I racconti di Moto.it: "L’alba del motociclista"

I racconti di Moto.it: "L’alba del motociclista"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Il mio prof di italiano dice che ormai impegnarsi non è più di moda, vogliamo tutto e lo pretendiamo facile e breve. Breve è la strada che ci piace fare per arrivare al bar, breve il tempo in cui mettiamo la prima da quello in cui spegniamo il motore
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
3 agosto 2012

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Il mio prof di italiano dice che ormai impegnarsi non è più di moda, vogliamo tutto e lo pretendiamo facile e breve. Breve è la strada che ci piace fare per arrivare al bar, breve il tempo che separa il momento in cui mettiamo la prima da quello in cui spegniamo il motore, breve il tempo che dedichiamo alla nostra tipa sotto le lenzuola. Il massimo piacere col minimo impegno. Dagli torto, al vecchiardo. Secondo me un giro in moto a volte è benzina sprecata. Mio padre invece pensa non ci sia nulla di più poetico di una passeggiata in moto all’alba; da un po’ di tempo me lo ripete ogni benedetta sera, una specie di mantra che sento prima di cena o durante il mio cazzeggio al pc: va bene papo, ho capito, grazie, grazie, grazie, ma se ti piace tanto prendi il tuo millecento da turismo e vai pure! Certe volte esagera e mi viene il rigetto per queste cose da fissati.


Eppure, oggi subito dopo un acquazzone primaverile che ha pulito le strade e l’aria, mi è tornata la smania di fare un giro lungo e impegnativo, magari pure avventuroso. Non lo so perché, forse l’insonnia, ma piuttosto che andare a scuola a preparare gli esami di maturità, ho il fortissimo desiderio di avere la strada che scorre sotto le gambe e andare in giro senza meta. “Buongiorno Mammina, sono le sei. Vado a fare un giro in moto poi entro alla seconda ora. Bacio, Mattia”. Lascio questo biglietto sul tavolo della cucina e scendo in garage senza fare rumore: se papà scopre che non vado a scuola, come minimo mi toglie internet per un mese, mi manda in giro nudo e poi clicca su “mi piace”. Problema: mi accorgo che il mio motard 125 ha la batteria scarica, per partire ci vuole una spinta. Dati: il box è in fondo ad una rampa di dieci metri con pendenza da downhill, la moto pesa più di un quintale, io ho tanta buona volontà ma non faccio sport dalla terza media. Soluzione: mi dò una pacca sulla spalla da solo e inizio la scalata.


Dopo una serie di sforzi sovrumani, ho le gambe che mi tremano e il volto paonazzo come una triglia; mi giro a guardare quanta salita ho superato: nemmeno tre metri, il mio fallimento è totale. Non demordo. Rimetto la moto nel box e vado in strada: in giro c’è solo la m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a signora Enza, netturbina cinquantenne in missione per conto di Dio. La inquadro e le dono il mio più ampio sorriso, così ampio che si vede pure la carie sul molare. Lei strazia “per un’ora d’amore non so cosa dareiiiii…” nella inconfondibile interpretazione dei Subsonica: si ferma e mi fissa in imperiale posa con una ramazza che in mano a lei sembra il palo della pole dance. Oddio, male male non è; tanta roba. Considerato il tempo trascorso dalla prima immatricolazione, le do un 6 politico. Comunque, questa donna potrebbe salvarmi da una situazione difficile; mi concentro sulle parole giuste da rifilare a lei che è la mia unica speranza per tirarmi (il prof direbbe che “la metafora è ficcante”…) fuori da una situazione scomoda. Parole che io da solo non riuscirei mai a dire, troppo timido, poco abituato al contatto con le persone: quindi faccio scendere in campo il mio simpaticissimo ego, quest’ultimo molto più grande di me in età e dimensioni: anche lui di tanto in tanto esagera.


- Eh… ‘giorno…
(perché quando dobbiamo chiedere qualcosa e non sappiamo come, iniziamo con vocalizzi senza senso? Boh…)
- No. – sbotta la signora Enza.
(cavolo vuol dire “No”? Io non ho ancora parlato…)
- Signora Enza, che bella divisa…
(no, dai… declamare le lodi della mise verde e rossa da spazzino è ridicolo)
- Signorina, grazie. Comunque la risposta è no. No, e vai a casa. “…per poterti toccare non so cosa dareiiii…” – e giù di ramazza.
- No?? A cosa, “no”? Signora, io non ho praticamente aperto bocca.
(ma cos’è? La rabdomante delle richieste d’aiuto impossibili?)
- Non dirmelo, la moto non parte e vuoi che venga in garage con te per farla partire a spinta. A quest’ora, alle sei di mattina… eh, vita mia… “chiudo gli occhi e penso a teee…”
(caspita, se indovini le cose senza che nessuno dica nulla, corri a giocare un gratta e vinci…)
- No… cioè, sì… è una cosa semplice, io spingo e lei mi dà un solo aiutino per uscire la moto dalla salita…
- Tu cosa mi dai in cambio? Mi aiuti a pulire la strada? O sai fare di meglio?
(come direbbe il mio prof, questa è la mercificazione della gentilezza, l’ignobile perdita di ogni buona creanza: siamo al più vile do ut des, cribbio!)
- Non posso spazzare la strada con la giacca da moto, non riesco a muovermi… poi sudo, mi si ghiaccia addosso, prendo la febbre e sto a casa una settimana… devo preparare la maturità!
- Te la faccio prendere io la maturità… “…io per un’ora d’amore venderei anche il cuoreeee...”
(ho capito bene??)
- Signora, per chi mi prende!
- Signorina! E poi sono sicura che sei entrato cento volte nel garage con la morosa per la mano… ragazzino porcellone!! – e sorride…
- Lei non ce l’ha un cuore!
- Ma io ho cu…ore grande così, caro: guarda qui… -ammicca.
(alla fine della fiera, potrò raccontarla agli amici)
(Ma anche no…)
(magari imparo qualcosa, ho certe lacune…)
- Allora? Vuoi una mano da me o continui a fare da solo come sempre? - e ridacchia.
(puzzerà di spazzatura?)
(metti che lei s’innamora e finisce come in quel film… come si chiamava… quello con la maialona che accavalla le gambe… boh, vabbè. Quello.)
- Ma io sono fidanzato…
- Beato te… stai tranquillo, io non sono gelosa e possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo, a casa non ho nessuno ad aspettarmi.
(se si viene a sapere sono fregato per tutta la vita)
(…prima vado su facebook e aggiorno il mio stato in “sconvolto”. Minchia! E se abbiamo amici in comune?)
(però, sempre meglio di andare a scuola; faccio in fretta e poi vado in motocicletta fino a pranzo)
- Va bene...
- Oh… ma bravo!
- Facciamola breve, eh…
- Dipende da te, caro…
La signorina Enza posa circospetta la ramazza dietro una siepe e ci avviamo verso il garage in fondo alla rampa.
- “chiudo gli occhi e penso a te…”
- Signorina, sono le sei, può far a meno di cantare qui in cortile?? Il Grammy glielo consegno a fine mattina.
- Chiamami Enza, tesoruccio...


