Dakar VS Africa Race. Parlano i privati

Spenti i motori, abbiamo intervistato Gallizia (moto) e Dominella (auto), i due italiani in gara nei due rally. L'Africa torna protagonista nei sogni dei privati
6 febbraio 2009


Rally Dakar VS Africa Race. Chi ha vinto?
Gli amanti dei rally e delle corse in moto nel deserto hanno passato le fredde giornate di gennaio a rincorrere i risultati e gli eventi - talora drammatici - che hanno avuto per protagoniste due gare: il Rally Dakar organizzato da ASO in Argentina e Cile da una parte, e l'Africa Race di Hubert Auriol dall'altra.

La Dakar ha visto la partecipazione massiccia di tutti i principali team a 2 e 4 ruote. Oltre 200 motociclisti vi hanno preso parte, a garanzia di uno spettacolo - sulla carta - senza eguali.
L'Africa Race, che era alla sua prima edizione pur ricalcando le tappe che hanno fatto la storia della Parigi-Dakar, ha visto solo 8 motociclisti al via.

Un disastro annunciato, direte voi. E invece così non è stato. La conferma arriva dalle parole di Maurizio Dominella (Dakar) e di Michele Gallizia (Africa Race), i due piloti italiani che hanno preso parte alle due competizioni in forma strettamente privata. Il primo ha corso in auto, ma ci descrive dal campo di gara le difficoltà incontrate dei motociclisti in Argentina e Cile.
Dalla loro esperienza diretta si apprende che la Dakar è stata realizzata e gestita a misura di piloti ufficiali, lasciando spesso in grossa difficoltà l'esercito di piloti amatoriali desiderosi di cimentarsi con le difficoltà di un rally internazionale. Deprecabile è stato ad esempio il ritardo con cui ASO si è messa alla ricerca del francese Terry Pascal, trovato morto a 15 metri dalla sua moto dopo due giorni.

Sul versante opposto, in Africa, la gara di Auriol ha riportato alla luce lo spirito sportivo delle prime edizioni, fatte di sudore, di fatica, ma anche di tanta solidarietà tra i partecipanti.
Pensate che proprio il nostro Michele Gallizia ha consentito a Pellicer di terminare vittorioso l'Africa Race, spingendo la sua moto lungo gli ultimi chilometri che lo separavano dal traguardo.

Dopo aver letto le loro parole, c'è da scommettere che nel 2010 l'Africa Race sarà la meta scelta dai piloti privati. Con buona pace di chi ha sperato di portare la Dakar lontano dall'Africa.

Michele Gallizia (Suzuki DRZ-E 400) - in corsa all'Africa Race
Eravate solo in 8 partenti con le moto. Fascino d'altri tempi, quando i pionieri sfidavano la Dakar, o flop destinato a uccidere le prossime edizioni?
M.G.: "Abbiamo appreso solo il giorno della partenza che eravamo in 8 + 2 iscritti al raid: al momento la delusione è stata enorme, poi abbiamo capito che sarebbe stata un'opportunità che non si sarebbe ripresentata. Pochi partecipanti, tanta attenzione da parte degli organizzatori, dei media, del pubblico presente sul percorso. In più maggior sicurezza per noi: avevamo costantemente 2 elicotteri come angeli custodi. Sicuramente si è recuperato lo spirito delle prime Dakar: qualche minuto dopo l'inizio delle speciali ti trovavi da solo in mezzo al nulla, o navigavi o eri perduto. Altro che le ultime Dakar dove, con 500 equipaggi, potevi quasi metterti in coda agli altri senza nemmeno montare il road book. La maggior concentrazione che quindi è richiesta aumenta la durezza delle tappe a prescindere dai chilometraggi ( pur sempre una media di 700 km/giorno). Ho già  sentito che vari piloti sono interessati alla prossima edizione di Africa Race. Percepisco una scontentezza da parte della maggior parte dei concorrenti della Dakar sudamericana. La partita tra AR e ASO si giocherà nei prossimi mesi ed è tutta aperta".  

Era la tua prima gara in Africa? Cosa ti ha lasciato?
M.G.: "No, ho già partecipato a 3 edizioni del Faraoni e al Tuareg Rally in Marocco , ma partecipare e arrivare a Dakar è la realizzazione di un sogno che ho sempre pensato fosse riservato ad altri  "veri motociclisti". Oggi la soddisfazione è impagabile: più di 7.000 km di sofferenza, e un  chilometro ( l'ultimo ) idilliaco".

