Le donne dei campioni Motocross USA: Lori Lackey

Le donne dei campioni Motocross USA: Lori Lackey
Massimo Zanzani
Le mogli di Lechien Lackey, Laporte e Smith hanno ripercorso in una serie di quattro divertenti interviste la vita trascorsa a fianco di questi mitici eroi che hanno scritto esaltanti pagine di storia di Motocross | M. Zanzani
24 gennaio 2013


Chi è Brad Lackey

Nato a Berkeley, California, l’8 luglio 1953, a partire dai primissimi anni 70 il barbuto Brad Lackey ha rappresentato per oltre un ventennio il motocross statunitense, e non a caso figura a pieno merito nella famosa AMA Motorcycle Hall of Fame.
Brad iniziò a guidare una moto da fuoristrada all’età di nove anni, iniziò a correre a 13 e nel 1972 si aggiudicò il campionato nazionale di motocross AMA 500, in sella ad una Kawasaki. Nella sua lunga carriera guidò anche CZ – che nel ’71 lo spedì in Cecoslovacchia ad allenarsi, e nel frattempo lo iscrisse ad una gara del Mondiale 250 – Husqvarna, Honda e Suzuki: proprio con quest’ultima Casa, nel 1982, fu il primo pilota americano a vincere il Campionato Mondiale della classe regina, battendo quei mostri sacri europei coi quali aveva già imparato a confrontarsi nelle gare Inter-Am e Trans-AMA: «Gli europei ci insegnarono ad allenarci molto più duramente e seriamente» raccontò allora «ed io me la sono davvero presa a cuore…».

Dalla CZ, nel ’74 Brad passò all’allora svedese Husqvarna, e subito ottenne lusinghieri risultati, tanto da stupire subito gli europei conquistando il secondo posto con la squadra U.S.A. al Trofeo delle Nazioni, dimostrando che i piloti statunitensi stavano imparando in fretta. Tre anni più tardi, nel ’77, venne ingaggiato dalla Honda e vinse il suo primo GP della 500, in Inghilterra. L’anno dopo fu secondo alle spalle dell’asso finlandese Heikki Mikkola, e nel ’79 tornò in Kawasaki per sviluppare una nuova moto, ma senza combinare granché.
Brad Lackey su Husqvarna
Brad Lackey su Husqvarna

Così nell’81 passò alla Suzuki, che stava rientrando nella massima categoria dopo averla dominata a lungo nella prima metà del decennio precedente. Anche qui Brad si trovò a sviluppare una moto completamente nuova, ma stavolta le cose andarono per il verso giusto: l’anno successivo la moto era perfetta, e l’americano, come già detto, dopo dieci anni di tentativi finalmente si aggiudicò l’agognato titolo, facendo coppia con il connazionale Danny LaPorte, che vinse il Mondiale 250: erano i due primi piloti iridati statunitensi! Dopodiché, Lackey si ritirò, proprio quando era al top.

Considerato come outsider all’inizio della sua carriera, figlio dell’era “Flower Power” che aleggiava particolarmente vivace nella baia di San Francisco, Brad Lackey, che in effetti si considerava una sorta di hippy – non a caso, durante la guerra in Vietnam, correva con una colomba (finta, naturalmente) fissata sul manubrio – si era laureato come uno dei più forti piloti motociclisti del suo Paese.

Dopo il suo ritiro dalle competizioni, l’asso americano iniziò ad occuparsi di pubblicazioni e video sulla pratica del motocross, e attualmente gestisce anche la sua azienda di abbigliamento. Senza naturalmente farsi mancare qualche divertente gara vintage tra vecchie glorie.


L'intervista alla moglie Lori Lackey


Quali sono i ricordi più brutti e più belli della tua esperienza di vita in Europa?
« Io e Brad siamo assieme da quando avevo quindici anni e lui sedici, un sacco di tempo. E' stata una lunga carriera, dopo un paio di anni che stavamo assieme ha vinto il National e ottenne dalla Kawasaki il supporto per correre i GP e ha deciso di partire per l’Europa perché sapeva che allora i piloti più forti erano lì. Ha voluto che andassi con lui e l’ho seguito anche se i miei genitori volevano mandarmi al College. Siamo rimasti per dieci anni, prima che nel 1982 vincesse il Mondiale. Aveva un desiderio pazzesco di realizzare questo sogno, e questa è stata la parte migliore, vederlo così forte e determinato. Un'altra cosa bellissima è che ci siamo fatti molti amici, soprattutto in Belgio e in Francia, che per noi sono stati come una seconda famiglia».

