Internazionali d’Italia a Ottobiano, tutto quello che non ha funzionato

Internazionali d’Italia a Ottobiano, tutto quello che non ha funzionato
Giovanni Zamagni
Al di là dell’importanza del campionato, strutture e organizzatori non sembrano in grado di gestire l’evento, non importa se di velocità o di cross
16 febbraio 2017

Sono stato a Ottobiano a vedere gli “Internazionali d’Italia” di Motocross, e mi è venuto in mente… il Mugello. Leggo sempre dei disagi ai quali sono costretti gli appassionati che si recano all'autodromo toscano a vedere il GP d’Italia, ma da “privilegiato”, da addetto ai lavori, facevo fatica a rendermi conto della situazione: con un “pass” al collo è tutto più facile. Ma se sei dall’altra parte cambia, eccome: a Ottobiano sono andato da tifoso di moto e di gare, assieme a mio figlio Leonardo di 5 anni. Non ho chiesto nessun accredito, sono andato lì domenica e ho comprato il biglietto, scoprendo quanto è difficile essere appassionato di motociclismo in generale: al di là dell’importanza del campionato, strutture e organizzatori non sembrano in grado di gestire l’evento, non importa se si tratti di velocità o di cross.

NESSUNA INDICAZIONE

La prima sorpresa, all’uscita del casello autostradale di Gropello Cairoli (PV): nessuna indicazione per il circuito di Ottobiano. D’accordo, oggi è facile arrivare a destinazione con “GPS”, “Google Maps” e “Smart Phone”, ma non tutti sono “obbligati” a essere sempre connessi: qualche cartello avrebbe agevolato gli appassionati.

PARCHEGGIO SELVAGGIO

Una volta raggiunto il circuito, ecco il problema “parcheggio”: non si sa dove poter mettere la macchina, non c’è nessuna indicazione per eventuali parcheggi a pagamento, tutto viene lasciato al caso e al buon senso delle persone. D’accordo, quando arrivo a Ottobiano sono le 13:30, quindi le gare sono già iniziate da una mezz’ora, ma mi pare impossibile possibile che non ci sia nessun addetto ad accogliere chi si vuole recare in circuito. Ci sono macchine ovunque, anche e soprattutto nei campi, nonostante il fango, con un sacco di auto bloccate da altre parcheggiate senza alcun criterio. Dove parcheggio io c’è così tanto fango che temo di far molta fatica ad uscirne: in effetti, sarà così. Quando lascio il circuito, mi “infango” facendo manovra: fortunatamente per me, ci sono delle persone che non possono uscire dal parcheggio perché bloccate da altre macchine sistemate senza senso. Spingendo in quattro, riesco a raggiungere la Statale: so per certo che dopo di me rimarranno bloccati molti altri automobilisti

40 EURO: SOLO CONTANTI

Quando raggiungo la cassa, scopro con mia sorpresa che non accettano il pagamento con il “POS”, obbligatorio per legge in tutti gli eventi pubblici. In tasca ho 39 euro e 20 centesimi, alla cassa, giustamente, non fanno sconti sui 40 euro del prezzo d’ingresso, e per fortuna che Leonardo ha 5 anni e quindi non paga. Mi lamento per la mancanza del “POS”, mi viene risposto che essendo una “cassa volante” non possono avere il collegamento, come se le macchinette “wireless” non fossero ancora state inventate. Fosse stato per me, me ne sarei già tornato a casa, ma Leonardo sogna di vedere Tony Cairoli e «le moto che saltano da tutte le parti», mi prega di trovare una soluzione. Chiedo di poter parlare con un “responsabile”, che arriva dopo una decina di minuti: mi dice che, essendo l’organizzatore un’associazione non so di che tipo, non è obbligata ad avere il “POS”. Ho qualche dubbio, dato che la manifestazione è un campionato italiano, non una gara tra scapoli e ammogliati. Discutiamo per un po’, poi, (probabilmente anche grazie al tesserino da giornalista) mi porta all’interno della struttura, mi fa fare un pagamento “fittizio” di 40 euro con il bancomat e, finalmente, posso comprarmi il biglietto.

POCHISSIMI BAGNI

Una volta dentro, la situazione è quella purtroppo nota in molti impianti sportivi italiani: i servizi pubblici sono ridotti al minimo, per fare pipì bisogna subire code lunghissime, manca qualsiasi tipo di comfort, al di là dei 40 euro pagati. Leonardo si è divertito un sacco – ed è quello che conta - ma gli “Internazionali d’Italia” meriterebbero ben altra logistica: è proprio obbligatorio che un appassionato debba soffrire?

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