appoggiato al muretto. Continuai a guidare e pensai di avere avuto un'illusione ottica generata dal trauma mai superato del furto e di tutto quello che ne conseguì, quindi arrivai in paese e mi sedetti a riflettere. Indeciso se ritornare su a vedere se quello scooter fosse veramente il mio vecchio Phantom o restare a bere la mia birra fredda, feci il pieno alla mia motocicletta e risalii il passo in cerca del mio scooter. Arrivato nel luogo dove lo avevo abbandonato e dove mi era appena parso di vederlo, vi trovai solo il silenzio della montagna e il fresco del pomeriggio.

Mi sentii un deficiente, raccolsi tutta la dignità che mi era rimasta e inserii la prima per tornare a casa. La moto si spense.

Elettronica di merda, pensai.

Girai la chiave e non sentii l'innesco della pompa della benzina. Non era l'elettronica, quindi.

Sfilai il casco, era un bel pomeriggio di primavera e l'aria era frizzante. Al massimo sarei stato costretto a scendere a folle, ma qualcosa in quell'aria mi trasferì calma e senso di lentezza. Scavalcai il muretto, feci quattro passi nella boscaglia umida mentre sentivo i motori delle altre motociclette arrivare veloci dal basso. Il sole filtrava tra i rami disegnando saette di luce, mi sembrò un'ottima occasione per scattare una foto col telefono e condividerla. Mi spinsi ancora più avanti dove la boscaglia era più fitta, fino ad una strana, ripida, discesa ricoperta di foglie secche collegata ad un sentiero sterrato che si dipartiva dalla strada principale dove, qualche centinaio di metri più in là, avevo lasciato la motocicletta. La discesa era un piccolo precipizio, mi sporsi, feci una foto, la guardai, ne feci un'altra eliminando il controluce, scorsi una sagoma strana. Scesi più giù ma il fondo mi tradì e ruzzolai per venti metri, sbattei contro una ruota; la ruota era attaccata ad una macchina ribaltata, la macchina era una Punto, bianca.

Non ebbi il coraggio di guardare dentro e tornai ad essere un ragazzino di sedici anni spaventato e dolorante, spaesato e incredulo.

La salita fu faticosa, nessuno ad aiutarmi e il mio telefono si era rotto cadendo. Tornai in paese sconvolto, chiamai i carabinieri.

All'interno della Punto fu ritrovato uno scheletro umano quasi completo e sui sedili posteriori un vecchio motorino, un Phantom 50 Rosso, mancante di qualche parte.

 

Il mistero della scomparsa di mio padre poteva dirsi definitivamente chiarito, passai molto tempo con il brigadiere

Il mistero della scomparsa di mio padre poteva dirsi definitivamente chiarito, passai molto tempo con il brigadiere a riempire un lungo verbale dove: "...allorquando il Nobile lasciava l'abitazione del padre il 16 giugno 1994 per dirigersi verso casa della madre, i rapporti tra padre e figlio erano molto deteriorati. Nobile Luca afferma di non avere più visto il padre e di essere giunto alla scoperta della autovettura da lui identificata come quella del padre Aldo in modo del tutto casuale. Nobile Luca riconosce all'interno della vettura i resti del proprio motorino marca Malaguti modello Phantom 50 cc, supponendo che il motivo per il quale il motoveicolo era all'interno della vettura del padre fosse perché lo stesso Nobile Aldo dopo il litigio voleva riappacificarsi col figlio cercando e riportandogli il mezzo disperso lo stesso 16 giugno 1996 quando, dopo avere lasciato il motorino incustodito a causa di guasto meccanico, si suppone che terzi lo abbiano scaraventato giù per il dirupo per atto vandalico e che di questa notizia fosse giunto a conoscenza il Nobile Aldo tempo dopo e approfittando delle ferie estive sia andato a cercare il motoveicolo per riconsegnarlo al figlio, cadendo egli stesso unitamente al suo automezzo giù per il burrone nel tentativo di ritornare sulla strada provinciale. Con ogni probabilità lo straordinario maltempo di quei mesi e il conseguente dissesto stradale resero difficili e infruttuose le ricerche nonostante l'impegno delle Forze dell'Ordine".

Mi accontentai di firmare, senza pretendere di capire niente.

I resti dentro la Punto erano, senza alcun dubbio, quelle di mio padre; forse io ci speravo che fosse da qualche parte ancora vivo a godersi la vita. Ma no, quelle ossa erano sue.
Posi in una cassa tutto quello che rimaneva del mio Phantom e la portai in garage, dove giace tuttora in attesa di essere aperta e il contenuto ricomposto ma non ho il coraggio.
Avevo bisogno di cambiare aria e mi licenziai dal lavoro in fabbrica, venendo qui a Sheffield dove un paio di caffè sono tre sterline e trenta, maledetti britannici.

Avrei dovuto avere l'animo di dire a mio papà che io a sedici anni volevo il 125. Che mi ero stufato. Che ero stato io, colmo di rabbia, a buttare giù nel burrone il Phantom.

Tre sterline e trenta, un po' di paraflù: coraggio.