Hai spinto la moto del vincitore Pellicer fino al traguardo. Raccontaci con che spirito hai affrontato la corsa.
M.G.: "Essendo in pochi , si è subito creato un gruppo di motociclisti molto affiatato e accomunato da grande solidarietà. Tutti erano pronti ad aiutare gli altri per superare le difficoltà, questo giustifica il fatto che siamo arrivati quasi tutti, non certo perché la gara fosse di lieve entità. Durante l'ultima  speciale  proprio Pellicer si era fermato per aiutare un altro concorrente che era caduto, rinunciando quindi a vincerla. Poco prima dell'arrivo abbiamo visto Pellicer con la moto in panne. Il primo ha aiutato l'ultimo e gli ultimi hanno aiutato il primo: questo è il vero spirito dakariano dei motociclisti".

È stata dura? Che preparazione richiede a un pilota privato? E, soprattutto, è adatta a un privato?

M.G.: "Non è stata una passeggiata. Tanti km, un percorso con tante tappe in Marocco ( pietre, pietre, pietre), la tappa delle dune morte in Mauritania (nel ‘93 alla fine di questa tappa era arrivata solo la Mitsubishi ufficiale), come ho detto prima circa 700 km al giorno. E' necessaria innanzitutto una buona dose di esperienza di guida in Africa , saper navigare con tranquillità anche in solitudine e una buona preparazione atletica fatta nei mesi precedenti. Personalmente non ero molto allenato causa un paio di infortuni nei 2 mesi prima di partire. Ho recuperato l'allenamento strada facendo. Ancor più importante è la preparazione della moto, almeno per un privato come me che deve arrangiarsi da solo prima e durante la gara. Una moto preparata bene permette di ridurre i problemi durante la gara. Personalmente ho cominciato a preparare la moto da zero circa 6 mesi prima con l'ausilio di amici, un meccanico (principalmente per l'assetto) e della famiglia, che ha sopportato tutto! In tutte le gare di questo tipo, sono anche i privati a farne la storia. Sul mio arrivo a Dakar non ci avrei scommesso 1 euro ( non avevo nemmeno prenotato il volo di rientro da Dakar). Se sono arrivato io, penso che sia alla portata di tutti i privati  dotati di gran passione e volontà , per non dirla in termini più volgari...".

Parlaci della tua moto. Servono 70 e rotti cavalli, o ci si può accontentare di meno?
M.G.: "La mia moto è una Suzuki DRZ 400 E del 2008 praticamente di serie (solo l'assetto è stato modificato), logicamente adattata alle necessità della gara con serbatoi supplementari, paracoppa, strumentazioni di guida. In tutta la gara ho dovuto solamente ri-cablare 2 cavetti elettrici che si erano staccati. Tutte le sere un po' di manutenzione ordinaria ( filtro aria, controllo olio, soffiatura radiatori, controllo bulloneria, titratura raggi ruote).  Durante la giornata di riposo sostituzione olio e filtro, cerchi e gomme, corona e  pignone. In sintesi: la moto perfetta per il privato come me che non ha pretese di classifica. Forse solo nelle dune più impegnative ho rimpianto la mancanza di qualche cavallo, ma di necessità se ne fa una virtù. I 70 CV servono solo a chi li sa davvero sfruttare e a chi ha grande esperienza, altrimenti si traducono in un'inutile fatica aggiuntiva".

La gara di oggi è molto diversa dalla Dakar di una volta?
M.G.: "Non ho partecipato alle prime Dakar e quindi non posso darti una risposta se non per sentito dire. All'arrivo a Dakar ho chiesto a un partecipante che ha corso svariate Dakar come giudicava Africa Race e così mi ha replicato: sotto il profilo della durezza della gara  AR non è stata inferiore rispetto alle ultime edizioni della Dakar, quello che la differenzia però e' sicuramente che si è recuperato lo spirito di una volta".

In che condizioni raggiungevate il bivacco la sera? Le tappe era massacranti?

M.G.: "Ogni giornata è stata diversa e più o meno dura dall'altra. Alcune sere arrivavamo verso le 17-18, altre sere siamo arrivati al buio verso le 21-21,30.  A quel punto dopo circa 10-12 ore di moto dovevamo: fare manutenzione alla moto, montare la tenda, mangiare, preparare il road book e quindi andare a dormire per il tempo che rimaneva. Alcune mattine la sveglia era alle 3 e mezza. E così tutti i giorni!".

Parlaci dei costi, quanto hai speso?
M.G.: "Il budget per una gara del genere è tra i 15.000 e i 20.000 euro, acquisto della moto escluso. Un'eventuale assistenza ha un costo di 5-10.000 euro".