Entriamo nel garage. Lei ha uno sguardo famelico, mi sento già come all’esame di maturità: le gambe tremano e vorrei dire qualcosa ma non so cosa. Chiudo la porta basculante badando a non fare il minimo rumore. Tlack! La serratura scatta. Siamo uno di fronte all’altra, in piedi: dentro il box assieme alla mia moto ci sono la macchina dei miei, la motocicletta di mio papà e cinque scaffali pieni di riviste di motociclismo degli anni settanta, ottanta e novanta. Lì, circondato dalla una copertina con il Laverda SFC, dalla prova della RG Gamma 500 e tenuto d’occhio da un articolo sulla doppietta di Spencer, sento mani pesanti sbottonarmi il giubbotto; tra dieci minuti, se non vengo colto dalla sindrome del porno attore, sarà tutto finito. Enza sussurra “mò ti faccio ricordare questo momento per sempre, ragazzino…” e proprio quando credo di avvertire due labbra elettriche avvicinarsi alle mie, sento uno scalpiccio nella scivola: qualcuno urla “Aprite! Polizia! ” e bussa violentemente alla porta del garage.


Un’ora dopo siamo in questura: io, mamma, mio papà e la signorina Enza in lacrime con le manette ai polsi, mentre su un video scorrono le immagini di una telecamera nascosta all’interno del garage di casa mia. Per la vergogna ho esaurito ogni sfumatura del rosso e ho iniziato con quelle del blu, poi passerò al giallo e alla fine imploderò come una nana bianca, sperando di essere inghiottito dal pavimento. Arriva papà e mi spiega che la signorina Enza durante la sua attività di netturbina solerte ma soprattutto generosa, adescava motociclisti adolescenti convincendoli ad avere brevi intimità nel loro garage; dopo essersi soddisfatta, li ammoniva a non raccontare a nessuno l’accaduto, minacciando di dire tutto ai genitori e di pubblicare sui social network foto compromettenti scattate di nascosto col telefonino. Brutta cosa la solitudine, aggiunge la mamma, e mi viene in mente il mio prof quando dice che se peccano i preti, siamo tutti in diritto di fare altrettanto.


L’indagine era partita da voci messe in giro su facebook da una ragazzina gelosa; era da mesi che mio papà, commissario di polizia, inseguiva questa donna cercando di beccarla con le mani nel sacco e gli serviva un’esca: ero io… ecco perché la batteria della moto era scarica. Io voglio bene a mio papà ma, cavolo, a volte esagera: mi ha comunque assicurato che farà in modo che tutti sappiano che ho contribuito all’arresto di una criminale, salvandomi così dai pettegolezzi: ne uscirò come un mezzo eroe, solo mi ha vietato di fare riferimenti a questa storia su facebook, che non gli va tanto a genio, magari un tweet piccolo piccolo… come premio, la mamma vuole regalarmi un abbonamento annuale a una palestra per farmi dimagrire un po’ e darmi la possibilità di spingere la moto senza chiedere aiuto a nessuno: stai serena mami, ho imparato la lezione; mio papà invece mi ha dato il permesso per fare un viaggio con la motocicletta quest’estate. Sarà’ il mio primo viaggio in moto, metterò dentro la prima puntando verso il mare; e poi forse è meglio sparire per un po’ dalle chiacchere dei vicini, tutti sui balconi a godersi la scena mentre la polizia ci accompagnava fuori dal garage.
 

Partirò con Elisabetta, lei sarà felicissima di fare le vacanze in moto e poi quest’estate faremo entrambi diciott’anni. La destinazione la decideremo interrotti dal vento parlando attraverso i caschi aperti, arriveremo dove ci pare, dormiremo in b&b scovati all’ultimo momento, profumeremo di sporco e di viaggio: in compenso c’è un mondo da festeggiare, da scoprire, da conquistare. Grazie, papà. Mi vengono in mente le parole del mio prof quando, sorridendo al mio motard 125 all’uscita di scuola, una volta mi esortò a intraprendere un viaggio in moto, anche piccolo, per cogliere le possibilità di sbagliare in totale autonomia.  Ma cosa vuoi che ne capisca, lui che va in giro con un Morini degli anni ’70…