I Racconti di Moto.it: "Fede nella moto"

I Racconti di Moto.it: "Fede nella moto"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Federico tolse le chiavi dal cruscotto della motocicletta e aspettò la vittoria del silenzio sull'eco dei clangori della meccanica; le dilatazioni termiche, pensò. Prese di nuovo in mano quella breve e aberrante lettera, progettando di farne un...
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
7 dicembre 2012

Punti chiave


Federico tolse le chiavi dal cruscotto della motocicletta e aspettò la vittoria del silenzio sull'eco dei clangori della meccanica; le dilatazioni termiche, pensò. Prese di nuovo in mano quella breve e aberrante lettera, progettando di farne un piccolo autodafè. La sintassi di Eva era riconoscibilissima. 
Piano piano i ticchettii e il riverbero del musicale frastuono della motocicletta in rapido raffreddamento si placarono e lui rimase solo in quel belvedere montano al tramonto. Crebbe il rimpianto di non avere portato i guanti pesanti, così sarebbe pure potuto tornare a valle anche a sera tarda e avere il tempo per riflettere sul contenuto brutale della lettera: “vediamo noi oggi per parlare alle 19, se tu non venire me uccido, io dico veramente.” , ma poi pensò che a mezzanotte avrebbe dovuto lavorare e il rimpianto si perse.
Non era facile passare in rassegna la frustrazione di Eva, la sua solitudine di giovane rumena in un paese nel quale era capitata in virtù di vicende torbide, il suo attaccamento a quella relazione nata per caso, e forse da parte di Federico anche per compassione, ma bruscamente troncata da lui quando il proprio rimorso e le attese di Eva avevano iniziato ad espandersi sempre più, troppo.


Eva era arrivata poche settimane prima dall’Est europeo, trascinata nell’abiezione e da lì abbandonata a se stessa: aveva avuto la forza, o l’incoscienza, di chiedere aiuto e l’aveva trovato quando Fede una sera l’aveva caricata sul sellino posteriore della propria motocicletta anzianotta ma perfettamente a punto e portata in un centro per l’assistenza a giovani donne in difficoltà. Mentre guidava, Federico accarezzava con le scapole le dolci curve della giovanissima passeggera, smettendo di sentire il borbottio del singolo pistone per dare spazio alla voce di lei che cercava di spiegargli che aveva paura litigando con l'italiano e con la gonna troppo corta per stare decentemente seduta su una motocicletta. Era notte e i pochi passanti commentavano sardonicamente quella inconsueta coppia che sfrecciava per il paese verso la statale. Da quella sera, ogni volta che Federico prendeva la motocicletta per il suo giro serale lungo le strade del paese, la destinazione era sempre lei, Eva.


Lui non era un santo, se lo ripeteva spesso. Era uno che stava a cavallo della linea che separa la dirittura morale irreprensibile dal mostrare i vizi in privato e in pubblico le virtù. Però, Fede, si era detto da solo, stavolta hai veramente esagerato, come quando da piccolo col motorino facevi le impennate troppo lunghe, passavi pure davanti ai vigili con una ruota per aria, quelli non potevano più fare finta di non vedere e ti sequestravano il motorino per un mese. Ma perché eri senza casco, dicevi ai tuoi.
Si rimproverò di mancare di azione chiedendosi cosa fare di fronte a quello straccio di carta e come reagire dopo una minaccia così iperbolica; la scelta era tra crederci e allarmarsi oppure pensare che era solamente una richiesta di attenzione: la questua per un po' di umana comprensione e di una vita pressoché vivibile.
Gli eventi gli presentavano il conto della sua umana fragilità: Federico aveva inforcato la motocicletta e abbandonato la sua figura irreprensibile e il suo ruolo sociale per indossare la nudità del proprio essere un uomo, null'altro che un uomo con le proprie debolezze cui versare un periodico tributo di egoismo: salire fino al belvedere, scaldarsi le gambe con il calore del monocilindrico, dipingere ogni curva come fosse la prima, quasi a ricrearsi una verginità motociclistica e attraverso questa un'illibatezza morale; utopie, si disse.
Verrà il momento di ridiscendere a valle e trovare il coraggio per affrontare la realtà di una ragazzina forse manco ventenne innamorata, sola e piuttosto disperata, però adesso no: andare per monti mi da un liberatorio senso di lontananza da tutto e anche se sono già le diciannove io mi sento leggero, pensava Fede con le labbra fredde e il naso che colava.
E poi no, non si sarebbe uccisa. Eva era talmente giovane e pura che sarebbe bastato spiegarle tutto e farle capire che era oggettivamente impossibile portare avanti una relazione tra loro due, distanti un universo intero per età, aspettative, ruoli.


Scese piano dalla montagna, a tratti spegneva il motore e percorreva lunghi tratti in discesa a folle col solo rumore della catena che scorreva e il vento che soffiava nel casco aperto fino a raffreddare anche i suoi pensieri. Alle 20 sarebbe tornato in paese, avrebbe fatto quello che doveva fare e poi l'indomani avrebbe chiamato Eva e cercato di spiegare tutto, di calmarla.
Mentre attraversava in sella alla moto il paese illuminato a festa, molti lo salutavano con un gesto della mano o con un piccolo inchino sorridente, alcuni gli dicevano che si sarebbero visti tra poco e lui ringraziava con un cenno del capo oppure offriva qualche parola di circostanza. Era ottimista per naturale inclinazione e anche perché col suo mestiere se non sei ottimista e hai non fede cieca, meglio lasciare perdere; restava profondamente convinto che Eva non avrebbe fatto alcun male a se stessa e alla fine, pensò, tutto si concluderà con un amen.
Se lo diceva lui...


Erano pressapoco le 22 di quella vigilia della quale Federico aveva consacrato il pomeriggio a un lungo giro in moto in cerca di riflessione o forse in cerca di ispirazione sulle cose meno violente da dire ad Eva, quando fu visto in un angolo del piazzale antistante la chiesa del paese discutere animatamente con una giovane bionda in evidentissimo alterato stato emotivo e piena di ecchimosi sul volto lacero; i due parlavano accanto alla motocicletta accesa col monocilindrico che stantuffava l'aria e copriva ogni parola: nessuno dei passanti si incuriosì perché era usuale per Federico dialogare con tutti, specie con le persone meno fortunate degli strati più abbrutiti della piccola comunità isolana.
Poi fu un'attesa.
La gente arrivava in chiesa a tarda sera e prendeva posto, piena di buoni sentimenti e voglia di comunione.
Il freddo diventava sempre più intenso, nonostante il mite inverno siciliano.
L'attesa divenne immotivatamente lunga.
I chierichetti iniziarono ad allarmarsi.
I fedeli dentro la chiesa si scaldavano le mani con i pettegolezzi.
Mancavano pochi minuti alla mezzanotte e nessuno era lì a celebrare la messa, qualcuno uscì fuori sul sagrato a cercarlo.
Alla fine trovarono la motocicletta di Federico col motore morto, inchiodato per il surriscaldamento: peccato, la teneva come un gioiello quella enduro 550; a pochi passi da lì, Federico ad occhi chiusi.
Qualcuno si stupì, qualcuno disse che l'aveva detto, qualcun altro disse amen, e i giornali di Natale titolarono in prima pagina con l'incredibile caso del prete ucciso a mezzanotte.