Brivio: “Iannone e Suzuki erano abituati a ben altri risultati”

Brivio: “Iannone e Suzuki erano abituati a ben altri risultati”
Giovanni Zamagni
Il team manager della Suzuki MotoGP spiega perché non funziona il matrimonio con Iannone: “Sapevamo dall’inizio che ci sarebbe voluto un periodo di adattamento". Davide ammette: “Con Viñales, lotteremmo per il podio, ma lo farebbe anche Iannone con la Ducati. La situazione è difficile, ma ne usciremo”
4 ottobre 2017

Iannone-Suzuki: è il fallimento del 2017. Senza ombra di dubbio. Perlomeno fino ad oggi. Perché? Colpa di una moto poco competitiva o del pilota? Difficile dare una risposta, perché, per diversi motivi, non c’è un paragone significativo con il compagno di squadra: Alex Rins è un giovane molto promettente, ma gli infortuni ne hanno compromesso la stagione. Sicuramente, Andrea ha le sue colpe: anche se lui continua a ripetere di impegnarsi al 100% - lo ha fatto anche recentemente su uno dei suoi social, senza peraltro nominare mai la Suzuki -, a volte i suoi atteggiamenti all’interno del box hanno lasciato quanto meno perplessi. Le colpe,però, le ha anche la Casa giapponese: le evoluzioni 2017 non sembrano aver portato i benefici sperati. Cosa ne pensa il team manager Davide Brivio? Vediamo.


Davide, partiamo da questa considerazione: nel 2016, presi singolarmente, pilota (Iannone) e moto (Suzuki) erano vincenti o, quanto meno, molto competitivi; insieme, però, stanno formando una combinazione disastrosa: qual è la tua valutazione?

«E’ vero, presi singolarmente erano entrambi di un altro livello: c’erano tutti gli ingredienti per fare bene. Per questo dico che non si stanno esprimendo né il potenziale della Suzuki né quello di Andrea Iannone: gli ingredienti ci sono, ma non siamo ancora riusciti a “cucinarli” bene».


Qual è la tua spiegazione?

«Credo ci sia ancora una fase di adattamento di Andrea a questa moto: lui arriva da un mondo completamente diverso. Io penso che sia così, confortato dal passato: chi passa dalla moto italiana (Ducati, NDA) alla giapponese, e viceversa, ha bisogno di un periodo di adattamento più o meno lungo e complicato. E’ successo anche a Lorenzo: sta lavorando molto e adesso sembra essersi “adattato” e pronto a cogliere dei risultati. Ma sono passate 14 gare, e ancora non si esprime ai livelli ai quali era abituato nei precedenti nove anni di MotoGP, quando era sempre stato in lotta per il mondiale. Non dimentichiamo anche Rossi, quando è tornato in Yamaha dopo due anni di Ducati: nel 2013, nonostante avesse già corso con la M1 per sette anni, c’è voluta tutta la stagione per tornare a lottare regolarmente per il podio. Ne abbiamo parlato anche con Andrea a inizio stagione: c’è un lavoro di adattamento da fare. Ci eravamo detti: ci potrebbero volere 3 gare, 6, 9, tutto un anno, non lo sappiamo, ma dobbiamo fare questo percorso. Noi, come Suzuki, stiamo cercando di venire incontro alle sue richieste, proviamo ad adattare il più possibile la moto ad Andrea. E poi c’è un lavoro che deve fare anche lui - e che sta facendo, ci sta provando -. Stiamo lavorando sull’elettronica, la stiamo migliorando».


La Suzuki è probabilmente la MotoGP meno cambiata rispetto al 2016: è così? Gli avversari sono cresciuti molto di più?

