Attack Performance Kawasaki: una CRT a scoppi irregolari

Attack Performance Kawasaki: una CRT a scoppi irregolari
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Il team statunitense ha modificato un propulsore della casa di Akashi per cambiarne la fasatura. Vediamo come, perché ma anche chi l’aveva già fatto
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
14 febbraio 2013

Punti chiave

 Le gare statunitensi della MotoGP potrebbero regalare qualche motivo d’interesse in più rispetto a quanto ci attendevamo. La novità del Circuit of the Americas, in Texas, da sola dovrebbe essere sufficiente a tenerci vispi ed attenti per la seconda prova del Mondiale, ma presenterà qualche motivo d’interesse anche per i più attenti agli aspetti tecnici. La vera novità è che tale motivo non dovrebbe venire da una delle MotoGP ufficiali, ma da una delle tanto deprecate CRT.

 

Il team Attack Performance Kawasaki, già partecipante lo scorso anno a Laguna Seca ed Indianapolis con Steve Rapp (in foto) alla guida della loro CRT, ha confermato la propria partecipazione alle tre gare americane 2013. Stavolta il pilota sarà Blake Young (anch’egli regular della serie AMA), ma con un mezzo profondamente rivisto rispetto a quello – ben poco veloce, per la verità – visto in pista nel 2012. Come potete vedere, o meglio sentire, da voi in questo video messo online dallo stesso preparatore statunitense, il propulsore Kawasaki ha cambiato radicalmente voce. Il timbro, ora, è quello di un motore con fasatura irregolare degli scoppi.

 

Fasatura irregolare: un po’ di storia

Pur con qualche precedente illustre, possiamo dire senza timore di smentita che la fasatura irregolare degli scoppi sia soluzione nata nel 1992 sulle Honda NSR500 a due tempi impegnate nel Motomondiale. Pur non trattandosi del primo esempio di moto con propulsore in cui la successione degli scoppi non avveniva secondo l’ordine naturale dettato dalla suddivisione regolare della rotazione dell’albero per il numero di cilindri, si è trattato sicuramente del primo caso in cui la fasatura è stata studiata per il preciso scopo di migliorare trattabilità del propulsore e grip meccanico.

Quando le NSR di Gardner e Doohan vennero accese per la prima volta, nella pitlane di Suzuka, diversi tecnici restarono basiti per il timbro “trattoresco” del V4 a due tempi, conferitole da un raggruppamento degli scoppi concentrato (a spanne, e con il beneficio d'inventario necessario per tutti i dati relativi a soluzioni usate in gare di questo livello) in 70° di rotazione dell'albero. Ricordiamoci che, trattandosi di un due tempi, i pistoni avevano una fase attiva per ogni rotazione dell’albero motore.

Alla gara successiva, dopo che le due 500 ufficiali Honda avevano mostrato una superiorità spaventosa su asciutto e bagnato in Giappone, i tecnici di Yamaha, Cagiva e Suzuki si presentarono con registratori DAT ed oscilloscopi per carpire al rumore di scarico l’esatta spaziatura degli scoppi e replicarla al più presto sui propri motori. Perché il maggior intervallo di coppia fra una salva di scoppi e la successiva, all’atto pratico, dava alla gomma posteriore più tempo per riprendere aderenza. E la Honda, di conseguenza, consumava le gomme meno degli avversari, era più trattabile nella risposta dell’acceleratore, e aveva una trazione in uscita di curva che le altre 500 si potevano solo sognare.

L'albero crossplane Yamaha
L'albero crossplane Yamaha

La fasatura Big-Bang passò di moda nelle competizioni a fine anni 90, quando la benzina verde tagliò le unghie alle strapotenti 500, gli pneumatici videro aumentare notevolmente le proprie prestazioni ed iniziarono a prendere piede i primi, rudimentali, controlli elettronici che agivano sull’anticipo per contenere le perdite d’aderenza. Ma tornò prepotentemente in auge a metà del decennio successivo, quando Yamaha, sotto la guida di Masao Furusawa, fece nascere il quadricilindrico in linea per la MotoGP che ha portato Valentino Rossi alla vittoria nel 2004. Prima o dopo, tutti gli avversari – sia chi correva con un V4, più semplice da fasare in maniera irregolare, sia chi schierava motori in linea come la M1 – si convertirono alla fasatura Big Bang. Fasatura che nel 2009 ebbe il suo primo sbocco stradale sulla rivoluzionaria Yamaha R1 con albero a croce.

 

Come funziona un motore Big Bang?

Il senso dell’operazione, dicevamo, è quello di modificare la frequenza delle fasi di scoppio (o più propriamente di combustione) e dunque le relative pulsazioni di potenza del motore.

Invece di spaziarle in maniera equidistante, le si ravvicina o raggruppa a seconda delle esigenze. Su un quattro tempi quadricilindrico in linea tradizionale i pistoni salgono e scendono appaiati – generalmente con coppie composte da interni ed esterni. Quando i pistoni 1 e 4 sono al PMS il 2 e il 3 sono al PMI. Ma le coppie di cilindri non scoppiano allo stesso tempo, essendo sfasati di 360 gradi – ricordiamoci che in un motore a quattro tempi ogni cilindro ha una fase attiva ogni 720° di rotazione dell’albero motore. Su un quattro cilindri in linea solo due cilindri scoppiano ogni rotazione completa dell’albero motore.

