Nico Cereghini racconta gli anni Ottanta. Quarta puntata, le "Dakariane"

Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Quarto appuntamento con i fantastici anni Ottanta. Un decennio che ha dato molto alla moto di serie e alle competizioni. Questa puntata è dedicata alle enduro stradali che la Parigi-Dakar ha contribuito a diffondere. Dalle 125 alle grosse bicilindriche | N. Cereghini
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  • di Nico Cereghini
10 luglio 2014

Punti chiave

Uno dei simboli più entusiasmanti degli anni Ottanta è certamente la Parigi-Dakar. L’avventura piace, ci sono programmi televisivi specifici, si sognano grandi viaggi. E quelli che amano il fuoristrada ora hanno un vero mito: migliaia di chilometri nel deserto, la gara off-road più lunga e difficile del mondo. Sulla scia di questo fenomeno, si affermano sul mercato i modelli enduro di ogni cilindrata. E le 125 sono le regine del mercato.

E’ la Cagiva che batte tutti sul tempo: la sua WSXT 125, meglio conosciuta come Aletta Rossa, è nell’83 la prima enduro per i sedicenni. Rossa con la sella nera o nera con sella rossa, motore a liquido e lamellare, 15 cavalli, una bella ciclistica e buone finiture. E’ un grande successo, e poi l’evoluzione: con le varie Elefant ispirate alla Dakar e sempre più adatte al fuoristrada, la Cruiser dell’87 con il motore della C9 e il telaio in tubi quadri, la Tamanaco che celebra la livrea dello sponsor sul rally e infine la N90 che anticipa il decennio successivo.

Aprilia Tuareg Wind, 1987
Aprilia Tuareg Wind, 1987

Gilera e Aprilia seguono a ruota. La RX 125 è dell’84 e segna una svolta per la casa di Arcore: tecnologica e di qualità, ha anche il contralbero per il monocilindrico a due tempi e un’ottima ciclistica. Ha diciotto cavalli, va forte, diventa subito il top. Poi arriverà l’Arizona vestita all’africana, la RTX con il telaio in tubi quadri, la ER 125 che sfiora i 22 cavalli nell’87. L’anno dopo, con la FastBike, la Gilera inaugura il genere delle supermotard, però senza quel successo che arriva, invece, per la RC Rally dell’88: potentissima, oltre 24 cavalli, e di grande personalità nella guida off-road. Due anni dopo diventa R1, che chiude il ciclo con le sue linee modaiole e il doppio faro per il cupolino.

L’Aprilia invece parte un po’ in ritardo e dal 50: la ET di fine ’83 è la sua prima enduro moderna, seguita dalla Tuareg 50 con il serbatoio grosso da 18 litri. La prima 125 è questa dell’85 e si chiama ETX, ha una bella linea, il telaio in tubi quadri d’acciaio e per la prima volta compare il motore austriaco Rotax, per ora senza valvola allo scarico. Seguono la Tuareg dell’85 con la valvola Rave e il serbatoio grosso, modello che poi diventa Tuareg Wind. Sono 125 bellissime, quelle di Noale, e le colorazioni brillanti e vivaci fanno felici i ragazzi degli anni Ottanta. Nell’89 arriverà la Pegaso 125, la moda della Dakar sta calando e si cercano moto più eclettiche e valide sull’asfalto.

E poi, restando sulla 125, bisogna ricordare almeno la Garelli e il suo Tiger 125, Ancillotti e Accossato, AIM, la Fantic Motor con il suo RSX dell’83, la Guzzi e la Benelli con i TT, e naturalmente la SWM che come la Gori è purtroppo agli ultimi anni di attività.

E al centro c’è già la Honda, questa è la bella MTX-R, che arriva solo nell’86 ma sbanca: è al 95 per 100 una moto italiana, ha un gran motore (è quello della NS-F stradale, addolcito nell’erogazione) e poi ciclistica e plastiche sono su un livello superiore.
 

Off-road, negli Ottanta, non è soltanto Dakar. Nel motocross arrivano gli americani. Danny La Porte, Bailey, Johnson e O’Mara. Finalmente un pilota italiano conquista il titolo del cross: è il grande Michele Rinaldi, nell’84

Ma off-road, negli Ottanta, non è soltanto Dakar. Nel motocross arrivano gli americani, qualcuno vincente nel mondiale e veri dominatori del cross delle Nazioni dall’81 e fino al 1993 addirittura. Danny La Porte, ma anche Bailey, Johnson e O’Mara. Ma finalmente un pilota italiano conquista il titolo del cross: è il grande Michele Rinaldi, con la Suzuki RM 125 nell’84; poi sarà Alex Puzar a vincere, la 250 nel ’90. Ha lasciato una traccia importante anche la Gilera 125 bicilindrica da 36 cavalli progettata da Witteveen, che con Perfini sfiorò vittorie mondiali prima dello stop col nuovo regolamento. I piloti più famosi dell’epoca sono Eric Geboers, il primo a fare tripletta nelle tre classi iridate, Jobè, Bayle, Harry Everts, Vekhonen e Strijbos campioni della Cagiva, Parker, Andrè Malherbe e Dave Thorpe.