«Forse solo il pacchetto Ducati ha fatto un bel salto in avanti rispetto all’anno scorso. Honda e Yamaha hanno migliorato, ma questi progetti sono tutti affinamenti, non ci sono mai differenze rivoluzionarie. Ed è difficilissimo progredire, come del resto confermano i telai della Yamaha, o il tempo impiegato dalla Honda per capire come migliorare il suo motore. Anche noi abbiamo portato dei telai leggermente differenti, ma è difficilissimo capire quale la faccia veramente, questa differenza. Tutte le moto che vediamo in pista sono delle evoluzioni di progetti già esistenti: io non credo che noi siamo rimasti fermi e gli altri abbiano fatto grandi passi in avanti».
 


Quindi, se il pilota fosse ancora Viñales, la Suzuki lotterebbe anche nel 2017 per il podio?

«Sì. Ma c’è una spiegazione: con Maverick abbiamo fatto un percorso di due anni, lui e noi siamo cresciuti insieme in MotoGP. Noi abbiamo fatto la moto su di lui e lui stava imparando a conoscere la MotoGP con la Suzuki, e quest’anno avremmo raccolto i frutti di quel lavoro: saremmo stati pronti per continuare il lavoro iniziato nel 2016. Però va detta anche un’altra cosa».


Quale?

«Onestamente, bisogna dire che se Iannone fosse rimasto in Ducati, probabilmente, avrebbe potuto fare meglio».


Visto da fuori, Andrea è sembrato un po’ demotivato, quasi svogliato, e lui stesso ha detto che fa fatica ad accettare questa situazione: fino all’anno scorso veniva ai GP con l’obiettivo di vincere, oggi per entrare al massimo nei dieci… E’ così, è demotivato?

«Lui non riesce ancora a sfruttare questa moto, non la sente sua, non ci può fare quello che vuole: quando non hai questo feeling, puoi perdere un decimo o due a ogni curva. E’ un attimo. Quando lo trovi ti avvicini, ma quando non ce l’hai, salta tutto: non freni bene, non curvi bene, niente ti viene naturale».


Ti aspettavi un impegno maggiore?

«Nel box si lavora, ma la motivazione è importante. Ed è difficile rimanere sempre motivati quando i risultati non arrivano, quando non riesci a fare delle cose. Anche il team fa fatica, è difficile mantenere motivati i ragazzi quando i risultati non arrivano. E’ una situazione difficile per entrambi: sia il pilota sia il team erano abituati ad altri risultati. Adesso lavoriamo, facciamo test, ci impegniamo, ma non riusciamo a migliorare: è dura tenere alta la motivazione. Ma è in questi momenti che si vede la forza di una squadra».
 


Hai il timore di non uscire da questa situazione?

«Esagererei a dire che sono sicuro che ne usciremo, però sono convinto che ne usciremo. C’è un periodo di adattamento che, prima o poi, deve finire. In questi casi, basta una scintilla, una gara che ti viene bene, per cambiare tutto».


Io però faccio fatica a spiegare la competitività del Qatar – lì Andrea andava veramente forte, con la stessa moto – e quanto accaduto dopo.

«Ce lo siamo chiesti anche noi. E non solo in Qatar siamo stati competitivi: anche in Argentina e in Texas, al di là del risultato finale, eravamo forti sul passo gara, non tanto da poter vincere, ma piazzarsi nelle prime 5 o 6 posizioni. Da lì in poi le cose sono peggiorate, ma non so dire perché».


Torno alla domanda iniziale: non è che dopo le prime tre gare i rivali si siano messi a posto meglio e siano cresciuti?

«No, secondo me no: perlomeno, non così tanto da ridurre la Suzuki a faticare a entrare nei dieci, quando nelle prime tre gare potevamo inserirci nelle prime 5, 6 posizioni».

 

C’è mai stata la possibilità, o anche solo il pensiero, di interrompere prima il contratto?

«No».


Perché non c’è un’alternativa?

«No, non è per questo. Abbiamo un contratto di due anni con Iannone e Rins, e vogliamo continuare questo lavoro. Noi e la Suzuki ragioniamo così»