Un commento all'organizzazione e a Hubert Auriol, papà di questa corsa. Con un cenno alla sicurezza dei piloti.
M.G.: " L'organizzazione è stata ottima, forse anche perché eravamo in pochi. Tutti estremamente gentili e disponibili con noi. Auriol, anche se ufficialmente era un commissario, di fatto era il vero capitano. Sempre presente alla partenza e all'arrivo. Vigile su noi piloti lungo il percorso ( sull'elicottero). Per lui tutto semplice... ogni sera una pacca sulle spalla e via! Un bel personaggio con un gran carisma. La sicurezza è sempre stata garantita; nonostante fossimo meno del previsto, non sono state ridotte le forze in campo.

Perché non hai corso la Dakar sudamericana?
M.G.: "Per il percorso africano ( più tecnico, meno veloce), che mi sembrava sulla carta più adatto alle mie caratteristiche. E poi il lago Rosa è a Dakar, non a Buenos Aires! In Argentina avrei corso da solo, mentre in Africa il mio compagno d'avventura Carlo Alberto Migliazza  mi aveva assicurato la sua presenza. Siamo sempre stati insieme dal primo all'ultimo giorno".

L'anno prossimo ti vedremo all'Africa Race, o alla Dakar di ASO?
M.G.: "Durante tutta la gara pensavo che , soprattutto se fossi arrivato , per me sarebbe anche potuto bastare. E' invece bastata una giornata d'albergo a Dakar per cominciare a pensare a come preparare la prossima moto. Se lo dico a mia moglie mi lega ad un calorifero fino a gennaio 2010. Scherzi a parte, il primo problema è recuperare un budget. La mia moto è gialla proprio come il logo di Moto.it , chi ha orecchie per intendere...".

Maurizio Dominella (Auto Toyota 4x4) - in corsa al Rally Dakar
Hai visto 200 moto al via. Non erano troppe? Quanto spazio hanno avuto i privati, e quanto gli ufficiali?

M.D.: "Non erano troppe moto perché fino a 200 moto l'organizzazione è ben strutturata. Lo spazio se parliamo di bivacchi era uguale per tutti. Per quello che riguarda i media, devono capire che sono i privati che fanno la corsa e non i pochi ufficiali. Il fascino è vedere gente con pochi mezzi che arriva in fondo alla corsa".

Quante Dakar hai corso?

M.D.: "Ho corso 18 Dakar tra auto e moto,  finendone 10".

Perché hai optato per l'edizione sudamericana? Che scenari hai attraversato?
M.D.: "Ho optato per l'edizione sudamericana con molto scetticismo. Adoro l'Africa e ho grande rispetto per Auriol, ma l'attrazione per una nuova terra mai vista e la maggior facilità di reperire sponsor ha fatto si che andassi in Argentina".

Che preparazione richiede a un pilota privato? E, soprattutto, è adatta a un privato?
M.D.: "E' stata dura, come deve essere dura una Dakar. Però tante complicazioni sono arrivate dalla cattiva gestione dell'organizzazione e dalla errata valutazione del terreno. Hanno fatto le ricognizioni in inverno e la gara d'estate!".

La gara di oggi è molto diversa dalla Dakar di una volta, quella corsa in terra d'Africa?
M.D.: "La vera Dakar è quella di una volta, corsa senza GPS, quando i distacchi di ore erano recuperabili senza problemi. Oggi per i primi è una manche di cross da 700 km dove un privato è assolutamente tagliato fuori dalla lotta".

In che condizioni i motociclisti raggiungevano il bivacco la sera?
M.D.: "In uno stato pietoso, stanchi e affamati. Il mangiare tra l'altro era sempre freddo e faceva anche un po' schifo. Per fortuna c'era la carne argentina, che è incredibile".

Parlaci dei costi, quanto si spende per una Dakar in moto?
M.D.: "Per affrontare la Dakar in maniera dignitosa ci vogliono 40.000 Euro. Senza un meccanico che ti assiste, è davvero dura".

Un commento all'organizzazione di ASO. Con un cenno alla sicurezza dei piloti. Sono piovute critiche feroci sulla gestione dei privati (vedi il dramma di Pascal).
M.D.: "L'organizzazione è stata superficiale, incompetente, quasi dilettantesca sopratutto nei confronti degli amatori o privati che dir si voglia. La sicurezza non è stata all'altezza della situazione sia nei confronti delle moto che delle auto. Non si può lasciare un motociclista 60 ore senza aiuto, tanto meno si possono abbandonare le auto che hanno fatto un incidente all'aiuto e alla generosità del pubblico. Che tra l'altro mica sempre c'era".  

Perché non hai corso la Africa Race?
M.D.: "Ormai avevo scelto la Dakar per le ragioni che ti dicevo. Ma l'anno prossimo ci sono buone possibilità che corra l'Africa Race".

La gara che hai corso si è meritata sul campo il nome leggendario di "Dakar"?
M.D.: "Sinceramente quest'anno è stata talmente malfatta e incasinata che chiamarla Dakar è quasi offensivo".

Andrea Perfetti

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