 
E la cosa peggiore?
«C'era il lato bello e quello brutto, in tutto, ma la cosa più difficile è stato essere lontani da casa, così tanti anni lontani dalle nostre famiglie. Eravamo soli qui, senza nessun sostegno, e con le difficoltà della lingua perché l’inglese non era parlato da molti, ora è decisamente meglio. E’ stata dura ma ce l'abbiamo fatta».


Il bello e il brutto di essere la moglie di un così grande campione?
«La cosa peggiore è probabilmente che devi essere una persona che si adatta facilmente, non puoi essere rigida e devi essere calma e forte, in certi momenti è difficile tenere la bocca chiusa e sorridere».

 

Io e Brad eravamo come una squadra, lui aveva un sogno e abbiamo deciso che era quello che volevamo realizzare insieme

La parte migliore invece?
«La nostra unione, io e Brad eravamo come una squadra, lui aveva un sogno e abbiamo deciso che era quello che volevamo realizzare insieme, così ero molto felice anch'io nel vedere lui felice delle sue vittorie, e se lui non era felice non lo ero nemmeno io, abbiamo condiviso tutto».

 
Quanto è stato importante per lui averti al suo fianco durante la carriera?
«Era importante allora quanto adesso, se non fossi venuta con lui forse neanche lui sarebbe andato via. Ci siamo abituati a questo, è il nostro ritmo di vita: tu vai, io vado. A patto che volesse fare qualcosa di importante, io ero lì a sostenerlo, e lui è sempre stato lì per me».


Come è cambiato da quando ha smesso di correre?
«E' cambiato molto. Prima era molto concentrato, dedito al cento per cento a quello che stava facendo, adesso non è più così fissato e nel nostro lavoro di stampa per maglie è più rilassato, trova soluzioni alternative mentre prima era rigidissimo».


Hai sacrificato qualcosa della tua vita per seguirlo?
«Il mio rimpianto più grande è non aver completato gli studi, mi sarebbe piaciuto frequentare l'università ma non l'ho fatto. Sento però che ho avuto molto di più anche senza andare all'università, alla fine il motocross è stato anche per me una scuola di vita. Alcune mie compagne delle primarie sono rimaste tutta la vita nella stessa città, probabilmente non hanno nemmeno mai varcato i confini della California, mentre noi abbiamo avuto possibilità di vedere il mondo, ed è stata una bella formazione».


La parte più bella e più brutta invece di quando Brad correva?
«La prima era che la sua enorme passione e dedizione gli aveva permesso di mettere assieme un buon team, di avere un buon meccanico e un buon preparatore perché sapeva come combinare tutto, come gestire le persone intorno a lui che lo aiutavano. Non tutti hanno questa capacità, si circondano di gente che a volte non è quella  giuste e rende le cose più difficili. Brad è stato molto intelligente in questo. La parte peggiore, direi è che non aveva molta pazienza con i giornalisti, perché era l'unico americano e stava spesso sulla difensiva, si sentiva come se lui fosse il più piccolo e se la prendessero tutti con lui, e se scrivevano qualcosa che non gli piaceva si arrabbiava molto».

 

Brad Lackey
Brad Lackey

E la parte più bella e più brutta di adesso?
«Sono solo belle, brutte non ce ne sono. Beh, sai una moglie ha sempre le sue piccole cose, ma ci sono molte cose belle, siamo sposati da 37 anni e siamo insieme da 42, non stai con qualcuno così tanto se pensi che abbia troppi lati negativi».

 
Il suo più grande errore?
«Non saprei, magari io ho un'idea e lui ne ha un'altra. Forse quello di lasciare la Honda ufficiale con la quale correva nel ‘78 un anno troppo presto, se fosse rimasto con loro senza andare Kawasaki sarebbe diventato campione molto prima».


Perché se andò?
«Kawasaki lo rivoleva a tutti i costi, gli offrì un buon contratto e non poté dire di no anche perché la Honda era una buona moto ma lui non era contento perché non gli davano il sostegno che avrebbe voluto. Il problema è che andò alla Kawasaki proprio nell’anno in cui la moto era terribile».


Ma è meglio il Brad di quei tempi o quello di oggi?
«Quello di oggi, ora la sua preoccupazione è avere una bella vita con la famiglia, è più rilassato e ci godiamo di più la vita. Prima era concentrato sul raggiungere una sola cosa: la vittoria. Era quello che si era promesso quando era un ragazzino, voleva quello e non si sarebbe fermato finché non fosse riuscito ad ottenerlo».


Sei stata brava anche tu, capace di rimanere al suo fianco.
«E' stato difficile, anche se un po’ mi ha aiutato il fatto che quando ero piccola mio padre ha portato tutta la famiglia a vivere in Danimarca per cinque anni. Durante quel periodo abbiamo viaggiato ovunque: Europa, Italia, Francia, per me quindi è stato abbastanza normale e sono stata felice di tornare a fare un’altra esperienza simile».