Gente che vince a raffica. E nell’Enduro, che ha perso la sua definizione originale di Regolarità e il mondiale ancora non esiste, i campionati Europei sono dominati dai piloti italiani. Basta dire che la squadra italiana vince quattro volte la Sei Giorni negli anni Ottanta (come del resto capiterà nei Novanta) e i nostri fenomeni si chiamano Perego, Brissoni, Gagni, Signorelli, Muraglia e Passeri, Marinoni, Trulli, Gualdi, Gritti, Taiocchi, Andreini, Croci ed altri ancora. La nostra è una grande scuola che presto darà i suoi frutti anche nella Parigi-Dakar.

Il Rally africano va in tivù a metà degli anni Ottanta ma gli appassionati ne parlano già da anni. Dopo i due primi successi di Cyril Neveu con la Yamaha XT, nell’81 era arrivata la fortissima BMW bicilindrica, prima con Hubert Auriol e con il crossista belga Gaston Rahier. L’italiano più famoso era Franco Picco sulla Yamaha. Io ci andai per le reti Mediaset la prima volta nell’86, quando il fondatore Sabine si uccise con l’elicottero e Neveu tornava alla vittoria con la Honda V2. Trovai una gara discussa, piena di contraddizioni, però anche affascinante da raccontare, e ho avuto la fortuna di vivere il primo successo di un italiano, Edi Orioli, e poi la sfida della Cagiva che alla fine del decennio la spuntò, sempre con il friulano. Erano tempi speciali, ricchi di entusiasmo e anche di sponsor: noi si arrivò a fare un’ora di programmi originali al giorno, con una decina di inviati tra giornalisti e cameramen. Chi li fa più, prodotti televisivi così?
 

La BMW R80GS Paris-Dakar, 1984
La BMW R80GS Paris-Dakar, 1984

E sulla spinta della passione arrivano decine di grosse enduro sempre più spettacolari. A cominciare proprio dalla BMW del 1980. La capostipite è lei, la R 80 G ”barra” S, una bicilindrica da 167 chili che pareva troppo grossa per l’off-road, e troppo originale con il forcellone monobraccio e la ruota a sbalzo. Invece si affermò in fretta per i suoi 50 cavalli a 6.500 giri e l’equilibrio generale. Andar forte sulla sabbia non era mai stato così facile. Dell’84 è la versione celebrativa Paris-Dakar con il serbatoio da 32 litri e la sella monoposto, dall’87 fu GS 80 senza la barra e molto più stradale, poi arrivarono le R 800 e 1000 GS con il paralever posteriore e telaio allungato; e dall’89, a chiudere il ciclo del boxer a due valvole, questa Parigi-Dakar bianca-rossa con il cupolino.

I Giapponesi non stavano a dormire. Noi qui dobbiamo purtroppo trascurare le piccole e medie enduro a due e quattro tempi perché sono tantissime. Ci limiteremo ai modelli di punta e la Honda fu la più sveglia di tutte: dalle prime gloriose monocilindriche XL/XR 500 dell’81 passa presto a progetti ben più ambiziosi: le mono crescono di numero, di cilindrate e di modelli fino alla raffinata XL 600 RM con l’avviamento elettrico dell’87, alla grintosissima XR 600R dell’anno dopo e infine alla 650 Dominator che aprirà una nuova frontiera. E però Honda pensa alla bicilindrica: la prima è questa XLV 750R dell’83, con il motore a V stretto di 45° da quasi 70 cavalli e con il cardano; una moto pesante e scarsa di freni, curata, ma poco diffusa. Poi, nell’87, le due nuove splendide generazioni: quella più stradale della 600 Transalp e quella ben più ricca di personalità dell’Africa Twin, forse la Honda più amata in Italia. Con il motore a V di 52° della Transalp maggiorato a 650, monoalbero raffreddato a liquido e con tre valvole per cilindro. Quasi 190 chili per 180 orari, una guida bellissima, e l’evoluzione a 750 tre anni dopo.
 