Per capirci meglio, prendendo in considerazione i due pistoni che effettuano la stessa corsa, quando il pistone uno è al culmine della compressione, il quattro è al termine della corsa di scarico. Il cilindro uno ha le valvole chiuse, la miscela aria/benzina compressa nella camera di scoppio e la candela che sta per far scoccare la scintilla. Il cilindro quattro ha le valvole di scarico aperte, e il pistone sta spingendo i gas combusti durante la fase precedente nei condotti di scarico.

Yamaha ha scelto di sfalsare i perni di 90°, dando all’albero motore un aspetto – nella vista laterale – appunto di una croce. Gli scoppi sono raggruppati approssimativamente in due fasi: invece di avere una sequenza in cui ogni scoppio è separato di 180°, la R1 stradale (e presumibilmente la M1 MotoGP, anche se in quel caso siamo naturalmente nel campo delle ipotesi) ha una sequenza 0-270-180-90°. Una soluzione che porta a notevoli benefici sull’erogazione, ma anche a problemi non banali di vibrazioni ed equilibratura del propulsore, e dunque facilmente definibile come fuori portata per i comuni mortali.

I costi di realizzazione (in serie oltretutto molto limitate) dei diversi alberi motore necessari per le prove da soli porterebbero un propulsore CRT a sforare largamente il prezzo a cui il team potrebbe essere costretto a venderlo, fissato per regolamento in 20.000€. Inoltre, come è possibile che un preparatore, per quanto esperto, possa sviluppare un propulsore dalle problematiche tanto complesse partendo da un motore di serie?

 

Attack Kawasaki: il trucco c’è

Ma non si vede, almeno da fuori. Si sente, invece. Se ascoltate con attenzione il video sopra proposto noterete che il rumore della CRT californiana è leggermente diverso rispetto a quello delle Yamaha MotoGP e Superbike. La voce assomiglia a quella di un bicilindrico parallelo fasato regolare. E la memoria, per chi a suo tempo seguiva anche le serie nazionali Superbike, corre ad un esperimento condotto nell’ormai lontano 2005 dal team Yamaha Virgin nel campionato britannico. All’epoca la R1 con albero crossplane era di là da venire, pur se la possibilità di ottenere una fasatura big-bang (o near-bang, come si preferisce definirla a volte) anche su un quattro cilindri in linea senza che il motore venisse distrutto dalle vibrazioni nel volgere di pochi giri era già stata provata nella fattibilità dalla M1 campione del mondo.

Il regolamento Superbike non consentiva di agire sull’albero motore, ma lasciava mani libere sull’asse a camme, ed è qui che i tecnici britannici trovarono l’escamotage

Il regolamento Superbike non consentiva di cambiare l’albero motore, ma ha sempre lasciato mani liberissime relativamente all’asse a camme, ed è qui che i tecnici britannici trovarono l’escamotage. Cambiando la fasatura dell’asse a camme su un quattro in linea a fasatura regolare, invece che aprire le valvole di aspirazione del cilindro uno e poi attendere 360° di giro dell’albero motore per aprire quelle del cilindro quattro, le si possono aprire insieme, facendo lo stesso per le valvole di scarico. Dopodiché basta accordare attraverso una centralina programmata ad hoc il sistema di accensione/iniezione per far produrre al motore due pulsazioni di coppia (determinate ciascuna dallo scoppio simultaneo di due cilindri) per ogni due giri dell’albero motore invece delle quattro di un motore convenzionale. Sostanzialmente, i cilindri così facendo scoppiano a due a due.

L'R1 così modificata venne usata relativamente poco per problemi di affidabilità. Così facendo, infatti, il motore resta fisicamente equilibrato (le due coppie di pistoni si muovono alternate bilanciandosi a vicenda) ma le pulsazioni di coppia ora avvengono simultaneamente a due a due, causando un maggior stress sull’albero motore. Abbastanza per rendere la soluzione impraticabile da un preparatore che lavorasse su un mezzo stradale, ma probabilmente nulla che scoraggi chi sta allestendo una CRT per completare i 120 chilometri circa di una gara della MotoGP. Non abbiamo informazioni precise in merito, ma ci sentiamo sicuri nell'ipotizzare l'utilizzo della stessa soluzione da parte della squadra californiana per ottenere la fasatura big-bang dal propulsore ZX-10R.

Giù il cappello per il team Attack Performance. La loro moto non girerà certamente più vicina alle ufficiali di quanto non faranno le altre CRT, e forse non avvicinerà nemmeno le ART più veloci. Ma è bello vedere che una formula tanto poco utile nello spettacolo dia la possibilità, in un momento di regolamenti sempre più restrittivi e fuori portata per l’iniziativa privata, di esprimersi a chi è dotato di inventiva e risorse.

 

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