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Marco è ancora una presenza quotidiana, confida Paolo Simoncelli al Corriere della Sera: quattordici anni dopo dalla morte del suo ragazzo a Sepang, nel 2011, la ferita resta aperta insieme alla memoria, alla rabbia e a un amore che non ha trovato pace. Marco non è soltanto un ricordo, continua ad abitare la casa e la vita dei genitori.
“Le ceneri sono in camera sua. Non è cambiato niente, dorme ancora lì, Marco è ancora lì anche nei sogni”.
Paolo Simoncelli non ha mai nascosto di essere arrabbiato con Dio. Doveva stare più attento, ripete: succedono cose che fanno troppo male, i genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli e la rabbia si stempera soltanto nella consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per rendere felice Marco. Faceva quello che amava, era felice.
Paolo non è ottimista sul futuro della MotoGP né su quello del suo team, il Sic58 che ha fondato nel 2013 con l’obiettivo di lanciare giovani piloti nel motociclismo. Il giorno in cui dirà basta non è tanto lontano...
“Questi americani - dichiara - mi hanno già rotto. Mirano a cambiare tutto, sembra che non vada bene niente di quello che abbiamo costruito. Vogliono togliere dai conteggi ufficiali i titoli vinti nelle categorie inferiori, contano solo quelli in MotoGP. Così mio figlio Marco, i Gresini o i Nieto sparirebbero. Vogliono cancellare la storia, ci fanno sentire inutili, per gli americani di Liberty il motociclismo non esiste. Vogliono solo lo spettacolo, ma allora che facciano un circo”.
Oggi, denuncia Simoncelli, i piloti sono influenzati dai loro manager che vogliono che i diciottenni abbiano i fisici da MotoGP: dormono e mangiano come un Marquez, vanno in palestra cinque giorni su sette quando non è necessario. E poi arrivano troppo tardi nel Motomondiale: il limite di età è stato alzato per gli incidenti mortali nel Cev, ma per lui bastava fare griglie meno affollate.
E Paolo cosa pensa, a proposito, di Marc Marquez?
“Sapevo che era il più forte, mi è sempre piaciuto, corre e pensa come mio figlio, non rinuncia mai, ci prova sempre. Se Marco non fosse morto, ci saremmo divertiti un botto. Bagnaia non era preparato a un compagno così forte: Pecco viene dal gruppo di Valentino e a forza di ascoltare tutte le cose che si dicono in quel gruppo ha sottovalutato Marquez. L’anno prima aveva perso il mondiale vincendo 11 gare, ha pensato che gli sarebbe bastato cadere meno. Ma Marc in pista è una bestia e lo ha mandato in crisi”.