Honda Africa Twin 650, 1988
Honda Africa Twin 650, 1988

Yamaha, che già nel ’76 era uscita con la mitica XT 500, in anticipo su tutti, in una prima fase si accontenta di evolvere questo modello: diventa 550 con la sospensione monocross nell’82, e XT 600 (base oppure "Z", la Ténéré, con 30 litri nel serbatoio) l’anno dopo, in simultanea con la versione TT destinata ai fuoristradisti più preparati, con il motore monoalbero 4 valvole da 45 cavalli, 124 chili di peso e la forcella da 43. Poi, alla fine del decennio, per contrastare l’Africa Twin ecco arrivare la XT 750 Supertenerè, la bicilindrica da 69 cavalli a 7.500 giri, i cilindri paralleli raffreddati a liquido e molto inclinati in avanti come sulla 750 FZ. Bella moto da turismo totale, come si comincia a dire allora, e di grande personalità.

Suzuki e Kawasaki restano un po’ indietro. La prima mette in pensione le sue enduro due tempi quando presenta la DR 400 e poi 500, mono 4T e quattro valvole di belle prestazioni ma di scarso appeal. Incontra il successo la DR 600S dell’85, anche in versione Djebel con serbatoio maggiorato a 21 litri: ha 43 cavalli, raffreddamento SACS e una bella forcella Kayaba. Nell’88 ecco la DR 750 Big, la più grossa mono del mondo e con due carburatori, 52 cavalli a 6.500 giri, grande autonomia e quel becco particolare. La Kawasaki soltanto nell’84 importa in Italia la sua prima vera enduro, la bella KLR 600 da 42 cavalli, con il motore monoalbero 4 valvole raffreddato a liquido che diventa 650 tre anni più tardi. Disponibile anche in versione economica di 570cc.

Ma tra le grosse enduro degli anni Ottanta ci sono anche molte belle moto italiane. Prima tra tutte la Cagiva Elefant che nasce piccola, cresce di cilindrata e arriva al top con la bellissima Elefant 750 dell’87: motore bicilindrico desmo Ducati 748 da 80 cavalli, oltre 180 chilometri orari. Pesante e impegnativa, però molto vicina alle moto ufficiali della Dakar. A Varese si erano fatti una bella esperienza con le due tempi SX ed RX, poi con l’Ala Rossa 350 scrambler a quattro tempi dell’82 e più avanti con la T4 350 anche in versione R. La Elefant è anche 650, 350, e salirà a 900 alla fine del decennio per celebrare le imprese di Orioli e De Petri alla Dakar. Vi faccio una confidenza: al primo anno con la Cagiva (1989) Edi, che veniva dalla Honda, era disperato: moto pesante e inguidabile, cambio che si rompeva a ripetizione. Dall’Italia arrivavano di nascosto motori di scorta che venivano imboscati lungo le tappe successive. Orioli finì settimo, però già l’anno dopo, con tutto l’entusiasmo che seppero mettere in campo i fratelloni Castiglioni, la Cagiva trionfava.

Naturalmente, anche Aprilia e Gilera si danno da fare. La Gilera Dakota dell’87, 350/500 con il nuovo motore bialbero 4 valvole da 30 e 44 cavalli, è un pezzo pregiato come la Rally 250 a due tempi da 40 cavalli. Dalle Dakota derivano le XRT più rallistiche e con il becco, e nell’89 arriva la famosa RC 600 con la quale Medardo e Mandelli vanno ufficialmente alla Dakar; il modello di serie vanta 47 cavalli, pesa 147 chili e fila a 165. Per l’Aprilia basta dire Tuareg: le due ammiraglie, la 350 e la 600 Wind di fine decennio, sono tra le più belle monocilindriche mai fatte: 33 e 46 cavalli di potenza, 150 e 165 all’ora, linee e colori di riferimento per l’epoca. Anche a Noale c’era una 250 Rally, dall’85: una bella due tempi da ben 45 cavalli e di poco superiore ai 100 chili a secco.

Tutto questo per dire solo delle moto principali. E vanno almeno citate, tra le tante altre, le bicilindriche Morini Camel 500 e Kanguro 350, e le Guzzi V35 TT e poi NTX 650 e 750, la SWM monocilindrica XN 350/500, la Beta GS 350. Lo spazio è finito e la quarta puntata degli anni Ottanta finisce qui.

Alla prossima!

Guarda la prima puntata dedicata agli anni Ottanta: Un decennio fantastico
Guarda la seconda puntata dedicata agli anni Ottanta: Le 125 sportive
Guarda la terza puntata dedicata agli anni Ottanta: Le Super sportive